I versi satirici di Ezra Pound sull’arte e il potere

16 Dicembre 2025

Leggiamo assieme questi versi di Ezra Pound tratti dal suo XLIV Cantos in cui espone l'idea di Napoleone sull'arte e gli artisti.

I versi satirici di Ezra Pound sull'arte e il potere

Nei versi del Canto XLIV dei Cantos di Ezra Pound si concentra una delle convinzioni più profonde e controverse dell’autore: l’idea che l’arte rappresenti una forma di aristocrazia superiore, sottratta alla volatilità della storia politica. In poche righe, Pound intreccia tre piani distinti ma comunicanti: la figura storica di Napoleone, la funzione dell’artista nella società e la propria visione etica ed estetica del mondo. Il risultato è una dichiarazione programmatica, che va ben oltre la citazione erudita e diventa riflessione sul potere, sulla durata e sulla responsabilità della creazione artistica.

«Alto rango agli artisti, il solo livello sociale infatti
che le tempeste politiche non possono raggiungere,
pare abbia detto
Napoleone»

Ezra Pound e i suoi Cantos

Ezra Pound scrive i Cantos come un’opera-mondo, frammentaria e stratificata, in cui storia, economia, politica e poesia si compenetrano. Il Canto XLIV appartiene alla sezione in cui l’autore riflette sul governo, sull’organizzazione della società e sulla relazione tra autorità e cultura. La citazione attribuita a Napoleone — figura centrale nell’immaginario politico di Pound — non è casuale. Napoleone Bonaparte rappresenta per il poeta l’emblema del legislatore moderno, del condottiero che comprende il valore simbolico e strutturale delle arti all’interno dello Stato. Che Napoleone abbia davvero pronunciato quelle parole è, in un certo senso, secondario: ciò che conta è che Pound le ritenga vere, plausibili, coerenti con la propria idea di civiltà.

L’espressione “alto rango” richiama immediatamente una gerarchia sociale. Pound non crede in una società livellata, ma in una società ordinata secondo valori di competenza, merito e funzione. In questo schema, gli artisti non occupano un posto marginale o decorativo, ma il vertice di una piramide simbolica. L’artista, nella visione poundiana, non è un intrattenitore né un semplice testimone del suo tempo: è colui che custodisce e rinnova le forme, il linguaggio, la memoria culturale. È per questo che il suo rango è “alto”: non per privilegio materiale, ma per responsabilità storica.

Il passaggio più significativo del verso è però l’affermazione secondo cui quello degli artisti sarebbe “il solo livello sociale che le tempeste politiche non possono raggiungere”. Qui Pound introduce una distinzione netta tra potere politico e potere culturale. Le tempeste politiche — rivoluzioni, colpi di Stato, cambi di regime — travolgono istituzioni, classi sociali, ruoli economici. Ma l’arte autentica, secondo Pound, sopravvive. Le opere attraversano i secoli, mentre i sistemi politici crollano. Omero, Dante, Confucio restano, mentre imperi e governi scompaiono. L’artista, se fedele alla propria funzione, abita una dimensione temporale diversa, più lunga e più profonda.

Questa idea, tuttavia, non va interpretata come una fuga dall’impegno o come una neutralità morale. Pound non pensa che l’artista debba ignorare la politica; al contrario, crede che debba comprenderla meglio di chiunque altro. Ma la sua fedeltà ultima non è verso un partito o un’ideologia contingente: è verso la forma, la verità, la precisione del linguaggio. In questo senso, l’artista non è “al di sopra” della storia per arroganza, ma perché lavora su un piano diverso, più resistente all’erosione del tempo.

Attribuire questa visione a Napoleone serve anche a legittimarla storicamente. Napoleone, pur essendo uomo d’azione, comprese il valore dell’arte come strumento di continuità e di prestigio culturale. Musei, codici, riforme amministrative: tutto concorreva a costruire una civiltà duratura. Pound legge in Napoleone una consapevolezza che va oltre il mero esercizio del potere: la coscienza che senza arte non esiste vera grandezza storica.

Naturalmente, questa concezione solleva interrogativi e ambiguità. Se l’arte è davvero immune dalle tempeste politiche, come spiegare le persecuzioni, le censure, le distruzioni di opere e artisti? Pound stesso, figura profondamente compromessa politicamente, è la prova vivente della difficoltà di separare nettamente arte e storia. Eppure, proprio la sopravvivenza della sua poesia, nonostante le condanne e le controversie, sembra confermare in parte la sua intuizione: le opere, una volta create, acquisiscono una vita propria, che può superare gli errori e le colpe dei loro autori.

Arte e potere

I versi del Canto XLIV esprimono dunque una fede nella nobiltà dell’arte come forza strutturante della civiltà. Non si tratta di una nobiltà ereditaria o economica, ma di una nobiltà dello spirito, fondata sulla capacità di dare forma all’esperienza umana. L’artista, in questa prospettiva, è un custode: della lingua, della memoria, della misura. È per questo che le tempeste politiche possono scuotere il mondo, ma non distruggere ciò che è stato veramente pensato e creato.

In conclusione, la citazione poundiana non è un elogio astratto dell’arte, ma una presa di posizione radicale sul suo ruolo nella storia. In un secolo segnato da guerre, ideologie e crolli, Pound afferma che l’unica vera continuità possibile risiede nella creazione artistica. È una visione ambiziosa, problematica, a tratti provocatoria, ma proprio per questo profondamente moderna: l’arte come ultimo spazio di resistenza contro l’oblio e la disgregazione del senso.

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