Una frase di Edgar Allan Poe in attesa di Halloween

29 Ottobre 2025

Leggiamo assieme questa citazione del padre del romanzo dell'orrore Edgar Allan Poe, in attesa nel giorno di Halloween

Una frase di Edgar Allan Poe in attesa di Halloween

La citazione di Edgar Allan Poe è una delle più profonde e inquietanti riflessioni sull’ambivalenza dell’animo umano, sul fascino del pericolo e sull’attrazione dell’abisso, insomma, perfetta per il fosco, plumbeo giorno di Halloween.
In queste parole Poe indaga non tanto la paura della caduta, quanto la sua seduzione: l’oscura voglia di cedere, di lasciarsi andare verso ciò che ci spaventa, come se nel disastro si nascondesse un segreto appagamento. È il ritratto perfetto della mente moderna, divisa tra ragione e impulso, tra il desiderio di sopravvivere e quello di dissolversi.

Siamo sull’orlo di un burrone. Diamo un occhiata all’abisso. La nausea e le vertigini ci assalgono. Il primo impulso è allontanarci dal pericolo. Inspiegabilmente, rimaniamo. A poco a poco la nausea, le vertigini, l’orrore, sono sopraffatti da un nebuloso sentimento senza nome. Per gradi ancora più impercettibili, la nuvola prende forma, come il vapore da cui, nelle Mille e una notte, esce il genio della lampada.

Ma questa nostra nuvola, sull’orlo del precipizio, sempre più palpabile, prende una forma ben più terribile di qualsiasi genio, di qualunque demone da favola: non è altro che un’idea, anche se un’idea spaventosa, che ci gela il midollo nelle ossa con la forza e la delizia del suo orrore. Ed è semplicemente l’idea di quali sarebbero le nostre sensazioni se cadessimo rovinosamente da quell’altezza.

E questa caduta, il fulmineo annientamento che ne seguirebbe, per il semplice motivo che evocano la più spaventosa e orrenda tra le più spaventose e orrende immagini di morte e sofferenza che mai si siano presentate alla nostra immaginazione, per questo semplice motivo la desideriamo ardentemente. E poiché la ragione cerca con forza di strapparci dall’orlo dell’abisso, proprio per questo ci avviciniamo con impeto.

Non esiste in natura una passione più infernale e compulsiva di quella per la quale uno, pur rabbrividendo sull’orlo di un precipizio, medita di gettarvisi. Indugiare per un attimo, cercar di pensare, porterà inevitabilmente alla rovina. Perché la ragione ci impone di ritirarci, e proprio per questo ritirarci non possiamo. Se un braccio amico non ci sostiene, o se con uno sforzo improvviso non riusciamo a tirarci indietro, precipiteremo e saremo annientati.

L’attrazione dell’abisso: una metafora dell’inconscio per Edgar Allan Poe

L’immagine del burrone è potente, universale. Da sempre l’uomo si confronta con l’abisso — fisico o interiore — come con il simbolo estremo del limite. Guardare giù, verso il vuoto, significa contemplare il confine tra essere e non essere, tra vita e annientamento. Eppure, ci dice Poe, proprio in quell’istante nasce una forza contraria alla sopravvivenza: un desiderio oscuro, quasi irresistibile, di cedere al richiamo del vuoto.

Questo paradosso — il bisogno di resistere e l’impulso a lasciarsi cadere — è la chiave della sua riflessione. Edgar Allan Poe non parla soltanto del rischio fisico, ma di una verità psicologica profonda: l’uomo è attratto da ciò che teme. L’abisso è il luogo simbolico dell’inconscio, dove si annidano le pulsioni più segrete, le tentazioni che la coscienza non riesce a dominare. Guardare l’abisso significa guardare dentro se stessi, affrontare il lato oscuro che ogni essere umano porta con sé.

Nietzsche, anni dopo, avrebbe detto: «Chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso guarderà dentro di te». Edgar Allan Poe anticipa questa visione: l’abisso non è solo un pericolo esterno, ma una realtà interiore, che ci restituisce la nostra stessa immagine deformata dal desiderio e dalla paura.

