C’è una frase di Albert Camus che troviamo spesso sui social e sul web che ci colpisce particolarmente. Ma, che riteniamo possa avere la dovuta spiegazione in quanto dona una profonda verità sulla forza dell’amore e dell’amare.
Una frase di grande significato che ci fa comprendere perché lo scrittore francese è un grande genio del pensiero occidentale contemporaneo.
…non essere amati è solo sfortuna: non amare è sventura.
La frase è tratta dal libro L’Estate (L’Été, il titolo originale) è una raccolta di saggi di Albert Camus, pubblicata per la prima volta nel 1954 presso Gallimard.
Il saggio che cita la frase prende il titolo di Ritorno a Tipasa (Retour à Tipasa) scritto dall’autore nel 1953.
È un saggio di grande contenuto esistenziale perché segna il ritorno dell’autore nella città algerina a 70 km di Algeri dopo circa 20 anni dalla prima visita.
La Frase di Albert Camus che insegna la bellezza di amare
È un Albert Camus maturo, quando scrive Ritorno a Tipasa. Ha appena compiuto 40 anni e decide di fare un viaggio nella terra natia in Algeria. Naturalmente, suo obiettivo era fare visita a Tipasa, che gli aveva offerto l’opportunità nel 1936 di vivere un’esperienza da sogno.
Rispetto alla prima visita a Tipasa avvenuta quando aveva 23 anni, ovvero nella primavera del 1936, lo scrittore franco-algerino, nato a Déan in Algeria il 7 novembre del 1913, ha appena compiuto 40 anni.
E il “ritorno a Tipasa” gli offre linfa per delle riflessioni che troviamo ricchissime di significato e di umanità. Non è più primavera come quando era andato la prima volta, ma siamo a dicembre.
Camus trova un tempo piovoso e non più quell’esplosione di luce di quand’era ragazzo. Egli stesso è incerto se sia il caso di voler vivere di nuovo quella magica avventura, la paura sarebbe dover rinunciare alla bellezza di quei ricordi.
Certo è una grossa pazzia, e quasi sempre punita, tornare sui luoghi della propria giovinezza e voler rivivere a quarant’anni quel che si è amato o di cui si è molto goduto a venti. Ma sapevo già di questa pazzia. Poco dopo quegli anni di guerra che per me segnarono la fine della giovinezza, ero già tornato una prima volta a Tipasa. Speravo, credo, di ritrovarvi una libertà che non potevo dimenticare.
L’esperienza della seconda guerra mondiale aveva lasciato un solco, tra la bellezza scoperta a Tipasa nel ’36, e l’esperienza vissuta dal poeta durante l’atroce conflitto planetario.
il filo spinato, voglio dire le tirannie, la guerra, le polizie, il tempo della rivolta. Era stato necessario mettersi in regola con la notte: la bellezza del giorno non era più che un ricordo.
La nuova Tipasa fangosa era l’immagine stessa di un mondo che era invecchiato verso l’oblio per la barbarie della guerra.
Camus ha perso l’innocenza del primo incontro con la città algerina. Ha dovuto superare la prova dell’odio imperante tra gli uomini. E lui ci si era trovato in mezzo.
Ma, il “ritorno a Tipasa” di Camus è la ricerca di quell’amore che aveva scoperto da ragazzo.
Lì, l’uomo maturo riscopre uno splendido paesaggio che gli fa provare quell’intensa felicità che nasce sia dai ricordi ritrovati sia dalle sensazioni proprie delle terre mediterranee. Possiamo distinguere la festa dei sensi che esprime la felicità ritrovata.
Quando uno ha avuto una volta la fortuna di amare intensamente passa la vita a cercare di nuovo quell’ardore e quella luce. La rinuncia alla bellezza e alla felicità sensuale che ad essa è legata, il servire esclusivamente l’infelicità, richiede una grandezza che mi manca.
Bisogna portare nel cuore l'”invincibile estate”
Ma, succede che durante il viaggio la pioggia finisce e “sul mare puro si levò abbagliante un mattino liquido. Dal cielo… scendeva una luce vibrante che dava a ogni casa, a ogni albero, un disegno sensibile, una stupita novità. In una simile luce è dovuta sorgere la terra all’alba del mondo. E io ripresi la strada di Tipasa.”
Anche in quel mese di dicembre Albert Camus ritrova quella luce tanto desiderata. La luce riesce a far svanire la notte buia che gli anni della guerra e dell’orrore avevano lasciato nello scrittore.
L’anima torna a risplendere e il poeta riesce a dissetarsi di quell’amore che la crudeltà umana gli aveva impedito di bere.
