Franco Basaglia, padre della riforma psichiatrica italiana, ha rivoluzionato non solo la pratica clinica, ma anche il modo di pensare l’essere umano nella sua interezza. La sua citazione, tratta dai suoi scritti teorici, ci conduce al cuore di una riflessione che unisce filosofia, psicologia e antropologia: il rapporto tra il corpo, lo sguardo dell’altro e la libertà individuale. In queste righe Basaglia affronta un tema che va ben oltre la clinica psichiatrica: come noi viviamo il nostro corpo nella relazione con gli altri e come lo sguardo altrui possa determinare, limitare o alienare la nostra esistenza.
È nel silenzio di questi sguardi che egli si sente posseduto, perduto nel suo corpo, alienato, ristretto nelle sue strutture temporali, impedito di ogni coscienza intenzionale. Egli non ha più in sé alcun intervallo: non c’è distanza fra lui e lo sguardo d’altri, egli è oggetto per altri tanto da arrivare ad essere una composizione a più piani di sé, posseduto dall’altro “in tutti i piani possibili del suo volto e in tutte le possibili immagini che di volta in volta possono derivare dai vari atteggiamenti che si possono cogliere”.
Il corpo perché sia vissuto è dunque nella relazione di una particolare distanza dagli altri, distanza che può essere annullata o aumentata a seconda della nostra capacità di opporsi. Noi desideriamo che il nostro corpo sia rispettato; tracciamo dei limiti che corrispondono alle nostre esigenze, costruiamo un’abitazione al nostro corpo.
Franco Basaglia e la libertà dell’altro
Franco Basaglia descrive l’esperienza di chi si sente “posseduto” dallo sguardo altrui. Non si tratta di un semplice essere osservati, ma di una condizione in cui l’individuo non riesce più a mantenere la distanza necessaria tra sé e gli altri. Il corpo diventa oggetto: non più spazio vitale, identità incarnata, ma rappresentazione manipolata da chi guarda. In questo processo, il soggetto si trova a essere “composizione a più piani di sé”, quasi un mosaico frammentato dalle proiezioni e dalle interpretazioni esterne.
Questa analisi richiama alla mente la filosofia di Jean-Paul Sartre, in particolare il concetto di “sguardo” sviluppato in L’essere e il nulla. Per Sartre, lo sguardo dell’altro può trasformarci in oggetti, sottraendoci la libertà di essere soggetti. Basaglia riprende questa intuizione, ma la porta dentro l’esperienza concreta della malattia mentale: il malato psichiatrico, osservato, diagnosticato, etichettato, rischia di smarrire la propria umanità sotto il peso di definizioni e schemi.
Corpo e distanza
Secondo Basaglia, il corpo “perché sia vissuto” deve mantenere una particolare distanza dagli altri. Questa distanza è un confine, un margine che ognuno di noi costruisce e difende per proteggere la propria integrità. Senza di essa, lo spazio intimo si dissolve, e con esso la possibilità di abitare autenticamente il proprio corpo.
Il concetto di distanza qui non va inteso solo in senso fisico, ma anche simbolico e psicologico. Il corpo diventa “abitazione”: un luogo che ci appartiene, che delimitiamo rispetto agli altri, e che desideriamo venga rispettato. Quando questa abitazione viene violata dallo sguardo, dall’invadenza o dalla riduzione a oggetto, si genera alienazione. È come se l’individuo non potesse più riconoscersi nel proprio corpo, perché esso è ormai colonizzato dalle immagini e dalle aspettative esterne.
Il rispetto del corpo
La frase “noi desideriamo che il nostro corpo sia rispettato” è una chiave interpretativa fondamentale. Basaglia non parla soltanto della condizione del malato psichiatrico, ma di una dimensione universale dell’esistenza. Ogni individuo ha bisogno che il proprio corpo – con i suoi limiti, i suoi gesti, la sua presenza nello spazio – venga riconosciuto e tutelato.
La mancanza di rispetto può assumere forme diverse: lo sguardo invadente che riduce, il giudizio sociale che etichetta, l’istituzione che imprigiona, la violenza fisica che annienta. In tutti questi casi, l’essere umano perde il controllo della sua “abitazione corporea” e vive uno stato di alienazione.
Alienazione e istituzioni
Per Franco Basaglia, questa dinamica assume un significato particolare nel contesto manicomiale. L’istituzione psichiatrica tradizionale era, secondo lui, il luogo in cui il corpo del malato veniva spogliato di ogni dignità: sorvegliato, medicalizzato, ridotto a oggetto di studio. Lo sguardo del medico e quello della società si univano per definire l’individuo esclusivamente in termini di malattia, cancellando la persona.
L’abolizione dei manicomi e l’introduzione di nuove pratiche terapeutiche avevano proprio questo obiettivo: restituire ai pazienti la distanza necessaria per riabitare il proprio corpo e la propria esistenza, liberandoli da una condizione di alienazione istituzionalizzata.
La forza della riflessione di Franco Basaglia sta però nel suo valore universale. Anche fuori dal contesto psichiatrico, ognuno di noi conosce la tensione tra il bisogno di riconoscimento e il rischio di alienazione. Viviamo in un’epoca in cui lo sguardo degli altri è amplificato dai social media, dove il corpo e l’immagine sono costantemente esposti al giudizio e alla valutazione pubblica. In questo senso, la diagnosi di Basaglia è più attuale che mai: senza una distanza che protegga la nostra intimità, rischiamo di diventare prigionieri degli sguardi e delle immagini che ci circondano.
La citazione di Franco Basaglia ci invita a riflettere sulla delicatezza del rapporto tra corpo, sguardo e libertà. Essere guardati non è di per sé un problema, ma lo diventa quando lo sguardo invade e possiede, quando annulla la distanza necessaria a vivere autenticamente il nostro corpo. Per questo desideriamo che esso sia rispettato: perché nel corpo abita la nostra identità più profonda.
La lezione di Franco Basaglia non riguarda solo la psichiatria, ma la condizione umana nel suo insieme. Ci ricorda che abitare il proprio corpo significa costruire confini, difendere spazi, opporsi all’invadenza. Solo così possiamo sfuggire all’alienazione e vivere la nostra corporeità come libertà, e non come prigione.