Charles Dickens non è soltanto uno dei più grandi narratori dell’Ottocento: è una coscienza letteraria che continua a interrogarci. I suoi romanzi, spesso ambientati in una Londra cupa e stratificata, popolata da bambini sfruttati, adulti corrotti, poveri invisibili e ricchi indifferenti, non sono mai semplici storie. Sono radiografie morali. Ogni frase di Dickens sembra portare con sé un giudizio, ma anche una possibilità di redenzione.
La sua scrittura nasce dall’esperienza diretta della povertà, dal lavoro minorile, dall’osservazione spietata delle ingiustizie sociali. Eppure Dickens non è mai cinico: anche quando denuncia, lo fa con una profonda fiducia nell’essere umano, nella capacità di cambiare strada, di scegliere diversamente.
Le frasi che seguono non sono aforismi isolati, ma frammenti di una visione del mondo complessa, spesso dolorosa, sempre profondamente etica. Letti oggi, suonano sorprendentemente attuali: parlano di comunicazione, di paura, di ignoranza, di responsabilità, di empatia. E soprattutto ricordano che il male non nasce mai dal nulla, ma dall’abitudine a non guardare.
10 frasi di Charles Dickens sull’animo umano e le sue sfaccettature
Leggere Dickens oggi significa accettare uno sguardo che non consola facilmente, ma che non smette mai di credere nella possibilità di cambiare. Le sue frasi non offrono soluzioni semplici, ma pongono domande urgenti: che tipo di società stiamo costruendo? Chi stiamo lasciando indietro? Che responsabilità abbiamo nei confronti degli altri?
Dickens ci insegna che la letteratura non serve solo a raccontare storie, ma a formare coscienze. E che, forse, la vera eredità dei grandi scrittori non è la bellezza delle parole, ma la capacità di renderci un po’ più attenti, un po’ più umani.
Le frasi
«Se la malattia e la tristezza sono contagiose, non c’è niente al mondo così irresistibilmente contagioso come il riso e il buonumore.»
Dickens riconosce il potere emotivo delle relazioni umane. Se il dolore si diffonde, anche la gioia può farlo. È una frase che ribalta l’idea della sofferenza come destino inevitabile: il buonumore non è superficialità, ma un atto di resistenza, una forza capace di rompere il circolo della disperazione.
«Perché dubiti dei tuoi sensi? Perché un nonnulla basta a turbarli.»
Qui emerge il tema della fragilità umana. Dickens ci ricorda quanto poco basti per incrinare le nostre certezze: una parola, un’ombra, una paura. È un invito alla vigilanza interiore, ma anche alla compassione verso chi vacilla.
«Meglio non avere occhi, piuttosto che averli cattivi.»
Non vedere è meno grave che vedere male. Dickens colpisce il cuore dell’ipocrisia morale: lo sguardo deformato dal pregiudizio è più pericoloso dell’ignoranza. È una frase che parla di responsabilità etica dello sguardo.
«Questo bambino è l’Ignoranza. Questa bambina è la Miseria. Guardati da tutti e due, da tutta la loro discendenza, ma soprattutto guardati da questo bambino, perché sulla sua fronte io vedo scritto: “Dannazione”.»
Una delle immagini più potenti della letteratura dickensiana. Ignoranza e Miseria non sono astratte: sono figli della società. Dickens avverte che l’ignoranza è la più pericolosa, perché genera un futuro di violenza e rovina.
«La via che gli uomini seguono presagisce una fine sicura se essi vi perseverano, ma, modificando quella via, anche la fine deve cambiare.»
Nessun destino è irrevocabile. Questa frase racchiude l’etica della possibilità: il cambiamento è sempre praticabile. Dickens rifiuta il fatalismo e afferma la responsabilità individuale e collettiva.
«Ci vogliono venti anni a una donna per fare del proprio figlio un uomo, e venti minuti a un’altra donna per farne un idiota.»
Ironica e feroce, questa citazione parla di educazione, influenza e superficialità. Dickens denuncia la fragilità del percorso formativo e quanto sia facile distruggere ciò che richiede anni per essere costruito.
«La comunicazione elettrica non sarà mai un sostituto del viso di qualcuno che con la propria anima incoraggia un’altra persona ad essere coraggiosa e onesta.»
Straordinariamente profetica. Dickens distingue tra comunicazione e presenza: nessun mezzo può sostituire lo sguardo, l’empatia, la vicinanza reale. Una frase che risuona potentemente nell’era digitale.
«Non fare domande, e non ti verranno dette bugie.»
Qui emerge una verità scomoda: spesso preferiamo il silenzio alla verità. Dickens suggerisce che le bugie prosperano dove manca il coraggio di interrogare il mondo.
«Se la malattia e la tristezza sono contagiose, non c’è niente al mondo così irresistibilmente contagioso come il riso e il buonumore.»
Ripetuta perché centrale: Dickens insiste sull’idea che la felicità è un atto che si trasmette. Non è evasione, ma responsabilità emotiva verso gli altri.
«C’è una saggezza della testa, e… una saggezza del cuore.»
La conoscenza non è solo razionale. Dickens distingue tra intelligenza e comprensione profonda. La vera saggezza nasce dall’equilibrio tra pensiero e sentimento.
