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Una frase di Corrado Augias sulle origini della Pasqua

Leggiamo assieme questa citazione di Corrado Augias tratta dal suo saggio-romanzo "Le ultime diciotto ore di Gesù", in cui parla della Pasqua.

La citazione di Corrado Augias tratta dal suo libro Le ultime diciotto ore di Gesù offre una riflessione profonda e, soprattutto, storica sul significato originario e sull’evoluzione della Pasqua nel pensiero cristiano e nella memoria collettiva. Il passaggio che Augias propone non è solo una disamina storica delle radici di una festività religiosa, ma anche un’indagine sul senso di una promessa che, da duemila anni, resta sospesa tra fede e scetticismo.

È il tempo dell’anno che coincide con il risveglio di primavera; già le antiche comunità pastorali e agricole lo celebravano come festa di resurrezione. In quei giorni venne fissata la liberazione del popolo ebraico dalla schiavitú del faraone. In quei giorni i cristiani celebrano il ritorno in vita del Dio fatto uomo tre giorni dopo il suo martirio. Due ritorni alla vita che si rifanno entrambi alla generale resurrezione della natura; infatti la Pasqua viene festeggiata con i simboli della fecondità e della vita a cominciare dal salame e dalle uova, lampanti simboli fallici, se mai altri.

Corrado Auguias e l’importanza della Pasqua nella storia dalla Passione

Nel cristianesimo delle origini, come sottolinea Augias, il tema della resurrezione non era un concetto marginale riservato alle prediche della domenica di Pasqua, ma il cuore stesso della fede. San Paolo, che pure non aveva conosciuto Gesù durante la sua vita terrena, fu il primo e più deciso sostenitore della necessità di credere in quel ritorno alla vita. Scrivendo ai Corinzi (1Cor 15,14), Paolo formula una delle frasi più potenti e categoriche della teologia cristiana: «Se Cristo non è resuscitato, vana è la nostra fede».

In quelle parole, più che un’esortazione, c’è una consapevolezza drammatica: il cristianesimo si fonda su un evento soprannaturale e senza precedenti, e senza di esso non avrebbe senso né valore. È un’ammissione di fragilità e di rischio, perché lega l’intera costruzione spirituale e morale della nuova religione a un fatto che, allora come oggi, risulta difficilmente credibile per chi osservi la realtà con sguardo laico.

Corrado Augias osserva giustamente come, oggi, l’argomento resurrezione sia ormai confinato al periodo pasquale, ridotto a suggestione liturgica più che a credenza viva. La fede nella resurrezione dei morti è un concetto che, nel mondo contemporaneo, appare quasi anacronistico. La scienza, la filosofia moderna e la razionalità hanno allontanato l’uomo dal pensiero di un’esistenza oltre la morte intesa in senso fisico. La morte, nella società odierna, è accettata come un confine ultimo, e il Regno dei Cieli annunciato da Paolo sembra essersi dissolto nella lontananza di un’attesa mai avverata.

Eppure, continua Augias, anche nei primi secoli della nuova fede, quella promessa cominciò a vacillare sotto il peso del tempo e del realismo. Lo stesso Paolo, nella prima lettera ai Corinzi, avverte i fedeli che “il tempo ormai si è fatto breve”, invitandoli a vivere come se già fossero alle soglie del Regno. Il tono urgente di quelle esortazioni testimonia l’ansia di un’epoca in cui l’attesa di una fine imminente e di una rinascita universale sembrava plausibile. Quando invece il tempo passava, il mondo restava uguale, i morti continuavano a morire e i vivi a lottare per sopravvivere.

La resurrezione, intesa come vittoria sulla morte e promessa di vita eterna, affonda però le sue radici molto più indietro rispetto al cristianesimo. La festività di Pasqua ha origini antichissime, come ricorda Augias citando il passo del libro dei Numeri (28, 16-17). Nella tradizione ebraica, Pesach celebra la liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto, evento fondante della coscienza collettiva di un popolo. È una festa di passaggio, di rinascita nazionale e spirituale, segnata dal pane azzimo e dall’agnello sacrificale.

Corrado Augias e lo studio dalla Pesach alla Pasqua

Il cristianesimo eredita e rielabora questa simbologia collocando la resurrezione di Cristo in coincidenza con Pesach. È il periodo del primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera, quando la natura si risveglia e la vita rifiorisce. Non è un caso che molte antiche civiltà agricole celebrassero in quei giorni riti di rinascita e fecondità. I simboli della Pasqua cristiana – le uova, il salame, la colomba – conservano ancora oggi tracce di quei riti primaverili ancestrali, dove la fertilità e il ritorno della vita dopo l’inverno erano oggetto di festa e di speranza.

In questa convergenza di festività, riti pagani e messaggi religiosi, Augias vede un esempio di come le religioni abbiano sempre cercato di dialogare con il ritmo della natura e con il bisogno umano di speranza di fronte al mistero della morte. La resurrezione cristiana non è dunque soltanto un dogma di fede, ma anche un archetipo culturale che sopravvive nella memoria dei popoli, nelle tradizioni stagionali e nella liturgia.

E se oggi, come nota Corrado Augias, quella promessa di resurrezione sembra svanire nel pensiero di molti, resta comunque il valore di un racconto millenario che ha saputo dare senso alla paura umana della fine. Anche se il Regno promesso da Paolo non è mai arrivato, l’idea di una vita che sconfigge la morte, di una rinascita spirituale o simbolica, continua a esercitare un fascino profondo. È forse questo il vero senso della Pasqua contemporanea: non la certezza di un miracolo, ma il bisogno inestinguibile di credere in una possibilità di rinascita, ogni anno, ogni primavera, ogni volta che il mondo sembra spegnersi e poi rifiorire.

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