I versi di Alexander Pope sulla grandezza dell’umiltà

17 Settembre 2025

Leggiamo questi versi del poeta inglese Alexander Pope che ci ricordano il valore inestimabile dell'umiltà.

I versi di Alexander Pope sulla grandezza dell'umiltà

I versi di Alexander Pope tratti da An Essay on Criticism racchiudono in poche parole una verità che riguarda non solo l’arte della critica letteraria, ma più in generale il rapporto umano con la conoscenza e con la trasmissione del sapere. Pope, poeta e saggista del Settecento, sapeva bene quanto fosse fragile l’orgoglio intellettuale dell’uomo, e come l’atto stesso dell’insegnare rischiasse di trasformarsi in una forma di imposizione o di ostentazione. Per questo il vero maestro, secondo lui, deve mascherare il proprio ruolo, deve avere la capacità di guidare senza apparire come colui che impone, deve far scoprire la verità come se fosse sempre stata lì, custodita dentro chi ascolta.

“Bisogna insegnare agli uomini avendo l’aria di non insegnare affatto,
proponendo loro cose che non sanno come se le avessero soltanto dimenticate”

Alexander Pope: insegnare senza ostentare

Il cuore del pensiero di Pope è racchiuso nella tensione tra insegnare e non sembrare di insegnare. Questa apparente contraddizione si risolve se si comprende che per l’autore l’atto educativo non è una trasmissione unidirezionale di contenuti, ma un processo dialogico. Se l’insegnante appare come colui che “possiede” il sapere e lo “concede” a un discepolo passivo, il rapporto si spezza: chi riceve percepisce una gerarchia e prova, talvolta, un senso di inferiorità o di resistenza.

Diverso è invece il caso in cui chi insegna sappia presentare le nozioni come scoperte condivise. In questo modo il discente non sente di ricevere un dono dall’alto, ma di riconquistare qualcosa che gli apparteneva, come un ricordo riaffiorato. Pope ci suggerisce che il miglior insegnamento è quello che non umilia, ma che rende protagonista chi apprende.

La pedagogia implicita nel Settecento

Il pensiero di Pope si inserisce nel clima culturale del Settecento, secolo che vide il fiorire dell’Illuminismo e di un nuovo modo di intendere la ragione e il sapere. La conoscenza non era più percepita come un privilegio riservato a pochi, ma come un bene universale, accessibile a tutti attraverso la corretta guida e l’educazione. In questo contesto, la delicatezza del maestro diventa cruciale: non deve imporre dogmi, ma stimolare la mente a riflettere.

Non a caso, molti pensatori illuministi — da Locke a Rousseau — sostenevano che l’educazione fosse tanto più efficace quanto più rispettava la natura del discente, la sua curiosità spontanea. Pope, pur scrivendo principalmente di critica letteraria, anticipa questa sensibilità pedagogica, indicando che la vera arte del trasmettere idee sta nella discrezione e nella leggerezza.

Il riconoscimento interiore

Il secondo elemento dei versi è altrettanto significativo: le cose insegnate devono essere percepite come ricordi risvegliati, non come nozioni estranee. Questa immagine rimanda a una lunga tradizione filosofica che parte da Platone, per il quale apprendere significava rievocare ciò che l’anima aveva già contemplato. Pope non intende riproporre in senso stretto la teoria platonica della reminiscenza, ma ne coglie l’intuizione psicologica: impariamo meglio quando sentiamo che ciò che apprendiamo risuona dentro di noi, che non è un corpo estraneo, ma una parte della nostra esperienza in attesa di emergere.

Questa concezione si applica bene alla critica letteraria, il tema centrale di Pope: l’opera del critico non deve mai apparire come una sentenza calata dall’alto, ma come un invito al lettore a riconoscere, in un testo, verità che già “sospettava”. La critica migliore, dunque, non inventa, ma svela.

Il valore didattico dei versi

Applicati oltre il contesto letterario, i versi di Pope diventano una vera e propria lezione di didattica. In ogni forma di insegnamento — dalla scuola alla formazione professionale, dalla filosofia alla scienza — il modo in cui le nozioni vengono trasmesse conta quanto, se non più, dei contenuti stessi.

Un docente che elenca concetti con arroganza può anche comunicare informazioni corrette, ma difficilmente susciterà entusiasmo o curiosità. Un maestro che, al contrario, si mette al servizio dell’allievo, che mostra i concetti come una scoperta comune, stimola un processo molto più profondo: la conoscenza diventa allora un atto di crescita personale, non una semplice memorizzazione.

Un principio ancora attuale

Nonostante i secoli trascorsi, le parole di Pope restano di straordinaria attualità. Nel mondo contemporaneo, in cui la conoscenza è potenzialmente accessibile a chiunque attraverso internet, il ruolo dell’insegnante non è più quello di depositario unico del sapere, ma di guida capace di orientare tra le infinite informazioni disponibili.

In questo scenario, l’idea di insegnare “avendo l’aria di non insegnare” diventa ancora più preziosa. L’insegnante del XXI secolo deve saper stimolare il pensiero critico, non solo trasmettere dati. E deve farlo con quella leggerezza che permette allo studente di sentirsi non subordinato, ma co-autore del proprio percorso di apprendimento.

Una lezione di umiltà

Infine, i versi di Pope possono essere letti anche come un monito all’umiltà di chi insegna o critica. Non esiste vera conoscenza senza la capacità di rispettare chi ascolta, senza la disponibilità a riconoscere che ogni uomo porta in sé intuizioni e potenzialità.

Il maestro che si nasconde dietro la discrezione, che rinuncia all’ostentazione, che lascia spazio al riconoscimento personale dell’allievo, non solo insegna meglio: costruisce relazioni basate sulla fiducia e sulla dignità reciproca.

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