Una frase di Dino Buzzati sul tempo che passa

16 Ottobre 2025

Leggiamo assieme questa frase di Dino Buzzati sul tempo che inesorabilmente passa e cambia noi e tutto ciò che ci circonda.

Una frase di Dino Buzzati sul tempo che passa

In questa frase, tratta da una riflessione di Dino Buzzati, si concentra l’essenza del suo pensiero più profondo: il senso tragico e insieme poetico del tempo che passa, inafferrabile e inesorabile. Dino Buzzati, scrittore, giornalista e pittore, fu uno dei più lucidi osservatori dell’esistenza moderna, capace di trasformare la quotidianità in allegoria e la percezione del tempo in materia narrativa. Il suo sguardo unisce ironia e sgomento, realtà e metafisica: il tempo, nella sua scrittura, non è soltanto una misura, ma una presenza viva, un’entità che accompagna, consuma e trasforma gli esseri umani.

«Ho visto correre il tempo, ahimè, quanti anni e mesi e giorni, in mezzo a noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocità spaventosa, benché non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo da che mondo è mondo.»

Dino Buzzati e il tempo

«Ho visto correre il tempo» — l’incipit della citazione introduce una personificazione potente. Buzzati non dice “ho visto passare il tempo”, ma “correre”. Il verbo evoca una velocità, una forza dinamica, una tensione continua. Il tempo non scorre placido: corre, travolge, trascina. È un concorrente invisibile ma imbattibile, un atleta senza volto che supera ogni macchina umana.

Nella seconda parte della frase, Dino Buzzati osserva il segno più evidente di questa corsa: «cambiandoci la faccia a poco a poco». Il tempo non è un’astrazione: si manifesta nei corpi, nei volti, nelle trasformazioni lente e irreversibili che accompagnano la vita. È un nemico cortese, che agisce senza clamore, ma con costanza assoluta. Ogni giorno, con discrezione, modifica i lineamenti, scava rughe, sbiadisce colori. Così l’uomo si ritrova spettatore impotente di un processo che nessun progresso può arrestare.

Buzzati aveva una percezione quasi fisica del tempo: lo vedeva e lo sentiva come una forza concreta, qualcosa che “sta in mezzo a noi uomini”. Non un’entità lontana, ma una presenza quotidiana, insinuata nei gesti, negli orologi, nelle attese, nei rimpianti.

La velocità spaventosa del tempo moderno

Nella seconda parte della citazione, il tono si fa ironico e al tempo stesso profetico: «la sua velocità spaventosa, benché non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo». L’accostamento tra il tempo e i mezzi di trasporto moderni — simboli della velocità e del progresso tecnologico — non è casuale.

Buzzati, cronista del Corriere della Sera, aveva seguito a lungo gare automobilistiche e imprese sportive: conosceva bene il fascino e il mito della velocità del Novecento. Ma qui rovescia quella fascinazione in paradosso: nessuna macchina, per quanto rapida, potrà mai eguagliare la corsa del tempo. L’uomo moderno, che si vanta di dominare lo spazio con i suoi mezzi, dimentica che è dominato dal tempo, e che il tempo corre sempre più veloce di lui.

L’ironia (“benchè non cronometrata”) accentua la drammaticità del pensiero. Il tempo non si lascia misurare, non si presta a calcoli o a statistiche: eppure, il suo passaggio è più devastante di qualsiasi impresa tecnologica. In questo senso, la frase di Buzzati è anche una critica alla modernità: all’illusione di poter controllare tutto, di poter sfuggire alla morte attraverso la velocità, la tecnica, la produzione.

Buzzati e la dimensione metafisica del tempo

La corsa del tempo è un tema ricorrente in tutta l’opera di Buzzati. Nel celebre Il deserto dei Tartari, il protagonista Giovanni Drogo attende per anni l’arrivo di un evento che non accade mai, finché la vita gli sfugge silenziosamente. In Sessanta racconti, il tempo assume spesso i tratti di un nemico invisibile, un orologio che scandisce la fine imminente, un confine che nessuno può varcare.

In Buzzati, la percezione del tempo è legata a un senso di attesa e di perdita. L’uomo vive nella speranza di qualcosa — il successo, l’amore, la gloria — ma il tempo continua a correre, senza fermarsi. La tragedia non è solo nella fine, ma nella consapevolezza che la fine si avvicina in ogni istante.

E tuttavia, accanto alla paura, c’è in Buzzati anche un senso poetico del tempo: il riconoscimento della sua bellezza, del suo mistero. Il tempo non è solo distruzione; è anche trasformazione, metamorfosi, esperienza. “Cambiandoci la faccia a poco a poco”, esso ci costringe a vedere chi siamo, ci obbliga a riconoscere la fragilità della vita e, proprio per questo, a viverla più intensamente.

Il tempo come misura dell’umano

Il passo di Dino Buzzati, con il suo tono ironico e amaro, ci ricorda che il tempo è la vera misura dell’uomo. Tutto ciò che facciamo — lavorare, amare, creare, costruire — lo facciamo dentro un intervallo limitato. La consapevolezza della corsa del tempo è ciò che dà valore alla vita.

Buzzati ci mette di fronte a una verità elementare ma dimenticata: nessuno può vincere il tempo, ma tutti possiamo sceglierne il ritmo. Possiamo viverlo come una gara disperata o come una danza lenta. Possiamo lasciarci travolgere o imparare a convivere con la sua velocità

La riflessione di Buzzati sulla “velocità spaventosa” del tempo resta oggi più attuale che mai. Viviamo in un’epoca che ha moltiplicato la velocità in ogni ambito — informazione, tecnologia, consumo — ma che continua a non sapere che farsene del tempo. Siamo più rapidi, ma non più consapevoli; più connessi, ma meno presenti.

Buzzati, con la sua ironia malinconica, ci ricorda che il tempo non si vince: si guarda, si ascolta, si accetta. E forse, nella sua corsa incessante, ciò che possiamo salvare non è la giovinezza o la potenza, ma la coscienza di esistere, anche solo per un attimo, dentro quel flusso che nessun “aeroplano-razzo” potrà mai raggiungere.

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