Il piacere dell’orrore

Edgar Allan Poe descrive con minuzia il processo psicologico di questa attrazione: dapprima la nausea, le vertigini, l’istinto di fuggire; poi, gradualmente, un “sentimento senza nome” che prende forma, come una nuvola che diventa figura. È l’idea — e qui sta il cuore del suo pensiero — che si trasforma in desiderio. La mente, immaginando la caduta, ne avverte l’orrore e al tempo stesso ne prova una sorta di delizia segreta.

Il fascino dell’orrore è, in fondo, il fascino del limite. Ciò che ci spaventa ci attira, perché ci fa percepire la vita in tutta la sua intensità. Nell’istante in cui pensiamo di morire, ci scopriamo vivi come mai prima. È il medesimo meccanismo che spinge l’uomo verso le passioni distruttive, le scelte pericolose, i pensieri proibiti. Edgar Allan Poe lo chiama “passione infernale e compulsiva”: la tentazione di sfidare la morte, la vertigine di avvicinarsi troppo al baratro, sapendo di non poter tornare indietro.

Questa attrazione per la rovina è uno dei temi centrali di tutta la sua opera. Dalle storie di follia e ossessione come Il cuore rivelatore e Il barile di Amontillado, fino a racconti di dissoluzione come Il demone della perversità, Poe rappresenta sempre l’uomo che, pur consapevole del male, non può fare a meno di compierlo. L’idea del male, dice, esercita su di noi un fascino irresistibile. Non la compiamo per ignoranza, ma per desiderio di provarne la forza.

Ragione e impulso: la battaglia interiore

La tensione tra razionalità e impulso è ciò che rende questa pagina di Edgar Allan Poe così moderna. Egli scrive che “la ragione ci impone di ritirarci, e proprio per questo ritirarci non possiamo”: una frase che anticipa di decenni le scoperte della psicoanalisi.
Freud avrebbe poi descritto la stessa contraddizione come conflitto tra principio di piacere e principio di realtà: l’uomo desidera ciò che lo distrugge, anche quando la mente razionale gli impone di evitarlo. Poe, però, non formula teorie: rappresenta questa battaglia con la forza dell’immagine poetica.

La sua prosa, densa e visiva, trasforma un pensiero filosofico in un’esperienza sensoriale. L’orrore non è solo descritto, è vissuto. Sentiamo le vertigini, il gelo del midollo, la paura che si fa attrazione. È come se il lettore stesso fosse sull’orlo del burrone, costretto a riconoscere la propria inclinazione segreta verso il disastro.

L’idea come demone

Un passaggio straordinario del testo paragona l’idea della caduta a un “genio della lampada” che emerge dal vapore. È una delle intuizioni più geniali di Poe: le idee, una volta evocate, diventano entità autonome, dotate di forza propria. L’idea della caduta, come un demone, prende forma e dominio sulla mente. È il potere dell’immaginazione — capace di generare realtà interiori tanto forti da sfidare la ragione.

Per Edgar Allan Poe, il pensiero non è neutro: pensare qualcosa è già in parte compierlo. Da qui la sua ossessione per l’inevitabilità della rovina. Quando la mente immagina l’abisso, ne diventa prigioniera. Solo “un braccio amico”, dice l’autore, può salvarci: cioè un gesto esterno, una forza che venga da fuori — l’amicizia, l’amore, la fede — capace di interrompere il ciclo dell’autodistruzione.

Nell’epoca contemporanea, dominata da ansia, rischio e attrazione per il limite, le parole di Poe risuonano con un’attualità impressionante. Il burrone non è più solo una metafora fisica: è il nostro rapporto con il digitale, con la dipendenza, con l’autosabotaggio. È il punto in cui la ragione ci dice di fermarci, ma la curiosità ci spinge oltre.

Guardare l’abisso, oggi, è scrollare una pagina, aprire una notizia terribile, sfidare la propria paura per sentire di esistere. Edgar Allan Poe, con la sua prosa febbrile e lucida, ci avverte che ogni uomo porta dentro di sé quell’abisso: e che la vera forza non sta nel non provarne attrazione, ma nel riconoscerla e resistervi.

© Riproduzione Riservata