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André Kertész, padre della fotografia contemporanea

Un nome come André Kertész rappresenta l'essenza propria della fotografia. Si tratta infatti di uno dei più grandi maestri del XX secolo, di colui che Henry Cartier-Bresson definì come il padre della fotografia moderna. Con i suoi scatti ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, anche il più banale ed apparentemente meno significativo, meriti di essere immortalato...

Il fotografo ungherese è considerato tra i più grandi maestri del XX secolo, dotato di una spiccata genialità, influenza e spirito di osservazione della realtà quotidiana

 

MILANO – Un nome come André Kertész rappresenta l’essenza propria della fotografia. Si tratta infatti di uno dei più grandi maestri del XX secolo, di colui che Henry Cartier-Bresson definì come il padre della fotografia moderna. Con i suoi scatti ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, anche i più banali ed apparentemente meno significativi, meritino di essere immortalati. Lontano dal mondo del reportage e della cronaca attraverso immagini, con le sue fotografie fonte di ispirazione per numerosi artisti e fotografi suoi contemporanei.


KERTÉSZ
– André Kertész, il più geniale, influente e fantasioso fotografo della storia, nacque a Budapest il 2 luglio del 1894 da una famiglia della media borghesia ebraica. Dopo essersi diplomato nel 1912 all’Accademia commerciale di Budapest, acquistò la sua prima macchina fotografica, una ICA 4.5×6, apparecchio maneggevole, che gli permise una delle sue tante immagini celebri, “Ragazzo dormiente”. Arruolatosi nell’esercito austro-ungarico, partì volontario per il fronte russo-polacco, portando con sé una piccola Goerz Tenax con obiettivo fotografico da 75mm, con la quale documentò la vita di trincea e le lunghe marce. Oltre ai suoi commilitoni, soggetti privilegiati sono anche alcuni scorci che gli ricordano i poveri villaggi della sua Puszta e la gente semplice che vi abita. Si tratta di tutte inquadrature che mettono in luce la freschezza e l’originalità del punto di vista di Kertész. Nel settembre del 1925, a causa della depressione post-bellica dell’Ungheria e al clima che caratterizzava Budapest, bella ed elegante ma incapace di soddisfare le aspirazioni di modernità dell’artista, scelse come meta del suo esilio forzato Parigi. La capitale francese era in quel periodo ricettacolo delle più illustri personalità appartenenti all’avanguardia artistica, come Germaine Krull, Robert Capa, Man Ray e Berenice Abbott . Intrecciò una profonda amicizia con Gyula Halász, conosciuto come Brassaï.


GLI INIZI DELLA CARRIERA FOTOGRAFICA
– Nel 1928 acquistò una Leica ed insieme ad Henri Cartier-Bresson iniziò a lavorare per la rivista Vu. Nel 1929 Kertész partecipò alla prima mostra indipendente di fotografia “Salon de l’escalier”, insieme a Berenice Abbott, Laure Albin-Guillot, George Hoyningen-Huene, Germaine Krull, Man Ray, Nadar e Eugène Atget. Nel 1933 la rivista Le sourire gli offrì cinque pagine da riempire in piena libertà. Per l’occasione il fotografo ungherese affittò uno specchio deformante e nel suo studio realizzò numerosi scatti che ritraevano due modelle, Hajinskaya Verackhatz e Nadia Kasine. La serie, conosciuta con il nome di “Distorsioni”, applica un surrealismo che nasce da una ricerca sulle possibili alterazioni delle forme corporee.


LA FOTOGRAFIA COME INTERPRETAZIONE
– Interessato alle nuove correnti artistiche americane, decise di accettare l’offerta di Erney Prince dell’agenzia Keystone si trasferì a New York, nell’ottobre del 1936. Il lavoro alla Keystone durò solo un anno. Le sue immagini non erano ben accette nel panorama fotogiornalistico statunitense, che richiedeva uno stile rigoroso e didascalico. Lo stesso fotografo ammise questa mancanza nel suo stile, “Io non documento mai. Con le mie foto interpreto. Questa è la differenza tra me e tutti gli altri”. Lavorò come freelance collaborando per molte riviste, tra cui Harper’s Bazaar, Vogue, Town and Country, The American House, Coller’s e Coronet, Look. La morte della moglie, nonostante il matrimonio nell’ultimo periodo non fosse stato roseo, lasciò nel fotografo un grandissimo vuoto. Anziano e solo, si chiuse nel suo appartamento e continuò a fotografare, anche da malato, facnedo della moglie defunta il soggetto privilegiato. utilizzando un obiettivo zoom dalla finestra della sua casa affacciata sullo Washington Square Park. Raccolse le foto nel libro From my Window (1981), dedicandolo alla moglie Elisabeth morta di cancro nel 1977. Kertész ha passato tutta la sua vita alla ricerca dell’accettazione del consenso da parte della critica e del pubblico. Tuttavia i suoi lavori, la maggior parte delle volte, furono poco apprezzati. La sua arte non si è mai avvicinata ad alcun soggetto politico ed è rimasta legata ai lati più semplici della vita quotidiana, con toni molto intimi e lirici. Soltanto gli ultimi anni della sua vita e i successivi alla morte segnano un rinnovato interesse verso degli scatti che riescono ad essere senza tempo.  Kertész morì a New York il 28 settembre 1985.

STILE E POETICA UNICI – Considerato da Henry Cartier-Bresson il padre della fotografia contemporanea e da Brassai il proprio maestro, Kertész ha dimostrato come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. “La fotografia è la mia sola lingua. Io non faccio semplicemente delle foto. Io mi esprimo attraverso le foto”. I costanti mutamenti di stile, temi e linguaggio, se da un lato ci impediscono di collocare il lavoro del fotografo ungherese in un ambito estetico esclusivo, dall’altro ne dimostrano la versatilità e la continua ricerca comunicativa. Nonostante la strada sia stata il soggetto principale delle sue fotografie, non era interessato alla cronaca o agli eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare la felicità silenziosa dell’intimità quotidianità. Kertész ha mantenuto una linea poetica che lo tenne distante tanto dallo sperimentalismo di Man Ray, quanto dall’impegno sociale e politico che avrebbe avuto la sua definitiva consacrazione con la Guerra di Spagna del 1936. Le sue immagini prediligono gli attimi, le emozioni passeggere. Si tratta di foto che vivono nel ricordo e che evocano ricordi. Una delle caratteristiche di Kertész è la grande capacità di stimolare l’osservatore ad interrogare la foto, a porsi domande alle quali poi ognuno dà risposte diverse. emergono l’occhio intuitivo e la sensibilità umana di un Kertész ancora molto giovane, ma già capace di cogliere all’istante, esaltandoli e nobilitandoli, semplici affetti e momenti della quotidianità.

25 giugno 2013

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