La cura di Seneca contro la “sindrome del criceto”, lo stress dei nostri tempi

7 Novembre 2025

Ti senti come un criceto sulla ruota? L'"Affaccendamento" è il male del nostro tempo che già Seneca segnalava e offriva la cura per vivere meglio.

La cura di Seneca contro la "sindrome del criceto", lo stress dei nostri tempi

L’esaurimento cronico è il sintomo distintivo dello stress della nostra epoca. Non si tratta di semplice stanchezza, quella che svanisce con il riposo , ma del risultato di una corsa costante e futile. È la condizione di chi spende l’intera giornata correndo su una ruota, solo per ritrovarsi la sera esausto e nello stesso identico punto di partenza.

L’abbiamo definita la “Sindrome del Criceto“, una patologia socio-psicologica che il filosofo stoico Lucio Anneo Seneca, già duemila anni fa, diagnosticò con precisione chirurgica. Egli la chiamò occupatio, ovvero “affaccendamento“, definendola come la condizione di chi è talmente “occupato” (nel lavoro, nelle distrazioni, negli obblighi sociali) da non possedere più se stesso.

L’affaccendamento è stato reso evidente anche dall”Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ha ufficialmente riconosciuto il burnout come un “fenomeno occupazionale”, inserendolo nella sua classificazione internazionale delle malattie. Non è l’affaticamento passeggero che ha bisogno di un periodo di riposo, è una sindrome clinica derivante da uno stress cronico che si riesce a gestire con successo.

L’analisi di Seneca non solo descrive questa trappola, ma offre una cura radicale per liberarsene e tornare finalmente, a vivere all’insegna della serenità, dello stare bene e della felicità.

La diagnosi di Seneca: l’Affaccendamento (Occupatio), la malattia della nostra epoca

Per Lucio Anneo Seneca, il problema non è la mancanza di tempo. Il problema è lo spreco del tempo. Egli identifica questa patologia con il termine latino occupatio.

Sebbene occupatio si traduca letteralmente come “occupazione”, nel contesto del De Brevitate Vitae (La brevità della vita) assume un’accezione negativa. Non indica il semplice “avere da fare”, ma la condizione di chi è talmente “invaso” e “affaccendato” da non possedere più sé stesso.

È la condizione di chi esiste, ma non vive. Nel suo trattato, Seneca lo chiarisce immediatamente:

Non è che abbiamo poco tempo, ma è che ne perdiamo molto. La vita è lunga a sufficienza e ci è stata data con larghezza per la realizzazione delle imprese più grandi, se fosse tutta impiegata bene.”
– De Brevitate Vitae, I, 3

Gli errori dell’affaccendato: Le Tre Ruote della Futilità

L’occupatio (l’affaccendamento) si manifesta in tre “errori” principali. Sono le tre ruote su cui l’individuo moderno corre compulsivamente.

1. La corsa per il futuro, il falso lavoro

Il primo errore fondamentale è vivere nell’attesa, proiettati nel futuro, sprecando l’unico tempo che possediamo: il presente. È l’errore di chi lavora ossessivamente in vista della pensione, o di chi rincorre costantemente il prossimo traguardo professionale.

I sociologi oggi chiamano questa mentalità la “Hustle Culture”, ovvero la cultura della frenesia e del lavoro non-stop. È quell’ideologia tossica, molto diffusa, che ci spinge a credere di dover essere sempre produttivi, sempre “sul pezzo”, 24 ore su 24, per dimostrare il nostro valore.

Questa mentalità trasforma in perfetti “affaccendati”. Si corre oggi nella speranza di una futura (e spesso illusoria) ricompensa, che sia la promozione o la ricchezza.

Seneca, con duemila anni di anticipo, ha diagnosticato perfettamente questa trappola nel De Brevitate Vitae. La sua citazione è la prova perfetta:

Il più grande ostacolo al vivere è l’attesa, che dipende dal domani e spreca l’oggi. […] Mentre rimandiamo, la vita passa.
De Brevitate Vitae, IX, 1

In sintesi, la “Hustle Culture” è la versione moderna di quell'”attesa” che Seneca condannava.