…a mezzogiorno guardavo il mare che a quell’ora si sollevava appena in un moto sfinito e saziavo le due seti che non si possono ingannare per molto tempo senza che l’essere inaridisca: amare, cioè, e ammirare. Perché non essere amati è solo sfortuna: non amare è sventura. Oggi moriamo tutti di questa sventura. Il sangue, gli odi scarniscono il cuore; la lunga rivendicazione della giustizia esaurisce l’amore che pure l’ha fatta nascere. Nel clamore in cui viviamo, l’amore è impossibile e la giustizia non basta.
Sembra di vivere il momento che stiamo vivendo. Il mondo è assetato di giustizia e di lotta. nel nome del giusto si finisce per odiare e questo è ciò che crea sventura e disperazione.
Se si tiene dentro quella luce “d’amore naturale” che è il dono stesso della vita, si può comprendere che il “non amore” è il peggiore dei mali.
Dove non c’è amore, non può esserci nessuna bellezza. Dove non c’è amore è impossibile vivere la felicità e la gioia.
Albert Camus afferma qualcosa di meraviglioso che grazie al “ritorno a Tipasa”
Imparavo finalmente, nel cuore dell’inverno, che c’era in me un’invincibile estate.
La civiltà che tanto decantiamo in realtà è il risultato di una “notte odiosa” che non lascia spazio all'”ammirazione della luce che l’Assoluto ci ha donato”.
Non c’è principio religioso nel pensiero di Camus, ma solo “buonsenso filosofico”. Camus ci offre il senso della possibilità e della speranza di fronte all’accettazione che di morale ci si può disperare.
Serve aggrapparsi sia alla bellezza che all’umiliazione, di connettersi con il mondo e con se stessi a un livello fondamentale e di lottare per un equilibrio tra la moralità e qualcosa di più grande della moralità.
L’obiettivo finale è quello di distendersi tutti “sotto la stessa luce” e imparare a godere delle bellezze della vita senza generare offesa. Solo questo modo d’intendere la vita può regalare un senso di pace e di comprensione in mezzo al caos del mondo.
Il primo viaggio a Tipasa
Era il 1936 e l’autore scrisse un altro saggio dal titolo Nozze a Tipasa, stimolato dalla prima visita alla storica città algerina. Camus aveva 23 anni.
La bellezza del luogo reso magico dalla stagione primaverile offre allo scrittore un’immagine paragonabile a delle nozze.
Camus giovane, tra le rovine delle antiche civiltà mediterranee, fenicie, romane e cristiane, che sono presenti a Tipasa, ebbe una sorta di immersione primordiale con tutto ciò che lo circondava.
Si immerge letteralmente nella Natura, che gli appare come una sposa sfacciata e disinibita che si offre allo sposo con le sue fattezze di terra, di aria, di luce.
Quella luce che ne Lo Straniero spinge Mersault a sparare senza motivo contro l’arabo sulla spiaggia di Algeri, a Tipasa avvolge, riscalda, accoglie.
Siamo in Primavera, la calura incessante non ha avuto il tempo di sopraffare la terra, e la natura raggiunge tutto il suo splendore, coinvolgendo tutti i sensi.
Lo “sposo” Camus è pronto e può camminare incontro “all’amore e al desiderio”. In un rito intriso di paganesimo, Albert Camus si congiunge magicamente con il mondo che lo circonda.
Andiamo incontro all’amore e al desiderio. Non cerchiamo insegnamenti, né l’amara filosofia che si cerca nella grandezza. All’infuori del sole, dei baci e dei profumi selvaggi, tutto ci sembra futile.
La Natura è viva, respira, parla attraverso i suoi colori accesi delle buganvillee, degli ibiscus, degli iris, bacia attraverso le onde del mare.
In questa atmosfera cadono tutte le maschere, immersi in cotanta bellezza non c’è spazio per la finzione. Camus sente d’avere compiuto il suo “mestiere di uomo” e cioè l’essere felice e in armonia con il mondo.
Non serve altro, non c’è ricerca di qualcosa di diverso. Tutto ciò che l’autore desidera è in quel luogo. È in quel posto che fa esperienza di sé stesso, del suo amore per la vita che intende condividere con la “razza nata dal sole”.
Nozze a Tipasa fa parte di Nozze (Noces), una raccolta di quattro saggi di Albert Camus, scritti nel 1936 e 1937 e pubblicati per la prima volta nel 1938 ad Algeri da Edmond Charlot. La prima edizione consisteva solo di pochi esemplari, e ad essa è seguita un’altra edizione nel 1941 e nel 1945.
Nel 1959, l’editore francese Gallimard ha ripubblicato la raccolta insieme a L’estate, presentando il volume con il titolo Noces, suivi de L’été.