Una frase di Francesco Guccini sulla nostalgia della giovinezza

11 Febbraio 2025

Leggiamo assieme questa frase di Francesco Guccini tratta dal suo libro "Dizionario delle cose perdute" in cui rammenta con nostalgia il passato.

Una frase di Francesco Guccini sulla nostalgia della giovinezza

Nel suo Dizionario delle cose perdute, Francesco Guccini ci porta indietro nel tempo, in un’epoca in cui l’arrivo del primo telefono fisso in casa era un evento memorabile. Oggi, immersi nella modernità dei cellulari e della comunicazione istantanea, è difficile immaginare l’importanza che aveva un oggetto così semplice, ma rivoluzionario. Eppure, la riflessione di Guccini non è solo un’evocazione nostalgica di un tempo passato, bensì un invito a riscoprire il valore delle piccole cose, della loro capacità di cambiare abitudini e dinamiche familiari.

Oggi, coi cellulari, il telefono fisso si usa molto meno, ma allora era un’altra cosa. Anzitutto non si mise a cuor leggero, ci fu forse un dibattito casalingo (“Quanta sarà la spesa? E lui – io poi – non starà sempre attaccato al telefono?”) e favorì la decisione positiva il fatto che un collega di mio padre, abitante al piano di sopra, ci aveva chiesto se eravamo interessati al duplex. Questa parola, oggi credo sconosciuta ai più, significava praticamente avere due numeri di telefono ma una linea sola, a dire che se uno dei due telefonava l’altro utente restava muto. Ma si risparmiava molto sulla bolletta.

Il telefono era nell’ingresso, attaccato al muro. Non so il perché, ma non veniva messo nel soggiorno o in altra stanza. Era di bachelite, nero (i telefoni bianchi, appoggiati su un tavolino, simbolo di dissoluta ricchezza anni Trenta, erano solo preda in certi film di lascive femmine dalla dubbia professione, in vestaglia di seta e sigaretta con lungo bocchino), e a disco rotante, con filo di solito liscio ma, mi si dice, a volte anche arricciolato. Non ricordo quando il primo squillo echeggiò, rumore nuovo e inconsueto e allora vagamente inquietante. Credo di essere stato io ad alzarmi precipitosamente e andare a rispondere. Che emozione fu quella di dire “Pronto” dal primo telefono di casa?!

Francesco Guccini e il suo primo telefono in bachelite

Quando si parla di tecnologia oggi, si pensa all’innovazione continua, a strumenti che diventano obsoleti nel giro di pochi anni. Ma negli anni ’50 e ’60, l’introduzione di un telefono in casa non era affatto un’operazione scontata. Guccini ci racconta come l’acquisto del telefono fosse preceduto da un dibattito familiare: era una spesa importante e, per alcuni genitori, poteva addirittura diventare una distrazione per i figli. La decisione non veniva presa a cuor leggero, proprio perché significava aprire la propria casa a un nuovo mezzo di comunicazione, con tutte le implicazioni che comportava.

L’autore introduce poi un concetto ormai dimenticato: il duplex. Questa soluzione, oggi sconosciuta ai più, permetteva di condividere la linea telefonica con un’altra famiglia, risparmiando sulla bolletta. Un’idea di economia domestica che oggi farebbe sorridere, ma che all’epoca era una scelta ragionevole per molte famiglie che cercavano di conciliare modernità e risparmio.

Guccini descrive con minuzia il telefono di casa sua, un oggetto che oggi potremmo trovare in un museo o in un mercatino dell’antiquariato. Era un telefono fisso, nero, in bachelite, con disco rotante e filo liscio o arricciolato. La sua collocazione non era casuale: veniva spesso installato nell’ingresso, come se fosse una presenza discreta ma centrale nella casa. Non si metteva nel soggiorno, né in camera da letto: il telefono doveva essere accessibile a tutti, ma non invadente.

L’immaginario legato a questo apparecchio è ricco di suggestioni. Guccini fa un riferimento ironico ai telefoni bianchi, simbolo di un lusso d’altri tempi, presenti nei film degli anni Trenta accanto a donne affascinanti e misteriose, in vestaglia di seta e sigaretta con bocchino. Un contrasto tra la realtà della sua famiglia e il mondo cinematografico, che rende ancora più vivido il racconto.

L’emozione del primo squillo

Uno dei passaggi più toccanti del brano è il ricordo del primo squillo. Un suono nuovo, inconsueto, che rompe il silenzio della casa e porta con sé un misto di curiosità e trepidazione. Guccini si rivede ragazzino, alzarsi precipitosamente per rispondere, per dire quel primo “Pronto” che segnava un rito di passaggio, un ingresso in un’era diversa.

Oggi diamo per scontato il poter comunicare in ogni momento, ma il telefono fisso aveva una ritualità tutta sua: bisognava aspettare lo squillo, sperare che la linea fosse libera (soprattutto con il duplex), alzare la cornetta con una certa formalità. Il gesto stesso del comporre il numero con il disco rotante era un’azione che richiedeva tempo e attenzione, in contrasto con la velocità del tocco sugli schermi di oggi.

Dalla magia del telefono fisso alla società iperconnessa

L’episodio raccontato da Francesco Guccini ci mostra quanto la tecnologia abbia trasformato le nostre vite. Un tempo, il telefono era un oggetto che univa la famiglia e che segnava una conquista; oggi, la comunicazione è immediata, ma spesso dispersiva. Abbiamo guadagnato in praticità, ma forse abbiamo perso quel senso di attesa e di emozione che accompagnava ogni telefonata.

Nel racconto di Guccini si respira una felicità semplice e autentica, legata alla scoperta della giovinezza e alla meraviglia per le piccole cose. Un ricordo che ci invita a riflettere su quanto la modernità abbia reso le nostre vite più comode, ma anche meno capaci di stupirsi. Forse, ogni tanto, dovremmo fermarci e ascoltare il suono di un vecchio telefono fisso, per ritrovare quel senso di meraviglia che oggi rischia di perdersi nel frastuono delle notifiche digitali.

© Riproduzione Riservata