Nella terza strofa della poesia Contro la seduzione, Bertolt Brecht affonda la lama nel cuore della coscienza individuale e collettiva, chiamando il lettore a un’esortazione che non ha nulla di consolatorio, ma tutto dell’urgenza e della consapevolezza critica. I versi recitano:
Non lasciatevi consolare!
Di tempo, non ne avete troppo!
Lasciate il marcio a chi è redento.
La vita è il bene più immenso:
non è più vostra, dopo.
In queste poche righe, serrate e nitide, si condensa una delle intuizioni più profonde del poeta tedesco: la necessità di resistere alla seduzione del conforto, della rassegnazione, dell’attesa passiva. In un mondo segnato da ingiustizia, guerra e disuguaglianza, “lasciarsi consolare” è una colpa, o almeno una complicità.
La consolazione come pericolo
L’apertura della strofa — Non lasciatevi consolare! — non è un invito alla disperazione, ma alla vigilanza. Bertolt Brecht vede nella consolazione un rischio di assopimento, una forma di seduzione ideologica che rende accettabile ciò che dovrebbe invece scandalizzare. Consolarsi significa, nel suo orizzonte critico, abituarsi al male, trovare pace nella sconfitta, adattarsi all’ingiustizia.
La consolazione diventa, in questo senso, uno strumento del potere, del mantenimento dello status quo. È ciò che consente ai sistemi oppressivi di perdurare: il popolo che si consola accetta il dolore senza ribellione, considera il proprio destino immutabile, si rifugia nell’illusione che tutto abbia un senso, anche quando non lo ha.
L’urgenza del tempo
Il secondo verso — Di tempo, non ne avete troppo! — introduce un elemento decisivo: l’urgenza. Non c’è tempo da perdere, dice Brecht. Non c’è tempo per piangersi addosso, né per cullarsi in speranze astratte o religiose promesse di redenzione. Il tempo dell’azione è ora, e ogni indugio può essere fatale.
Questo verso, nella sua asciuttezza, ricorda l’impostazione teatrale dell’epoca epica brechtiana: interrompere la narrazione, risvegliare il pubblico, strappare l’illusione scenica per ridare alla coscienza il ruolo attivo. Anche qui, nella poesia, Brecht si rivolge direttamente al lettore come a uno spettatore coinvolto, a cui si ricorda che non è semplice osservatore, ma protagonista di un tempo che brucia.
“Lasciate il marcio a chi è redento”
Il terzo verso è forse il più enigmatico, eppure centrale per la comprensione dell’intera strofa. “Lasciate il marcio a chi è redento” suona come un rovesciamento dei valori tradizionali. In molte religioni e ideologie, la redenzione è ciò che purifica, che riscatta il male. Ma Brecht, da pensatore laico e critico del potere spirituale come di quello politico, diffida della redenzione come meccanismo di lavaggio della coscienza.
Il “marcio” — ciò che è irrimediabilmente compromesso, corrotto, falso — spetta a chi si crede salvo, a chi si ritiene oltre il conflitto. Il redento, in questo senso, è colui che ha fatto pace con l’ingiustizia, che ha accettato l’ordine delle cose e vi ha trovato una rassicurazione. A lui spetta il marcio, perché ha rinunciato alla lotta. Chi invece rifiuta la consolazione deve anche rifiutare il marcio: deve cercare, pur nel dolore e nella difficoltà, una vita che sia ancora autentica, integra, viva.
La vita è il bene più immenso
Il penultimo verso risuona come una proclamazione universale: “La vita è il bene più immenso”. Qui Brecht non è nichilista, non cede alla disperazione. Al contrario, afferma con forza il valore assoluto della vita. Ma è una vita che non si può consumare nella rassegnazione, nella passività, nell’attesa. È una vita che esige di essere vissuta con coraggio, con coscienza, con responsabilità.
In questo verso si intrecciano umanesimo e lotta: la vita è il bene supremo proprio perché è finita, fragile, preziosa. Non è un’anticamera dell’eterno, né un sentiero verso la redenzione ultraterrena: è un campo d’azione, un tempo breve in cui agire, amare, scegliere.
“Non è più vostra, dopo”
L’ultimo verso chiude la strofa come un sigillo. Dopo la vita, non è più vostra. Nessuna consolazione potrà restituire il tempo perduto, nessuna promessa futura potrà compensare l’inerzia del presente. In questa frase si racchiude un pensiero quasi tragico, ma profondamente realistico: la vita è unica e irripetibile, e dopo di essa non resta che il silenzio, o il giudizio della storia.
Brecht, che visse in tempi di profonde lacerazioni — guerre mondiali, dittature, esili — non crede nelle illusioni salvifiche. La sua poesia, come il suo teatro, è fatta per svegliare, per destare, per richiamare l’uomo alla sua responsabilità storica e morale.
La strofa di Contro la seduzione qui analizzata non è solo una riflessione poetica: è un appello politico, etico, esistenziale. Brecht parla al lettore come a un compagno di lotta, a un essere umano che non deve lasciarsi anestetizzare, né spiritualmente né ideologicamente. Resistere alla consolazione è un atto di coscienza; vivere la propria vita fino in fondo, nella lucidità e nella tensione, è un atto di libertà.
In questo senso, la poesia diventa uno strumento di resistenza, non una fuga. E il poeta, più che consolatore, è un instancabile risvegliatore della coscienza.