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I versi di Franco Arminio ci dicono come ritrovare sé stessi

Leggiamo i versi di Franco Arminio tratti dalla raccolta di poesie "Cedi la strada agli alberi", in cui vediamo che a volte la salvezza ci sta accanto.

I versi di Franco Arminio tratti dalla raccolta Cedi la strada agli alberi sono una meditazione poetica sull’identità, sull’alterità e sulla salvezza che nasce dal riconoscimento della propria fragilità. In poche righe, Franco Arminio compone un itinerario intimo che tocca il trauma dell’incomprensione, l’incontro con la natura, il rifiuto della narrazione egocentrica e l’accettazione della miseria personale come via di verità. L’intero passaggio suona come una preghiera laica, umile e necessaria, destinata a chi cerca un senso nel vivere senza elevarsi sopra gli altri, senza maschere.

E poi arriva uno sguardo,
un urlo in cui il mondo
si scuce, ti guarda da dentro
e non ti riconosce. Allora senti
che non c’è accordo con nessuno.
Dunque: esci per incontrare un albero,
innamorati del mondo,
ma non farne una storia,
un vanto. E sappi che la miseria
ti salva. E sappi che sei salvo
quando si svela la tua pochezza.

Perdersi a volte è salvarsi: analizziamo i versi di Franco Arminio

Questa prima strofa apre con un’immagine potentissima: lo “sguardo” e “l’urlo” sono due simboli della rivelazione improvvisa e traumatica. È il momento in cui il mondo, che fino a quel momento si riteneva conosciuto e familiare, improvvisamente “si scuce”: si disfa come un abito mal cucito, lasciando il soggetto nudo, scoperto, disorientato. E quello sguardo che ti “guarda da dentro” e non ti riconosce è la rappresentazione poetica del fallimento del dialogo con l’altro, della perdita del senso di appartenenza, della crisi identitaria. Il poeta sembra dirci che ci sono momenti in cui la realtà stessa ci rifiuta, ci espelle dal suo ordine, e in quel momento tutto ciò che credevamo solido vacilla.

“E poi arriva uno sguardo,
un urlo in cui il mondo
si scuce, ti guarda da dentro
e non ti riconosce.”

“Allora senti
che non c’è accordo con nessuno.”

Questa frase è secca, definitiva. È l’eco di una solitudine radicale, che non è malinconia o tristezza, ma una presa di coscienza. Franco Arminio sembra dirci che è inutile cercare continue conferme negli altri, che prima o poi bisogna affrontare il vuoto dell’incomunicabilità, lo spazio interiore in cui nessuno può arrivare se non noi stessi. È la disillusione, ma anche il punto di partenza per un nuovo orientamento del vivere.

“Dunque: esci per incontrare un albero,
innamorati del mondo,
ma non farne una storia,
un vanto.”

Il “dunque” indica un passaggio logico, una svolta. Se non c’è accordo con nessuno, se il mondo non ti riconosce, allora la risposta non è il cinismo o la chiusura, ma l’apertura verso l’essenziale. Incontrare un albero diventa qui gesto simbolico e concreto: significa uscire da sé, dalla propria autoreferenzialità, per andare verso qualcosa di più grande e semplice. L’albero è la natura, ma è anche il silenzio, la presenza che non pretende, che non giudica. Innamorarsi del mondo non come possesso o dominio, ma come adesione alla vita, come atto gratuito.

Ma attenzione: Franco Arminio ci mette in guardia contro l’ego che si appropria anche delle cose pure. “Non farne una storia, un vanto”: è un monito contro la tentazione di trasformare ogni esperienza in narrazione, ogni passo in un palco, ogni incontro in un trofeo. Vivere davvero significa anche tacere, lasciare che le cose accadano senza doverle raccontare o usare per costruirsi un’immagine.

“E sappi che la miseria
ti salva. E sappi che sei salvo
quando si svela la tua pochezza.”

Questi versi finali ribaltano ogni prospettiva contemporanea fondata sul successo, sull’autocompiacimento, sulla forza come valore supremo. Franco Arminio ci dice che la salvezza non arriva dalla potenza, ma dalla consapevolezza del proprio limite. La “miseria” non è qui degrado, ma nudità esistenziale, condizione umana essenziale e autentica. In un mondo che spinge alla continua autoaffermazione, l’ammissione della propria “pochezza” diventa un atto di verità e di resistenza. Solo chi si libera dall’illusione di essere grande, unico, straordinario, può realmente accedere a un senso profondo della vita.

L’anima sa come salvarsi, bisogna ascoltarla

Questi versi sono, in fondo, un invito alla sobrietà dell’anima. Franco Arminio, da sempre attento osservatore della vita nei piccoli borghi, dei paesaggi dimenticati, delle esistenze ai margini, ci propone una poesia che non vuole consolare, ma scuotere. In un’epoca che ha paura del silenzio e del fallimento, lui scrive della necessità di accettare l’oscuro, il modesto, il fragile. E ci mostra come, proprio in questa accettazione, possa nascere una nuova forma di bellezza: non gridata, non appariscente, ma viva e reale.

In definitiva, questi versi sono un programma etico ed esistenziale. Non si tratta solo di una poesia da leggere, ma di un messaggio da vivere: camminare nel mondo con umiltà, accogliere ciò che accade senza pretese, riconoscere la propria piccolezza e da lì ripartire. In un mondo sempre più rumoroso, la voce pacata e ferma di Arminio ci ricorda che la poesia può ancora insegnare come abitare la vita.

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