I versi di Franco Arminio sul valore della gentilezza

22 Giugno 2025

Leggiamo assieme questi delicati versi di Franco Arminio tratti dalla sua raccolta di poesie "Cedi la strada agli alberi" in cui esorta alla gentilezza.

I versi di Franco Arminio sul valore della gentilezza

Nel cuore della poesia e della riflessione esistenziale contemporanea, Franco Arminio occupa un posto singolare e necessario. I versi tratti dalla raccolta Cedi la strada agli alberi che recitano:

Spesso gli uomini si ammalano
per essere aiutati.
Allora bisogna aiutarli prima che si ammalino.
Salutare un vecchio non è gentilezza,
è un progetto di sviluppo locale.
Camminare all’aperto è vedere
le cose che stanno fuori.

offrono un condensato poetico che si fa etica del vivere, critica sociale, pedagogia del quotidiano. In essi, Franco Arminio intreccia il gesto minimo e il pensiero largo, la cura del singolo e la salute della comunità, l’attenzione per il paesaggio e la centralità della relazione umana.

Franco Arminio e la gentilezza

La poesia si apre con un’affermazione spiazzante: “Spesso gli uomini si ammalano per essere aiutati.” Qui Arminio suggerisce che la malattia, in certi casi, può essere una forma di comunicazione estrema, un grido inascoltato che trova nel corpo l’unico modo per farsi udire. L’uomo si ammala perché trascurato, perché invisibile, perché solo. L’affermazione non banalizza né psicologizza la sofferenza, ma la lega a una dinamica sociale: quando l’aiuto manca, il disagio si incarna.

Ecco perché, prosegue il poeta, “bisogna aiutarli prima che si ammalino”. È un invito alla prevenzione, ma in un senso che va ben oltre la medicina: prevenzione è cura della relazione, ascolto, riconoscimento. È una critica all’indifferenza sistemica, al fatto che spesso la società si attiva solo quando il danno è fatto. La poesia di Arminio diventa qui politica del vivere quotidiano, suggerendo che le comunità si costruiscono con gesti semplici e anticipatori, capaci di spezzare la catena del dolore evitabile.

Salutare un vecchio: una rivoluzione gentile

Il verso seguente – “Salutare un vecchio non è gentilezza, è un progetto di sviluppo locale” – rappresenta forse il culmine della forza etica del testo. Franco Arminio rifiuta la visione secondo cui certi gesti sarebbero semplicemente “buone maniere”. Salutare un anziano non è un atto di cortesia facoltativa, ma un’azione radicale che rigenera il tessuto sociale. È, in altri termini, una forma di economia relazionale, che valorizza le risorse umane e culturali presenti nei luoghi.

Il poeta ridefinisce lo “sviluppo locale” in termini non economici, ma umani: non è questione di infrastrutture, ma di infrastrutture relazionali. Una comunità cresce e prospera non solo quando vi si costruiscono strade o si investe in tecnologia, ma quando le persone si riconoscono, si parlano, si rispettano. In questo senso, il saluto è un gesto fondativo, un patto implicito di mutuo riconoscimento.

In un tempo in cui gli anziani sono spesso marginalizzati, resi invisibili o “parcheggiati” ai margini della società, il gesto del saluto rappresenta un atto politico di grande portata: restituisce dignità e centralità a chi la società tende a dimenticare. È, per Arminio, cura del tempo e della memoria.

Camminare per vedere

Infine, i versi conclusivi aprono una riflessione sul paesaggio e sulla percezione: “Camminare all’aperto è vedere le cose che stanno fuori.” Qui Franco Arminio non propone solo una passeggiata, ma un cambiamento di sguardo. Camminare è un atto conoscitivo, un atto che rompe l’autoreferenzialità della vita chiusa tra schermi, abitazioni e automobili. Camminare, per lui, è riconnettersi al mondo, uscire dal proprio guscio, esporsi all’altro, alla natura, alla varietà delle cose.

In un’epoca in cui si vive spesso dentro ambienti artificiali e in ritmi accelerati, il semplice atto del camminare diventa rivoluzionario. Significa rallentare, osservare, respirare, vivere il tempo e lo spazio. “Vedere le cose che stanno fuori” è anche un’esortazione ad andare oltre il proprio io, a superare il solipsismo che caratterizza molte vite digitalizzate e urbanizzate. È, ancora una volta, una poetica del corpo e del luogo.

Franco Arminio è spesso definito “paesologo”, una parola che egli stesso ha coniato per indicare chi si prende cura del paesaggio, ma non nel senso estetico, bensì etico e antropologico. Per lui il paesaggio è fatto anche di persone, di silenzi, di bar chiusi, di vecchi che camminano lentamente. Nei suoi versi, l’attenzione al microcosmo è sempre collegata a un pensiero più ampio: la fragilità del singolo è la fragilità della collettività.

Questa poesia, come molte altre sue, non grida, non accusa, non si rivolge a un nemico astratto. Propone invece un’azione concreta, accessibile a tutti: salutare, camminare, osservare. È una forma di resistenza gentile, fatta di gesti quotidiani che custodiscono la possibilità di un altro mondo.

In un’Italia che si desertifica, dove i piccoli paesi perdono abitanti e le relazioni si dissolvono nella distanza, Arminio ci invita a ripensare lo sviluppo non come accumulo ma come prossimità. Ci chiede di essere più umani, più attenti, più lenti. E lo fa con parole semplici, che sono come semi: gettati nel terreno dell’anima, possono ancora far fiorire una comunità che sappia riconoscere, aiutare, camminare insieme.

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