2. La Corsa nel Vuoto, Il falso riposo

Il secondo errore, forse il più insidioso per la società contemporanea, è l’affaccendamento nel tempo libero. La critica di Seneca è spietata non solo verso chi lavora troppo, ma soprattutto verso chi spreca l’otium (il tempo libero) in futilità.

Qui la “Sindrome del Criceto” si rivela totalizzante. L’individuo scende dalla ruota del lavoro solo per salire immediatamente su quella del consumo passivo o della performance. Si tratta del binge-watching compulsivo, dello scroll infinito sui social media, o degli hobby vissuti non come gioia, ma come un’altra forma di ottimizzazione personale.

Questo non è otium (il tempo rigenerante dedicato alla saggezza), ma è occupatio (affaccendamento) sotto mentite spoglie. L’individuo crede di riposare, ma sta solo anestetizzando la mente e disperdendo ulteriore tempo vitale.

Seneca, nel De Brevitate Vitae, definisce questi individui “affaccendati in cose oziose” e si chiede retoricamente se possa definirsi “a riposo” (ozioso) chi è impegnato in attività triviali:

Credi forse che io chiami ‘ozioso’ [otiosum] uno che si occupa con scrupolo pignolo di bronzi corinzi… o che passa la maggior parte del tempo in palestra?
De Brevitate Vitae, XII, 1-2

L’essere umano moderno, pur non collezionando bronzi corinzi, si “affaccenda” in distrazioni digitali, esaurendosi anche quando crede di ricaricarsi.

3. La corsa per gli altri, la falsa vita sociale

Il terzo errore identificato da Seneca è l’affaccendamento nelle relazioni sociali. È la tendenza a sprecare il proprio tempo vivendo per lo sguardo altrui, non solo per conformismo, ma per una ricerca compulsiva di validazione esterna.

Nella società contemporanea, questa è la ruota della performance sociale. L’individuo non si limita a “curare la propria immagine”, ma è “affaccendato” nel proiettare costantemente una versione idealizzata, e spesso fittizia, di sé. La vita smette di essere un’esperienza e diventa una recita.

L’obiettivo non è essere, ma apparire, ovvero essere perfetti, interessanti, colti, felici. Ogni esperienza, una cena, una vacanza, persino la lettura di un libro, perde il suo valore intrinseco e viene valutata per il suo potenziale di “condivisione”. L’individuo gestisce la propria vita come un brand e le relazioni diventano transazioni per acquisire capitale sociale.

Questa corsa è alimentata dalla FOMO (acronimo inglese per “Fear Of Missing Out”, ovvero la paura di essere esclusi). Si partecipa a eventi non per desiderio, ma per l’obbligo di esserci e mostrare di esserci. Si è “affaccendati” non a stabilire connessioni autentiche, ma a dimostrare agli altri che si sta vivendo.

Seneca, nel De Brevitate Vitae, descrive questa condizione come una vera e propria schiavitù volontaria. È un furto di tempo perpetrato dalla “folla” (la società) che l’individuo accetta passivamente pur di ottenere il suo plauso, sprecando la vita in quelle che chiama “lusinghe di società”.

Quanti ti hanno sottratto la vita, mentre non ti accorgevi di ciò che perdevi? Quanta parte se ne è andata in un vano dolore, in una sciocca allegria, in un’avida bramosia, in lusinghe di società?
— De Brevitate Vitae, III, 3

Il motore della ruota: perché corriamo? (La fuga da sé)

Seneca indica anche le cause di questa ossessione. Perché l’essere umano, pur consapevole della futilità di queste corse continue, accetta di restare sulla ruota?

La “Sindrome del Criceto” non è solo imposta dall’esterno (l’aspetto sociologico), ma è abbracciata dall’interno (l’aspetto psicologico).

