Francesco De Gregori (4 aprile 1951), con la sua capacità di cogliere la poesia nelle piccole cose, offre nella citazione tratta da “Passo d’uomo” una riflessione sulla sensibilità e sul ruolo dell’artista. La frase trovata su un muro, «Le persone troppo gentili non sopravvivono in questa vita», diventa per lui uno spunto di meditazione, un frammento di realtà che si imprime nella memoria senza una ragione immediata. Questo processo è parte integrante dell’arte: saper osservare, raccogliere e custodire, anche senza la certezza di un uso futuro.
Passando stamane da un sottopassaggio ho notato una scritta sul muro che mi ha vagamente commosso e mi ha fatto pensare: «Le persone troppo gentili non sopravvivono in questa vita». Non è proprio una frase scontata. Un artista è anche uno che si ferma davanti a questa inezia, la fotografa e in quel momento non sa perché. Forse non ne farà mai nessun uso. Però è lì.
L’arte di osservare che secondo Francesco De Gregori è la prima qualità dell’artista
La sensibilità dell’artista si manifesta spesso nella capacità di fermarsi davanti a dettagli che per molti passerebbero inosservati. Un sottopassaggio anonimo diventa il palcoscenico di un momento di rivelazione. De Gregori stesso ammette di non sapere se userà mai quella frase, ma la registra nella sua memoria. Questo atto di raccogliere segni dal mondo è ciò che distingue l’artista: la realtà non viene solo vissuta, ma anche assimilata e rielaborata.
La fragilità della gentilezza
La scritta anonima sul muro esprime un pensiero diffuso e doloroso: la gentilezza è vista come un segno di vulnerabilità in una società spesso dominata dalla durezza e dalla competizione. Il concetto di “sopravvivere” suggerisce un mondo spietato, dove chi è troppo generoso o disponibile rischia di essere sopraffatto. Tuttavia, la storia e la letteratura ci insegnano che la gentilezza, lungi dall’essere una debolezza, è un atto di resistenza, una forza silenziosa che può trasformare le relazioni umane.
Il valore delle parole anonime
La frase incisa su un muro è un esempio di come le parole possano avere un impatto profondo, indipendentemente dal loro autore. Non sappiamo chi l’abbia scritta né in quale contesto, ma la sua esistenza è sufficiente a suscitare una riflessione. Spesso la scrittura di strada è considerata un atto vandalico, eppure può diventare un veicolo di emozioni e pensieri condivisi. In questo senso, la frase assume un valore collettivo: è un messaggio lasciato a chiunque voglia raccoglierlo.
Il ruolo dell’artista come testimone
Francesco De Gregori descrive l’artista come colui che si sofferma su dettagli apparentemente insignificanti e li rende eterni. La musica, la letteratura, la pittura e il cinema sono strumenti attraverso cui la realtà viene catturata e restituita in una forma nuova. Il compito dell’artista non è solo creare, ma anche documentare, registrare le emozioni e i pensieri del proprio tempo.
La memoria delle piccole cose
Il gesto di fotografare mentalmente una scritta su un muro, di conservare un’immagine o una frase, è un atto di resistenza contro l’oblio. Viviamo in un’epoca in cui le informazioni si susseguono rapidamente, spesso senza lasciare traccia. Eppure, la bellezza dell’arte sta proprio nella capacità di fissare ciò che altrimenti sarebbe effimero, trasformando un dettaglio quotidiano in una fonte di ispirazione duratura.
La riflessione di Francesco De Gregori ci invita a guardare il mondo con occhi più attenti, a riconoscere la poesia nascosta nelle piccole cose. L’artista non è solo colui che crea, ma anche chi osserva, raccoglie e dà nuova vita a ciò che incontra lungo il cammino. La scritta anonima sul muro, forse destinata a scomparire sotto una mano di vernice, trova una nuova esistenza nel pensiero di chi la legge e la porta con sé. In questo modo, l’arte diventa memoria, testimonianza e resistenza.