«Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.» Questa frase di Dino Buzzati, tratta da Il deserto dei Tartari, non è soltanto un’osservazione sul mondo onirico, ma una chiave di lettura profonda dell’intero romanzo e, più in generale, della condizione umana. Il sogno, nella scrittura buzzatiana, non è mai un semplice fenomeno psichico: è una metafora esistenziale, un’immagine che scivola continuamente tra ciò che è reale e ciò che potrebbe non esserlo. Il confine sfumato tra questi due piani è uno dei temi centrali dell’opera e della poetica dell’autore.
Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare
Dino Buzzati: un maestro del racconto
La citazione richiama un elemento fondamentale: il sogno è sempre attraversato da una logica imperfetta, da una qualità di irrealtà che non si riesce a mascherare completamente. Anche quando nel sogno gli eventi sembrano scorrere con una certa coerenza, qualcosa, nel fondo della coscienza, permane come indizio: una vibrazione, una perplessità, una lieve estraneità. Buzzati coglie perfettamente questa caratteristica e la traduce in immagine narrativa per descrivere un sentimento che, nel Deserto dei Tartari, investe non soltanto l’esperienza del dormire ma anche quella del vivere.
Il protagonista del romanzo, Giovanni Drogo, arriva alla Fortezza Bastiani con la speranza di trovare un senso, una direzione, un luogo in cui realizzare la propria vocazione militare e umana. Tuttavia, il suo tempo nella fortezza scorre lentamente, scandito da attese interminabili, da promesse mai mantenute, da segnali ambigui di un possibile attacco dei Tartari che non avviene mai. Il mondo in cui vive Drogo sembra dunque impregnato dello stesso “assurdo e confuso” che caratterizza i sogni descritti da Buzzati. C’è una sospensione, una lentezza irreale che rispecchia quella vaga sensazione di falsità evocata nella citazione: l’impressione che, a un certo punto, ci si debba svegliare, come se la vita alla Fortezza non fosse del tutto vera.
Dino Buzzati utilizza il sogno come una lente attraverso cui leggere l’esistenza, perché il sogno è lo spazio in cui il tempo smette di essere lineare, gli eventi si distorcono, le aspettative si frammentano. Allo stesso modo, nella vita di Drogo, il tempo assume una consistenza liquida: anni interi passano in un lampo o si dilatano in una monotonia apparentemente infinita. La sensazione che “un bel momento ci si dovrà svegliare” diventa l’immagine stessa dell’attesa eterna che caratterizza il romanzo e che si rivela, nel finale, un tragico abbaglio. Drogo non si sveglia mai dalla sua illusione, perché la vita è finita mentre lui era ancora in attesa di cominciare a viverla davvero.
L’assurdità che caratterizza i sogni, secondo Buzzati, coincide con l’assurdità della vita quando è posta sotto il segno dell’attesa. Il sogno non ha un centro stabile, una direzione definita: è un vagare. L’esistenza di Drogo è, in fondo, la stessa cosa. Il suo scopo sembra sempre a un passo, sempre imminente, ma non arriva mai. Questo sentimento di precarietà è lo stesso che il narratore attribuisce ai sogni: il sospetto perenne che tutto sia fragile, provvisorio, inaffidabile. Ed è proprio questa sensazione che rende il romanzo così profondamente inquietante e universale.
Tra sogno e realtà
La citazione suggerisce anche un altro tema centrale della poetica di Dino Buzzati: il confine tra illusione e realtà. Nei sogni, anche quando crediamo per un momento che ciò che stiamo vivendo sia autentico, rimane in noi un nucleo di consapevolezza che ci sussurra che non può essere così. È un dubbio che non si dissolve. Buzzati, trasportando questa dinamica nella vita reale, sembra dirci che spesso viviamo esistenze fondate su illusioni invisibili: piani futuri che non realizzeremo, promesse che non manterremo a noi stessi, mete che continuiamo a rimandare. Il mondo della Fortezza è costruito su un miraggio – l’arrivo dei nemici – che tiene in vita la motivazione dei soldati ma che allo stesso tempo li imprigiona.
Da questo punto di vista, il “risveglio” evocato nella citazione assume una valenza tragica: è il momento della disillusione, della scoperta che il tempo è passato e che il senso atteso non è arrivato. Il lettore sa che Drogo si sveglierà troppo tardi, e proprio questa consapevolezza dà al romanzo la sua forza emotiva. La vita stessa, sembra suggerire Buzzati, può essere un sogno che si dissolve troppo tardi per poter essere cambiato.
La citazione, dunque, non parla soltanto dei sogni, ma del rapporto che ciascuno di noi intrattiene con la propria vita: con ciò che desidera, con ciò che teme, con le speranze che rimanda al futuro. Vivere in attesa significa muoversi in un mondo permeato dall’assurdo e dal confuso, come nei sogni, dove tutto sembra avere un senso e allo stesso tempo nessuno. Buzzati ci avverte che la vita, come il sogno, porta con sé una promessa e una minaccia: la promessa di un significato profondo, e la minaccia che, alla fine, potremmo non trovarlo mai.