Seneca analizza questa dinamica nel De Tranquillitate Animi (La pace dell’animo). La causa profonda è il Taedium Vitae.

Questo termine non indica una semplice “noia”, ma un’inquietudine esistenziale, un’insoddisfazione cronica di sé, la paura del silenzio e del confronto con la propria coscienza.

L’affaccendamento, ovvero la corsa sulla ruota, funziona come un anestetico. È preferibile il rumore costante della ruota, la notifica, l’episodio successivo, l’obiettivo di produttivita, al silenzio terrificante del vuoto interiore. L’individuo corre non verso qualcosa, ma via da sé stesso.

Di qui quel tedio e quell’insoddisfazione di sé, e quell’agitarsi dell’animo che non trova pace… [l’animo] non sopporta casa, solitudine, pareti, e a malincuore si guarda abbandonato a se stesso.
De Tranquillitate Animi, II, 10

È questa paura che rende l’individuo “prigioniero di sé stesso” e lo tiene incollato alla ruota dell’affaccendamento.

La cura di Seneca per superare la sindrome del criceto

Dopo aver diagnosticato la malattia (occupatio), Seneca offre la cura. Questa cura non è un semplice “rimedio” (come una vacanza, che spesso è solo un’altra forma di affaccendamento), ma una filosofia di vita radicalmente diversa.

La cura all’affaccendamento è l’Otium

Nell’antica Roma, l’otium era il concetto opposto al negotium (il lavoro, gli affari pubblici). Ma l’otium di Seneca non è il “falso riposo”. Non è pigrizia, distrazione o intrattenimento passivo.

L’otium stoico è il tempo liberato e dedicato alla saggezza. È il tempo impiegato per la riflessione, lo studio, l’esame di sé e la coltivazione dell’anima. È, in breve, il solo tempo in cui l’individuo possiede realmente sé stesso e smette di correre sulla ruota. possiamo parlare di tempo virtuoso.

Seneca, nel De Brevitate Vitae, sottolinea che l’affaccendato non possiede mai sé stesso, è perennemente “invaso” dagli altri:

Nessuno rivendica il proprio possesso su di sé; si logorano e si sprecano a vicenda.
– De Brevitate Vitae, III, 1

L’otium è l’atto di rivendicare questo possesso. Non è inazione, ma un’attività superiore: il “dialogo” con i grandi del passato. È attraverso questo otium che l’individuo spezza i confini della propria vita mortale e si unisce all’eternità della saggezza.

Solo quelli hanno tempo libero (otiosi) che si dedicano alla saggezza. Solo loro vivono; infatti, non solo custodiscono bene la propria vita, ma aggiungono ogni eternità alla loro.
De Brevitate Vitae, XIV, 1

Mentre l’affaccendato (occupatus) restringe la sua vita alla frenesia del presente, l’uomo in otium la espande:

È possibile per noi discutere con Socrate… vivere la vita di tutti loro… Nessuna epoca ci è preclusa, in tutte siamo ammessi.
– De Brevitate Vitae, XIV, 2 e XV, 3

La prescrizione: smettere di “prepararsi a vivere”

La cura richiede un atto di volontà cosciente; una scelta individuale di ribellione contro la norma sociale dell’Affaccendamento. È la decisione attiva di scendere dalla ruota 🐹.

Sebbene il comando più celebre, “Rivendicati a te stesso”, sia nelle Epistulae, il De Brevitate Vitae è interamente costruito attorno a questo concetto prescrittivo, che si articola in due passaggi:

1. La consapevolezza: trattare il tempo come un valore

Il primo passo è smettere di considerare il tempo come una risorsa gratuita e infinita. L’affaccendato è prodigo solo del suo tempo, l’unica cosa di cui, dice Seneca, è “onesta l’avarizia”.

