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I versi di Alberto Moravia su tutte le nostre rinascite

Leggiamo questi versi di Alberto Moravia che potrebbero rivelarcisi salvifici perché ci ricordano che ognuno di noi rinasce giorno dopo giorno.

La poesia “Nascite e morti” di Alberto Moravia si apre con una riflessione folgorante:

“La mia vita
è cominciata
e poi è finita
e poi
è ricominciata
molte volte
Ho assistito
molte volte
alla mia nascita.”

In questi versi essenziali, sobri, quasi dimessi nella forma, Alberto Moravia racchiude una visione esistenziale stratificata e potente: l’idea che la vita umana non sia un’unica linea retta che scorre dall’inizio alla fine, ma un’esperienza fatta di interruzioni, cesure, rinascite interiori. La vita, ci dice il poeta, è fatta di più esistenze dentro un’unica esistenza.

La vita come trasformazione, nei versi di Alberto Moravia

Il poeta afferma: “la mia vita è cominciata e poi è finita”. È una dichiarazione sorprendente, quasi paradossale: come può la vita finire mentre siamo ancora vivi? La risposta non è biologica, ma esistenziale e simbolica. Qui Moravia parla di quelle “morti interiori” che ciascuno di noi attraversa nella vita: momenti di crisi, di rottura, di perdita, di disorientamento. Sono i momenti in cui la persona che eravamo non esiste più, e nasce qualcosa di nuovo, magari più consapevole, più fragile o più forte, ma sicuramente diverso.

Non si tratta quindi della morte fisica, definitiva, ma di una morte metaforica: quella che può avvenire per un dolore, una disillusione, una sconfitta, o anche per un cambiamento interiore che rompe l’equilibrio precedente. In questi momenti, ciò che eravamo finisce – e questo è un atto doloroso, ma anche necessario.

A questo momento di “fine” segue, nella poesia, l’affermazione: “e poi è ricominciata / molte volte”. La vita, dunque, è anche capacità di rinascere. Moravia sembra dirci che non si muore soltanto una volta, e allo stesso modo non si nasce soltanto una volta. Le nascite della nostra vita possono essere molteplici, e ciascuna di esse rappresenta un nuovo inizio, una possibilità di rigenerazione. È un pensiero vicino alla filosofia esistenzialista: l’uomo non è una natura fissa, ma un progetto che continuamente si costruisce.

La ripetizione di “molte volte” sottolinea proprio questo carattere ciclico dell’esistenza: non esiste un punto fermo, ma un fluire continuo. La vita non è una retta, ma una spirale che si avvolge su se stessa e si trasforma.

Assistere alla propria nascita

Il verso conclusivo – “ho assistito / molte volte / alla mia nascita” – è forse il più enigmatico e suggestivo. Che cosa vuol dire “assistere alla propria nascita”? La nascita, per definizione, è un evento in cui non siamo coscienti. Ma Moravia, da scrittore e pensatore acuto della coscienza moderna, capovolge questa idea: ci dice che, nella vita adulta, si può essere presenti alla propria rinascita. Si può essere testimoni consapevoli di quei momenti in cui si cambia profondamente, in cui si diventa qualcuno di nuovo.

Questa consapevolezza rende ogni “rinascita” un evento intimo e spirituale. Non si tratta di un cambiamento imposto dall’esterno, ma di una scelta interiore, una presa di coscienza. Significa guardarsi da fuori, capire che si sta diventando qualcosa di diverso, che una fase è finita e ne inizia un’altra. È un atto di lucidità, ma anche di vulnerabilità.

Moravia e l’identità

Questi versi si inseriscono perfettamente nella riflessione più ampia che Moravia ha condotto, in tutta la sua opera, sul tema dell’identità. Nei suoi romanzi, l’identità dei personaggi è spesso in crisi, sfuggente, ambigua. L’uomo, per Moravia, è un essere in bilico, mai pienamente padrone di sé, costantemente in lotta tra volontà e destino, tra corpo e coscienza, tra desiderio e morale.

In questa poesia, egli sintetizza in pochi versi questa complessità: l’io non è qualcosa di dato una volta per tutte, ma qualcosa che si costruisce, si distrugge e si ricostruisce nel tempo. E ciò accade molte volte. L’identità non è una monade, ma una serie di immagini, esperienze, “vite” che si accumulano.

La forza di questi versi sta anche nel loro minimalismo formale. Poche parole, frasi brevi, quasi infantili nella costruzione: eppure proprio questa semplicità accentua il peso di ogni parola. Moravia, più noto come narratore che come poeta, dimostra qui una straordinaria capacità di dire molto con pochissimo, di mettere in versi l’essenza del vivere.

Ciò che emerge è una visione del tempo personale, vissuto, intimo. Non è il tempo cronologico, ma il tempo della coscienza, il tempo dell’anima. E in questo tempo, la vita si frantuma e si ricompone più volte.

“Nascite e morti” non è solo una poesia sull’identità, ma anche una riflessione sulla resilienza, sulla trasformazione, sull’eterno ritorno dell’essere umano a se stesso. Moravia ci invita a pensare alla nostra vita non come a una corsa lineare, ma come a un viaggio fatto di ripartenze, di scoperte e di auto-rivelazioni. Ogni volta che qualcosa in noi muore, abbiamo l’opportunità di rinascerne testimoni consapevoli. E, in fondo, è proprio questa la più autentica esperienza dell’essere vivi.

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