Una frase di Franz Kafka che è una via verso la felicità

1 Luglio 2025

Leggiamo assieme questa citazione del celebre intellettuale ceco Franz Kafka tratta dalla sua raccolta di pensieri "Aforismi di Zurau".

Una frase di Franz Kafka che è una via verso la felicità

Questa frase di Franz Kafka, tratta dalla raccolta Aforismi di Zürau, costituisce una cospicua raccolta di riflessioni sull’esistenza umana, sulla tensione spirituale e sull’idea di felicità. Kafka, autore inquieto e profondamente introspettivo, ci offre qui un paradosso solo apparente: per essere felici, dobbiamo credere che in noi vi sia qualcosa di eterno, ma senza la pretesa di possederlo. Un ideale che sfida tanto le ambizioni della volontà quanto i desideri della coscienza moderna.

“In teoria vi è una perfetta possibilità di felicità: credere all’indistruttibile in noi e non aspirare a raggiungerlo.”

Franz Kafka e l’indistruttibile

L’“indistruttibile” in noi, secondo Kafka, non è qualcosa di definibile in termini materiali o psicologici. Non è l’“io” cartesiano, né l’anima come concetto religioso dogmatico. È piuttosto una traccia, una possibilità interna, forse una forma di purezza originaria, che non può essere corrotta dal mondo. L’idea dell’indistruttibile ricorda in parte le riflessioni gnostiche o mistiche: qualcosa che è nascosto, ma reale, e che ci attraversa anche se resta inattingibile.

Kafka scrive questi aforismi durante un periodo di ritiro e riflessione, a Zürau, in Boemia, nel 1917-1918, in un momento della sua vita segnato dalla malattia e dal distacco dalla quotidianità. È un Kafka che ha già scritto gran parte delle sue opere maggiori e che ora si confronta, in forma breve e frammentaria, con le grandi domande dell’essere: il senso, il male, il divino, la salvezza.

In questo contesto, parlare dell’“indistruttibile” è anche un atto di resistenza. In un mondo frantumato, in un corpo malato, nell’opacità delle relazioni umane, Kafka individua un nucleo che non può essere annientato. La felicità, però, non consiste nel farlo nostro, nel “raggiungerlo”, come se fosse un obiettivo da conquistare. Al contrario, la felicità sta nel crederci, e nel lasciarlo esistere al di là del nostro controllo.

La seconda parte dell’aforisma — “e non aspirare a raggiungerlo” — è il vero cuore della riflessione. Qui Kafka mette in discussione un tratto fondamentale della modernità: l’aspirazione, l’ambizione, l’idea che tutto ciò che ha valore debba essere posseduto o realizzato. Ma per Kafka, questa tensione continua verso l’ideale è, in fondo, una trappola. Non si tratta di non desiderare nulla, ma di riconoscere che vi sono cose che non vanno conquistate, bensì rispettate nella loro distanza.

Questa rinuncia all’appropriazione non è nichilismo, né disinteresse. È piuttosto una forma radicale di umiltà esistenziale. Kafka ci invita a convivere con ciò che è più grande di noi, senza ridurlo ai nostri schemi, senza trasformarlo in oggetto del nostro potere. L’indistruttibile in noi è qualcosa che ci abita, ma non ci appartiene. È come una luce che possiamo vedere, ma non afferrare.

L’aforisma introduce così un concetto di felicità profondamente diverso da quello corrente. Non si tratta della soddisfazione dei desideri, né della realizzazione di progetti personali. La felicità secondo Kafka è un equilibrio interiore fondato su due pilastri: la fede e il distacco. La fede in qualcosa che trascende il tempo e la materia — l’indistruttibile — e il distacco dall’ansia di possederlo.

In questo senso, Kafka si avvicina a una forma di pensiero che ricorda la saggezza orientale, come il taoismo o il buddhismo, dove l’armonia interiore nasce dalla rinuncia al dominio, dall’accettazione dei limiti e dalla contemplazione del mistero. L’aspirazione frenetica è fonte di sofferenza; la calma contemplativa, al contrario, apre la via alla serenità.

Kafka contro l’illusione prometeica

In un mondo dominato dall’ideale prometeico — cioè dalla volontà di controllo, di potenza, di conquista — Kafka pone una voce solitaria e opposta. Egli ci suggerisce che la vera grandezza dell’essere umano non consiste nel “afferrare” ciò che è sublime, ma nel rispettarlo nella sua alterità. Non tutto ciò che è prezioso deve essere messo a frutto; non tutto ciò che esiste per noi deve essere utile.

Questa visione è anche un’idea etica: l’indistruttibile è un simbolo della dignità umana, della sua parte inviolabile, che va protetta anche dalla nostra stessa avidità spirituale. Cercare di raggiungerlo, paradossalmente, significa distruggerlo. Lasciarlo essere, invece, è un atto di autentico rispetto, e forse il solo modo per essere felici.

La felicità, nella visione kafkiana, è una possibilità perfetta ma fragile. Perfetta, perché fondata su qualcosa che non può essere distrutto. Fragile, perché basta un desiderio di troppo, un atto di appropriazione, per spezzare l’equilibrio.

In questo senso, l’aforisma è una lezione esistenziale che parla anche al nostro presente. In un tempo in cui tutto è misurabile, controllabile, digitalizzato, Kafka ci invita a riconoscere che il senso più profondo della vita risiede in ciò che sfugge. Credere all’indistruttibile in noi, senza volerlo raggiungere, significa amare la vita per quello che è, non per quello che possiamo trarne. È l’invito a sostare, in silenzio, davanti al mistero — e, nel farlo, scoprire una forma più profonda e duratura di felicità.

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