Nessuno attribuisce un valore al tempo; ne fanno un uso smodato, come se fosse una risorsa gratuita. […] Eppure, gli stessi, se si vedono vicini alla morte, li vedi aggrapparsi alle ginocchia dei medici.
– De Brevitate Vitae, III, 1

La cura inizia quando si inizia a “fare l’inventario” del proprio tempo, proteggendolo come si farebbe con il proprio patrimonio.

2. L’azione: vivere ora, non rimandare

Il secondo passo, il più difficile, è smettere di “prepararsi a vivere” e iniziare semplicemente a vivere. La “Sindrome del Criceto” è alimentata dal rimandare la vita al futuro.

Seneca condanna questa procrastinazione esistenziale come il più grande spreco:

Il più grande spreco della vita è il rinvio: esso ci strappa ogni giorno che viene e ci nega il presente promettendoci il futuro.
– De Brevitate Vitae, IX, 1

La cura è, quindi, un atto di presenza. È il rifiuto di sacrificare l'”oggi” per un “domani” incerto.

La conclusione di Seneca: il rischio di non vivere

Chi fallisce questa cura, chi rimane sulla ruota, corre il rischio più grande: arrivare alla fine dei propri giorni e rendersi conto di non aver vissuto.

L’avvertimento finale di Seneca nel De Brevitate Vitae è la sintesi perfetta dell’intera opera: è inutile chiedere “più tempo” se non si sa come usare quello che si ha. La vita non è breve; siamo noi che la rendiamo tale affaccendandoci a non fare nulla di essenziale.

Arrivati alla vecchiaia, capiscono, poveretti, di essere stati affaccendati a non far nulla.
– De Brevitate Vitae, XX, 1

L’eco di Seneca nella società dell’accelerazione

L’analisi di Seneca non è un reperto archeologico di filosofia morale. È la diagnosi più lucida e spietata del male strutturale che affligge la società contemporanea. L’affaccendamento (occupatio) e la fuga dal sé (Taedium Vitae) non sono problemi che Seneca ha risolto, ma patologie che ha previsto.

La sua tesi trova un’eco potente e diretta nei più acuti analisti della nostra epoca, i quali sembrano “aggiornare” la diagnosi di Seneca ai nostri tempi.

Per primo il filosofo Byung-Chul Han, ne La società della stanchezza, descrive la pressione psicologica. L’individuo non è più sfruttato da un “padrone”, ma è diventato l’imprenditore di sé stesso. Nella “società della prestazione”, egli si auto-sfrutta fino al burnout. È l’esatta attualizzazione del “prigioniero di sé stesso” di Seneca, intrappolato in una performance senza fine.

Il sociologo Hartmut Rosa descrive la pressione temporale. Nella sua teoria dell’accelerazione sociale, l’individuo è costretto a “correre” sempre più velocemente non per progredire, ma semplicemente per “restare al passo”. È la definizione accademica della “Sindrome del Criceto”: una corsa futile che genera solo alienazione e stress.

Il sociologo Zygmunt Bauman descrive la pressione strutturale. Nella “modernità liquida”, tutto è precario e instabile. Questa incertezza genera quell’ansia profonda (il Taedium Vitae) che spinge l’individuo a rifugiarsi nell’affaccendamento, nell’illusione che “correre” sia l’unico modo per non affondare.

Han, Rosa e Bauman descrivono, da prospettive diverse, lo stesso “affaccendato” di Seneca. Un essere umano che ha perso il possesso di sé, costretto a correre da pressioni psicologiche, temporali e strutturali.

In questo contesto, la cura di Seneca, l’otium, assume una valenza non solo filosofica, ma sociologica e politica.

L’otium (il tempo della riflessione, non della performance) diventa un atto di resistenza contro la società della prestazione e dell’accelerazione. Il comando stoico “Rivendicati a te stesso” (Vindica te tibi) cessa di essere un consiglio di wellness e diventa un manifesto radicale, il rifiuto di essere semplici “criceti” performanti e la scelta, rivoluzionaria, di fermarsi per tornare a essere esseri umani.

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