Nel sonetto 58 del Canzoniere, Francesco Petrarca si distacca temporaneamente dal suo consueto registro elegiaco centrato sull’amore per Laura, per indirizzare la propria parola poetica a un amico: Agapito Colonna. La poesia, composta nel 1338 e accompagnata da un dono concreto — o, meglio, da tre piccoli “remedia amoris” — rappresenta uno dei rari momenti in cui il Canzoniere si apre ad altri temi, pur restando in dialogo con il filo rosso dell’amore e del suo potere distruttivo. In questo caso, non è Petrarca a lamentarsi delle proprie pene d’amore, ma è lui a offrire consolazione a un altro sofferente, ribaltando i consueti ruoli del poeta innamorato e inconsolabile.
La guancia che fu già piangendo stanca
riposate su l’un, signor mio caro,
e siate ormai di voi stesso più avaro
a quel crudel che ’ suoi seguaci imbianca.
Francesco Petrarca e uno xenion
Secondo quanto annotato dallo stesso Petrarca nel codice degli abbozzi, questo sonetto fu scritto e inviato ad Agapito Colonna nel giorno del suo compleanno, la mattina del 1338, insieme a tre doni simbolici: un guanciale, una coppa per tisane e forse un libro religioso o un indumento. Tre oggetti carichi di significato: il guanciale su cui riposare il capo stanco per il pianto, una tisana lenitiva per il corpo e l’anima, e un libro o un capo per la cura dello spirito e della dignità. Oggetti modesti, ma impregnati di affetto e di saggezza: piccoli strumenti per guarire il cuore ferito dall’amore non corrisposto.
In questo contesto, il sonetto stesso diventa un dono, forse il più duraturo. Non solo accompagna gli oggetti, ma ne prolunga la funzione simbolica: esso è insieme lettera, pegno d’amicizia, ammonimento morale e appello affettuoso. Come nota Santagata, non è nemmeno certo che a parlare sia il poeta in prima persona: potrebbe essere lo stesso sonetto che, come un oggetto parlante, chiede al destinatario di essere custodito nel “libro della memoria”.
Analisi dei versi
La poesia si apre con una carezza verbale, che richiama una sofferenza condivisa:
La guancia che fu già piangendo stanca
riposate su l’un, signor mio caro
L’immagine della guancia stanca di piangere rivela l’intensità del dolore vissuto dall’amico. Quel “signor mio caro” è un’espressione di tenerezza e rispetto, che colloca la poesia nel registro intimo dell’affetto sincero. Petrarca invita Agapito a riposare quella guancia — metafora del volto segnato dalla sofferenza amorosa — sul “primo dei doni”, ossia il guanciale. Il poeta si fa dunque figura di conforto, quasi materna, che offre sollievo senza giudicare, ma comprendendo.
Segue poi l’invito alla prudenza:
e siate ormai di voi stesso più avaro
a quel crudel che ’ suoi seguaci imbianca.
Qui si coglie il cuore dell’esortazione: essere “avaro” di sé stessi non è un’esortazione all’egoismo, ma un invito a non sprecare le proprie energie, la propria giovinezza, e il proprio spirito dietro a un Amore crudele, che “imbianca” — cioè sfinisce, impallidisce — i suoi seguaci. Amore, in questa personificazione petrarchesca, è una divinità cieca e tirannica, simile a quella che tormenta il poeta stesso nel resto del Canzoniere. Ma qui, l’amore non è affascinante e tragico: è soltanto distruttivo, fonte di squilibrio e umiliazione.
Il potere della parola che consola
Questa poesia rivela un aspetto meno noto di Petrarca: la capacità di declinare la propria sensibilità non solo in chiave di lirismo individuale, ma anche in termini di etica dell’amicizia. Egli si fa guida e consigliere, e nel farlo, rielabora la propria esperienza amorosa non per esibirla, ma per trarne una lezione utile a un altro.
La poesia è un dono, ma anche un’arma di difesa. Il poeta propone agli “innamorati perduti” — come il giovane Agapito — una sorta di strategia per liberarsi dal giogo della passione cieca: riconoscere il carattere distruttivo di Amore, prendersi cura di sé stessi, cercare sollievo nel sonno, nella spiritualità e nell’amicizia. In questo, la poesia si avvicina ai remedia amoris dell’antichità classica — Ovidio su tutti — ma si distingue per una nota personale, affettuosa, quasi fraterna.
Un frammento di umanità nel Canzoniere
Se il Canzoniere è dominato dalla figura di Laura e dal tormento di Petrarca per un amore impossibile, questo sonetto rappresenta una rara apertura verso il mondo esterno. È una poesia di altruismo, in cui il dolore amoroso non è fine a se stesso, ma diventa occasione di solidarietà. La sofferenza di Agapito viene accolta e compresa, non ridicolizzata né condannata. Petrarca sa che l’amore, quando è unilaterale, può far ammalare l’anima, e offre perciò un rifugio — simbolico e concreto — al suo giovane amico.
Il sonetto 58 del Canzoniere si colloca al crocevia tra la lirica personale e la poesia civile, tra l’arte del sentimento e quella dell’amicizia. È la testimonianza di un poeta che, pur tormentato da passioni interiori, sa anche farsi prossimo, sa offrire la parola giusta a chi soffre. Petrarca non si limita a compatire: offre un insegnamento, con dolcezza e intelligenza, sapendo che l’unico modo per uscire vivi dall’amore è non farsi travolgere dalla sua illusione. In quel guanciale donato ad Agapito, c’è tutto l’amore di un amico, ma anche tutta la saggezza di un’anima che conosce il dolore e ha imparato, pur faticosamente, a consolarlo.