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Paolo Ferraina, il fotografo che ha immortalato l’isolamento dell’uomo moderno

Paolo Ferraina, classe 1994, è fra i più talentuosi e giovani fotografi italiani. Nel suo ultimo reportage, dal titolo profetico "Isole umane", mette a fuoco l'isolamento dell'uomo moderno

Paolo Ferraina, classe 1994, è fra i più talentuosi e giovani fotografi italiani. Di lui il noto critico d’arte Luca Nannipieri ha scritto: “Il talento, quando c’è, spara. Il talento fotografico di Paolo Ferraina fa proprio questo: spara”. Cresciuto a Caraffa di Catanzaro in una famiglia di fotografi, Paolo Ferraina ha iniziato i suoi viaggi in giro per il mondo sin da giovanissimo. Dal Vietnam a Santo Domingo, dai paesaggi nordici fino al cuore dell’Africa nera, il giovane fotografo calabrese ha raccolto in pochi anni un immenso archivio fotografico. Da qui, nasce “Isole Umane“, pubblicato da Editoriale Giorgio Mondadori, il fotoreportage in cui Paolo Ferraina mette a fuoco il concetto di “isolamento”, cogliendo il momento esatto in cui l’uomo sembra “irrimediabilmente disperso e separato dagli altri”. 

Come ti sei avvicinato alla fotografia?

Si può dire che io sia nato fra le macchina fotografiche. Mio nonno Paolo e mia nonna Rosina Ieraci, una delle prime fotografe in Calabria, sono stati pionieri. Poi è arrivato mio padre Franco e, infine, io. Sin da piccolissimo, mi incuriosiva molto il lavoro dei miei nonni e di mio padre. Ancora oggi considero mio padre e mio nonno come i miei più grandi maestri. Loro non mi hanno insegnato soltanto la tecnica della fotografia, con loro sono cresciuto e sono diventato l’uomo e il fotografo che sono adesso. 

Quando hai capito che la fotografia sarebbe diventato anche il tuo mondo?

Credo di essermene accorto quando mi sono accostato al cinema. I miei andavano spesso al cinema e io volevo sempre andare con loro, qualunque fosse la storia. Un giorno i miei escono per andare a vedere un film di Sam Mandes, “Era mio padre”. Non me lo scorderò mai quel giorno. I miei non volevano portarmi perché non lo ritenevano adatto alla mia età. Io mi arrabbiai così tanto che presi a sassate la macchina di mio padre. Arresi, mi ci portarono. Avevo solo 7 anni, ma in quelle scene di violenza colsi il potere disarmante della narrazione. 

Ti definisci un fotoreporter?

In effetti, non mi è facile definirmi. Un fotoreporter è colui che si occupa della cronaca, della realtà nuda e cruda. Penso, ad esempio, a Gabriele Micalizzi, il fotoreport ferito da un razzo mentre documentava la guerra in Siria. Per quanto riguarda me, inseguo tante ricerche, oltre a quelle antropologiche che ho portato avanti con “Isole Umane”.  Credo che, prima di trovare una definizione, sia ancora lunga la strada da percorrere.

Dalla Cina a Santo Domingo fino al nord Europa, “Isole Umane” nasce da un lungo peregrinare in tutto il mondo. Cosa significa per te il viaggio?

Il viaggio è per me uno strumento importantissimo e penso lo sia soprattutto per la mia generazione. Con 100 euro puoi prendere un volo e atterrare in un mondo completamente diverso dal tuo. Penso a Istanbul, una città straordinaria, sospesa fra Oriente e Occidente, in bilico fra due mondi che si toccano e si respingono. Per come la vedo io, quando ti sposti anche solo di un chilometro, vedi le cose in modo diverso. Ti trovi sotto un altro cielo e il tuo bagaglio si arricchisce di cose buone e, qualche volta, di cose brutte. 

Dietro ogni scatto c’è una storia. Ce ne racconti una che ti è rimasta particolarmente impressa?

Paolo Ferraina

Dietro questa foto di “Isole Umane” c’è una storia interessante. Mi trovavo a Santo Domingo con mio zio. Sotto pressione mi feci portare in un posto, un porticciolo di criminali piuttosto malfamato. Mi aggiravo nel porticciolo con la mia macchina fotografica. Ad un certo punto, vedo un pescatore in lontananza. Sembrava un personaggio uscito da un romanzo di Hemingway. Mi avvicino a lui, si gira e gli chiedo se posso scattargli una fotografia. Lui dice sì, scatto quella singola fotografia. Poi mi chiede di avvicinarmi e mi intima di comprargli le aragoste che aveva appena pescato. Leva la rete e sotto vedo un Kalashnikov nuovo di zecca. Ho fatto un passo indietro. Lui mi ha tranquillizzato e anzi lo ha sollevato mostrandolo orgoglioso. Guardando questa foto, non potresti mai immaginare cosa vi si nasconde sotto. 

Ti sei mai sentito in pericolo nei tuoi viaggi?

Ricordo di quando in Cina mi ritrovai a fotografare dei giocatori di carte in strada. Non sapevo che in Cina, tranne a Macao, il gioco d’azzardo fosse illegale. Ad un certo punto, arrivano le autorità e lì si scatena una violenza inaudita. Se avessi scattato un’altra fotografia, avrei rischiato moltissimo. Quando fai questo mestiere, ci vuole coraggio, ma anche consapevolezza. Devi sapere quando fermarti e, quando decidi di rischiare, ne deve valere davvero la pena. 

Paolo ferraina

Che valore ha per te la fotografia?

Ogni fotografia serve a me per diventare uomo. Ogni scena, ogni rappresentazione, ha un valore educativo, di crescita. Da quando è nata, la fotografia è diventato il linguaggio del secolo. Si producono migliaia di immagini ogni giorno. Ma quali sono quelle necessarie? Quelle utili alle coscienze? Quando mi rapporto alle altre generazioni, la fotografia diventa anche un modo per interfacciarsi, per comunicare in modo diretto, senza mediazioni. Come dice Luca Nannipieri nella prefazione al mio libro, la fotografia non si occupa semplicemente di documentare la vita, “la fotografia moltiplica la vita”. La moltiplica dove tu vuoi, dove tu ritieni opportuno. Dietro un clic, c’è un intero mondo. 

A chi ti ispiri?

Io mi ispiro all’arte in generale. Da Tintoretto, a Sergio Leone, fino a Sorrentino, gli stimoli sono immensi. Poi, ovviamente, lascio spazio alla mia immaginazione. Sono fatto di immaginazione, sogni, incubi. Non posso fare a meno di leggere tutto quanto mi capita fra le mani, di guardare centinaia di film e trovare in essi la mia dimensione e la mia ispirazione a scattare. 

Prossimo viaggio?

Quello che sto vivendo ora: il mio trasferimento a Milano. Non mi ero mai spostato di casa, non avevo mai iniziato una convivenza con una donna. Questo sì che è un viaggio! Poi, sono ancora molte le terre che vorrei esplorare e raccontare. Appena si apriranno le frontiere, ad esempio, vorrei partire alla volta di Cecenia e Libano.  

 
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