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”Vinicio & Tom”, viaggio sentimentale nella fotografia di Guido Harari

Oggi, dopo le frequentazioni più assidue, collisioni fulminanti e passioni accese, Harari ha deciso di schiudere il suo archivio in un magical mystery tour, un viaggio sentimentale nelle emozioni visuali della musica, che prende il largo con una mostra e due libri fotografici dedicati a Vinicio Capossela e Tom Waits...
Fino al 9 dicembre, presso La Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano, sarà in esposizione la mostra “Vinicio & Tom”, un viaggio sentimentale nella musica d’autore con scatti di guido Harari

MILANO – Nella sua carriera Guido Harari ha fotografato i più grandi miti della musica, lontano dai cliché della fotografia musicale contemporanea – che oggi tende sempre di più a trasformare ogni soggetto in un’icona priva di contenuto –, ma ricercando il contatto, quell’attimo di complicità che si instaura nell’istante di un click. Oggi, dopo le frequentazioni più assidue, collisioni fulminanti e passioni accese, Harari ha deciso di schiudere il suo archivio in un magical mystery tour , un viaggio sentimentale nelle emozioni visuali della musica, che prende il largo con una mostra e due libri fotografici editi da Tea dedicati a Vinicio Capossela e Tom Waits. Alla serata di inaugurazione della mostra “Vinicio & Tom” – che sarà in esposizione presso La Feltrinelli di piazza Piemonte a Milano fino al 9 dicembre – erano presenti il giornalista Piero Negri Scaglione e il poeta amico storico di Capossela e grande conoscitore di Waits e della letteratura Beat americana Vincenzo Costantino Cinaski, per svelare insieme allo stesso Vinicio e ad Harari gli aneddoti dietro alla genesi di ogni scatto.

VINICIO E TOM – “Uno o due anni fa stavo attraversando uno di quei momenti della vita in cui ci si costringe a volgere il proprio sguardo al passato e a fare i conti con quello che si è fatto”, inizia così Guido Harari a descrivere la genesi dei due volumi fotografici – oggi in mostra – dedicati a Vinicio Capossela e Tom Waits. “In quel periodo si stava formando l’idea di creare una collana e, proprio a quel fine, mi decisi a riconsiderare il mio archivio, alla ricerca di qualche spunto interessante”. La scelta di unire in un progetto fotografico gli scatti realizzati negli anni ai due iconoclasti della musica – italiana l’uno, d’oltreoceano l’altro – appare subito come una scelta piuttosto scontata: “Vinicio e Tom mi apparivano affini per una serie di motivi – prosegue Harari –; non solo perché entrambi erano ai miei occhi dei musicisti colti e raffinati, che per un certo periodo del loro percorso discografico avevano avuto delle affinità considerevoli, ma soprattutto perché la loro frequentazione – benché radicalmente diversa – era riuscita a regalarmi dei momenti incredibili, veramente indimenticabili”.   

NON VOGLIO ESSERE UN ATTORE NEL TUO FILM
– Tom Waits non si concede spesso e quando lo fa lo fa per poco e a modo suo. Per Harari, che da sempre ha un rapporto quasi devozionale verso il cantautore americano, tanto da definirlo “un tatuaggio sul mio cuore”, è quindi un vero e proprio regalo della provvidenza riuscire ad incontrarlo. Racconta Harari: “Era il 1992 e la casa discografica di Tom mi aveva concesso 15 minuti con lui per scattargli alcune foto per la promozione del suo ultimo album “Bone Machine”. Mi diede appuntamento in Place des Vosges, a Parigi, e io mi presentai con la migliore bottiglia di grappa italiana, sperando così di fare subito una buona impressione: scoprii solo il giorno dopo leggendo una sua intervista che era un anno che non toccava alcool”. Waits si mostra scostante, poco disponibile, parla con i giornalisti, fa l’indifferente, costringe il fotografo a ritrarlo mentre mangia, con la fronte corrugata, la mandibola contratta, l’espressione completamente alterata; ogni tentativo di creare una complicità attraverso l’obiettivo fallisce miseramente: “Non voglio essere un attore nel tuo film”, brontola corrucciato. Harari, esaurito il tempo che aveva a disposizione, si congeda affranto.

SCHEGGE DI FOLLIA – Il caso vuole che proprio in quel momento si avvicini un vecchio amico: Claude Gassian è il fotografo francese a cui spetta il tempo del successivo servizio fotografico. In segno di una vecchia amicizia, invita Guido Harari ad assistere allo shooting, in un cortile poco distante dalla piazza, dove aveva allestito una scena innalzando un telo nero come sfondo: in quel momento non sa di avergli regalato una preziosissima seconda occasione. Racconta Harari divertito: “Gassian scatta in pellicola e così, quando esaurisce il primo rullino, gli tocca far tutto da sé: riavvolgere la pellicola e ricaricare la macchina. Mortalmente annoiato, Waits nota il fondale e in un baleno lo strappa facendoselo volteggiare attorno come un mantello. Gassian è in tilt, impossibilitato a fotografare la scena e io non mi faccio certo scrupoli: comincio a mitragliare Waits che, finalmente divertito dal piccolo pandemonio, si mette a correre in lungo e in largo per il cortile. Mi butto al suo inseguimento, scattando a raffica. Il mantello vive di vita propria e Waits pare un coleottero in acido. A fine corsa so di avere lo scatto mitico che agognavo”. Harari ha capito immediatamente chi ha davanti: Waits è un provocatore, che studia la sua preda e l’affronta. Il segreto in questo caso è stato cogliere la provocazione.

VIAGGIO AL TERMINE DELLA NOTTE
– “Quando l’ho conosciuto, Vinicio era solito andare in giro con una copia di “Viaggio al termine della notte”, di Celine, e con fare da intellettuale ne recitava alcuni brani cercando di fare colpo sulla signorina di turno”. È un inizio ironico quello che dà il via alla seconda parte della mostra dedicata al musicista italiano, con il quale – si capisce subito – Harari ha costruito non un semplice rapporto lavorativo, ma un sodalizio che dura da vent’anni. Harari coglie Capossela nei frangenti più disparati: sulla spiaggia di Rimini con i postumi di una sbornia, ma con la freschezza di un musicista la cui carriera sta prendendo una svolta decisiva; nostrano Johnny Depp nella pellicola in bianco e nero di Jim Jarmusch “Death man”, immerso fino alle ginocchia in un torrente di Chiavicone nell’appennino emiliano; a Catania, dal barbiere e all’officina Gentilini, o dietro alle tendine delle case di Acireale. Commenta Capossela: “Succedono un sacco di cose surreali ad andare in giro con un fotografo: non sai mai cosa ti aspetta”.

24 novembre 2012

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