Una frase di Emily Bronte sul valore dei nostri sogni

29 Luglio 2025

Leggiamo questa citazione tratta dal capolavoro senza tempo "Cime tempestose" di Emily Bronte, in cui ci parla dell'importanza dei sogni.

Una frase di Emily Bronte sul valore dei nostri sogni

L’affermazione di Catherine Earnshaw nel romanzo Cime Tempestose di Emily Brontë  è una delle frasi più dense di pathos e introspezione mai scritte in letteratura. In poche righe, Emily Brontë riesce a condensare il potere trasformativo del sogno, la sua capacità di influenzare non solo il pensiero, ma l’intero essere, la percezione, la memoria, la coscienza.

«Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo e attraverso di me, come il vino attraverso l’acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente»

Emily Brontë e il suo capolavoro senza tempo

Catherine non parla di sogni come esperienze fuggitive e vaghe. Non si tratta di immagini notturne senza conseguenze, ma di visioni interiori capaci di lasciare un’impronta profonda, permanente, “rimaste sempre con me”. È una confessione di come la vita interiore possa essere tanto viva, tanto concreta, da modificare la realtà stessa, la sua interpretazione, i comportamenti, persino le relazioni. Il sogno diventa qui forza plastica, agente di mutazione: qualcosa che “altera il colore della mente”, come il vino che si diffonde nell’acqua, alterandone irrimediabilmente la trasparenza.

In questa metafora liquida e cromatica, Emily Brontë dimostra una straordinaria sensibilità poetica. Il vino non distrugge l’acqua, non la rimuove: la attraversa e la tinge, come i sogni attraversano la mente. Ne emerge un’immagine di trasformazione silenziosa ma irreversibile. È un processo lento, graduale, impercettibile nell’immediato, ma assoluto nei suoi esiti. Una volta avvenuto, non si torna indietro.

La riflessione di Catherine si colloca in un contesto narrativo lacerato e drammatico. Cime Tempestose è un romanzo intriso di passioni primordiali, di natura selvaggia, di emozioni che non conoscono misura. Eppure, in queste parole c’è un’intimità diversa, più sottile, che apre una finestra sull’interiorità di Catherine come donna pensante, come soggetto riflessivo e sensibile. Non è l’eroina impulsiva e ribelle che si lancia nell’amore tormentato per Heathcliff o nella scelta razionale del matrimonio con Edgar Linton; è una coscienza che si guarda dentro, che riconosce il potere dei sogni nel ridefinire il proprio rapporto col mondo.

Ma quali sono questi sogni? Non vengono mai esplicitati. Emily Brontë lascia che la vaghezza funzioni come meccanismo di universalizzazione. I sogni possono essere desideri inespressi, visioni del futuro, intuizioni fugaci, aspirazioni represse o alternative di vita immaginate e mai realizzate. La loro vaghezza non li indebolisce, al contrario li rende più potenti: sono sogni che vivono “attraverso il tempo”, ovvero che sopravvivono ai cambiamenti dell’esistenza, che si muovono con la coscienza nel fluire della vita.

Un’altra chiave interessante è proprio il concetto di alterazione. Catherine non dice che i sogni hanno chiarito, ma che hanno alterato. Non portano luce, ma cambiamento. Alterare implica una trasformazione qualitativa, non sempre positiva o negativa, ma profonda. L’alterazione del “colore della mente” suggerisce un cambiamento nella tonalità della percezione, nei sentimenti, nel giudizio, nell’orientamento della volontà. È una trasformazione che non riguarda solo il pensiero razionale, ma la totalità dell’essere.

In questa dimensione, il sogno si configura come forza poetica e politica allo stesso tempo. Poeticamente, è sorgente di visione, di immaginazione, di potenzialità creativa. Politicamente – nel senso più ampio e originario della parola, come disposizione a trasformare la propria vita o la realtà – è una forma di dissidenza interiore, di distanza rispetto alla rigidità delle convenzioni sociali, al destino imposto, alle gabbie dell’identità costruita.

Catherine Earnshaw  e il tempo

Emily Brontë, nella voce di Catherine, ci parla anche del tempo. Il sogno attraversa il tempo e l’identità, dunque sopravvive alla giovinezza, alle scelte sbagliate, ai traumi. In questo senso, è un veicolo di memoria e di resistenza. Catherine non dimentica, non rimuove: interiorizza. Il sogno non è stato realizzato, ma è diventato parte del suo modo di pensare, ha “cambiato le sue idee”. È una forma di realizzazione profonda, più autentica di qualsiasi esito esterno.

Questa visione si oppone radicalmente all’idea moderna di sogno come “progetto” o “ambizione da raggiungere”. Per Brontë – e per Catherine – il sogno è qualcosa che abita l’anima, che la plasma, che la rende altra. È ciò che trasforma senza imporsi, che incide senza apparire. La sua natura è liquida, intima, silenziosa.

In conclusione, la citazione ci consegna una straordinaria meditazione sull’interiorità umana. Ci ricorda che siamo anche, e forse soprattutto, ciò che abbiamo sognato. Che non tutto ciò che conta deve essere realizzato per essere vero. Che alcune delle nostre trasformazioni più autentiche derivano non da eventi visibili, ma da visioni invisibili, che attraversano il tempo e noi stessi. Ed è forse proprio in questa alterazione silenziosa che si nasconde la vera poesia dell’essere.

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