I versi di Franco Arminio sull’amore che finisce e la gentilezza

12 Novembre 2025

Leggiamo assieme questi versi di Franco Arminio che ci ricordano di non perdere dolcezza e gentilezza nemmeno quando l'amore finisce.

I versi di Franco Arminio sull'amore che finisce e la gentilezza

I versi di Franco Arminio tratti dalla poesia Quando finisce una storia rappresentano una delle più toccanti riflessioni poetiche sul distacco, sulla fine dell’amore e, più in generale, sulla capacità di congedarsi dalla vita e dalle persone con dolcezza. In poche righe, il poeta dei paesi interni riesce a tradurre l’esperienza universale della perdita in una lezione di grazia e di umanità. La fine di una storia, che sia amorosa, familiare o amicale, non viene qui descritta con toni di rabbia o rimpianto, ma con un senso di accettazione pacata, una sorta di pietà laica che riconosce la fragilità di ogni legame e invita alla compassione — verso l’altro e verso sé stessi.

Quando finisce una storia
bisogna proseguirla con dolcezza,
andare via in ginocchio,
andare via pregando
per chi non amiamo,
per chi non ci ama più.

Bisogna lasciare a tutti
un poco del nostro cuore,
tanto si riforma,
non c’è da temere di restare senza.
Bisogna essere clementi
coi nostri errori
se non vogliamo rifarli altrove.

La dolcezza come forma di resistenza nei versi di Franco Arminio

L’incipit — “Quando finisce una storia / bisogna proseguirla con dolcezza” — contiene già la chiave interpretativa del testo. Arminio ci suggerisce che la fine non è mai un vero punto, ma una continuazione in altra forma: la storia, pur cessando nel mondo visibile, continua nel ricordo, nella memoria, nella consapevolezza di ciò che è stato. Tuttavia, questa prosecuzione non deve essere segnata dal rancore o dal dolore violento, bensì dalla dolcezza.

La dolcezza, nella poetica di Franco Arminio, non è debolezza: è una forza quieta, una forma di resistenza contro la brutalità del tempo e delle separazioni. Continuare “con dolcezza” significa accettare che ciò che si è vissuto non vada distrutto, ma trasformato. In questo senso, il poeta si oppone a quella tendenza moderna a chiudere ogni rapporto con rabbia, a cancellare l’altro come se non fosse mai esistito. L’amore, anche finito, continua a chiederci cura e delicatezza, perché ciò che abbiamo amato resta, in qualche modo, parte di noi.

Il gesto umile del congedo

Nei versi successivi — “andare via in ginocchio, / andare via pregando / per chi non amiamo, / per chi non ci ama più” — Arminio usa un linguaggio profondamente simbolico. L’immagine di “andare via in ginocchio” non va letta come sottomissione o mortificazione, ma come atto di umiltà: inginocchiarsi davanti alla fine significa riconoscerne la sacralità.

Pregare “per chi non amiamo, per chi non ci ama più” è un gesto di purificazione emotiva. La preghiera, qui, non ha connotazione religiosa, ma etica: è il tentativo di sciogliere ogni rancore, di liberare il cuore dalla pesantezza della delusione. Franco Arminio ci ricorda che il dolore, se trattenuto, genera altra sofferenza; pregare per l’altro, invece, è un modo di lasciarlo andare, di restituirlo alla sua libertà.

Questa dimensione spirituale del congedo ricorda le grandi tradizioni mistiche, ma anche la saggezza popolare dei piccoli paesi che Arminio tanto ama descrivere: nelle comunità antiche, si sapeva che non si chiude una porta senza benedirla, che anche il distacco richiede un rituale, una forma di grazia.

Il cuore come materia rigenerante

“Bisogna lasciare a tutti / un poco del nostro cuore, / tanto si riforma, / non c’è da temere di restare senza.”
Questi versi esprimono una fiducia straordinaria nella capacità rigenerativa dell’amore umano. Arminio, che spesso nei suoi scritti parla della morte, del dolore e dello spopolamento dei paesi, qui ribalta la prospettiva: il cuore, anche se ferito, si riforma, cresce di nuovo.

L’idea di “lasciare a tutti un poco del nostro cuore” è una metafora di generosità esistenziale. In un mondo dominato dall’egoismo e dalla paura di perdere, il poeta invita a donare senza calcolo, a non trattenere l’amore come bene raro, ma a distribuirlo come luce. Non bisogna temere di restare “senza cuore”, perché l’amore autentico non si consuma: si moltiplica.
In questa visione si coglie la radice etica e quasi evangelica della poesia di Arminio, la convinzione che solo chi si espone al dolore della perdita può vivere davvero.

La clemenza verso sé stessi

La parte finale della poesia — “Bisogna essere clementi / coi nostri errori / se non vogliamo rifarli altrove.” — introduce un cambio di prospettiva: dall’altro si passa al sé. La dolcezza invocata per il congedo diventa ora clemenza verso i propri sbagli.
Il poeta invita a non giudicarsi con severità eccessiva, a riconoscere che l’errore fa parte della condizione umana. La vera saggezza non sta nel non sbagliare, ma nel imparare a perdonarsi, per non ripetere gli stessi errori “altrove”, in altri amori, in altre vite.

In questa frase si avverte l’eco di una verità psicologica profonda: solo chi sa guardare con benevolenza il proprio passato può costruire un futuro libero dal risentimento. La clemenza, dunque, è una forma di autoconoscenza pacificata.

Una poesia della sopravvivenza emotiva

Come spesso accade nella scrittura di Franco Arminio, la semplicità del linguaggio nasconde una grande complessità di pensiero. Ogni verso di Quando finisce una storia è una piccola meditazione sull’arte di sopravvivere al dolore, di restare umani nonostante la fine.
Il poeta non parla solo di amore, ma di educazione sentimentale alla vita: la capacità di chiudere una storia con dolcezza, pregando, lasciando un po’ del proprio cuore e perdonandosi, diventa metafora del modo in cui dovremmo affrontare ogni perdita — una morte, un fallimento, un cambiamento.

Franco Arminio ci insegna che la dolcezza non è un lusso, ma un atto politico e spirituale insieme: in un mondo dominato dalla fretta e dalla durezza, essere dolci, essere clementi, è una forma di resistenza poetica.

Quando finisce una storia è una poesia che parla al cuore con parole limpide e vere. Franco Arminio ci mostra che la fine non è mai soltanto dolore: può essere anche occasione di rinascita, se affrontata con dolcezza e clemenza.
Andare via in ginocchio, pregando per chi non ci ama più, significa restare umani nella separazione; lasciare un poco del proprio cuore agli altri significa credere nella continuità dell’amore; essere clementi con sé stessi significa imparare a vivere nella pace del proprio limite.
È una lezione di tenerezza e coraggio, un invito a custodire la dolcezza anche quando tutto sembra finire, perché — come scrive Arminio — “tanto il cuore si riforma, non c’è da temere di restare senza.”

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