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Una frase di Eduardo Galeano sulla memoria e sulla felicità

Leggiamo assieme questa divertente citazione di Eduardo Galeano tratta dal suo volume "Il libro degli abbracci", sul rapporto tra memoria e felicità.

Nel breve brano tratto da Il libro degli abbracci, Eduardo Galeano ci regala un momento di meditazione fulminea e incisiva sulla memoria e sulla felicità, due dimensioni fondamentali dell’esperienza umana. Il testo inizia come un’annotazione casuale: “Sto leggendo un racconto di Louise Erdrich”. Una frase semplice, quasi trascurabile. Ma da lì, con poche righe, Galeano costruisce un’immagine potente, che tocca in profondità il senso del tempo, dell’identità e del legame tra ricordo e consapevolezza.

“A un certo punto, un bisnonno incontra il bisnipote. Il bisnonno, completamente rimbambito (i suoi pensieri hanno il color dell’acqua), sorride con la stessa beatitudine del bisnipote appena nato. Il bisnonno è felice perché ha perduto la memoria. Il bisnipote è felice perché, per il momento, non ne ha alcuna.”

Eduardo Galeano, tra ironia e serietà

La scena è tenera e insieme inquietante: due figure umane agli estremi opposti della vita si trovano in uno stato simile, entrambe prive di memoria, entrambe immerse in una beatitudine inconsapevole. Il bisnipote, appena nato, non ha ancora iniziato a ricordare. Il bisnonno, ormai molto anziano e smarrito, ha dimenticato tutto. Entrambi, per motivi opposti, vivono fuori dal tempo psicologico, da quel flusso continuo di esperienze, giudizi e significati che chiamiamo memoria.

Galeano conclude con una frase spiazzante:

“Ecco, mi dico, la perfetta letizia. A me non interessa.”

È una riflessione che spezza il tono contemplativo e introduce un elemento ironico, ma anche tragico. La “perfetta letizia” di cui parla è la felicità perfetta, assoluta, quella che nasce dal non sapere, dal non ricordare, dal non dover affrontare il peso della storia personale e collettiva. Eppure, Galeano la rifiuta. A lui non interessa. Perché?

La memoria come responsabilità

Galeano è stato, per tutta la sua vita, uno scrittore impegnato. Nei suoi testi, che siano racconti brevi, cronache, poesie o frammenti lirici, torna sempre il tema della memoria storica. Dall’America Latina violata dalle dittature, alle voci dimenticate dei popoli indigeni, ai racconti degli oppressi e dei desaparecidos, Galeano ha fatto della memoria il cuore della sua scrittura. La memoria, per lui, non è un accessorio dell’identità, ma la sua stessa ossatura. È ciò che ci dà coscienza del mondo e di noi stessi. È anche ciò che ci impone di agire, di non dimenticare le ingiustizie, di cercare una verità scomoda e dolorosa ma necessaria.

In questo senso, la perfetta letizia data dall’assenza di memoria è un’illusione che può attrarre, ma che Galeano sceglie di rifiutare. Non perché non desideri la felicità — chi non lo vorrebbe? — ma perché una felicità senza consapevolezza è, per lui, vuota, una beatitudine vegetale, che ci riduce a esseri privi di radici.

I pensieri del colore dell’acqua

Una delle immagini più suggestive del brano è quella del bisnonno i cui “pensieri hanno il color dell’acqua”. È una metafora delicata, che evoca la trasparenza, la leggerezza, ma anche la confusione. L’acqua non ha forma propria, riflette ciò che ha attorno, e può dissolvere o cancellare. I pensieri dell’anziano, in questa visione, non sono più concreti, articolati, né legati a un passato. Sono fluttuanti, liquidi, senza contorni. È una condizione in cui l’identità personale si sfalda, e ciò che rimane è un sorriso. Un sorriso che somiglia a quello del neonato, privo ancora di parole e significati.

Ma è proprio in questo parallelismo che si gioca la riflessione finale. È vero: la perdita della memoria può, in apparenza, liberare dal dolore. L’oblio può essere un rifugio dalla sofferenza. Tuttavia, non possiamo scegliere di vivere in quello stato. Non possiamo, e forse non dobbiamo. Perché ciò che ci rende umani è anche la capacità di portare con noi i ricordi, la storia, il dolore.

La frase “A me non interessa” non va letta come un semplice gesto di distacco. È, invece, un’affermazione etica. Galeano rifiuta quella forma di felicità che richiede l’abbandono della memoria, perché sa che è proprio il ricordare a renderci liberi. Senza memoria non c’è possibilità di giustizia, di crescita, di cambiamento. E anche la gioia, senza coscienza, diventa qualcosa di vuoto, di inconsistente.

La beatitudine degli estremi — dell’inizio e della fine della vita — è forse un dono naturale, ma non è il modello di felicità a cui aspira chi scrive, chi lotta, chi ama con coscienza. La vera letizia, sembra suggerire Galeano, non è quella dell’ignaro, ma quella dell’uomo che, pur portando il peso della memoria, continua a sorridere, a costruire, a cercare.

In poche righe, Edoardo Galeano ci spinge a riflettere su ciò che vogliamo davvero dalla vita. Una serenità senza pensiero? Un’esistenza sgombra da ricordi e da dolore? Oppure una vita piena, anche se attraversata da ferite, perché animata dalla memoria, dalla coscienza e dalla responsabilità?

La perfetta letizia, quella che esiste nell’oblio o nell’innocenza, non ci appartiene. Forse ci sfiora nei primi giorni o negli ultimi, ma il resto della nostra vita si gioca altrove: nella scelta consapevole di ricordare, di comprendere, e, malgrado tutto, di continuare ad amare.

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