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Vittorio Sgarbi, “San Marco rischia di crollare se non si interviene velocemente”

Secondo il critico d'arte Vittorio Sgarbi, la Basilica di San Marco è in pericolo. Venezia lo sa bene e il Mose deve entrare al più presto in funzione

Mentre Venezia viene sommersa dall’acqua alta e i commercianti tentano in tutti i modi di mettere in salvo le loro attività, si teme sempre di più per le sorti della Basilica di San Marco e dei tesori che custodisce. Infatti, a causa dell’alta marea che ieri ha travolto con impeto la città di Venezia, la Basilica di San Marco ha subito danni gravissimi. L’acqua ha, infatti, rotto le finestre e sommerso la cripta, ma a preoccupare sono ora le colonne. Il sale se le sta mangiando e, se la situazione dovesse peggiorare, si teme un crollo. Mentre il procuratore della Basilica grida all’apocalisse, il critico d’arte Vittorio Sgarbi ci riporta per terra con un’affermazione provocatoria «Il problema non esiste», che solleva un problema ben più grande dell’acqua alta: il Mose. 

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Acqua alta a Venezia, le bellezze di San Marco in pericolo

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Un fenomeno prevedibile

«Non è un fenomeno emergenziale, nei termini in cui è un problema fisiologico di Venezia. E in quanto fisiologico deve essere curato come una malattia. Non si tratta di un uragano, né di uno tsunami. Poi, se tu vuoi morire, anche se puoi essere curato, vuol dire che c’è qualcosa che non funziona nella tua capacità di metterti in dialogo con una realtà che conosci». L’allarmismo che si sta diffondendo in queste ore poteva essere prevenuto. Ce lo racconta Vittorio Sgarbi, che già l’anno scorso – quando si verificò l’inondazione del 30 ottobre – era a Venezia per un sopralluogo. «Si tratta di maree che esistono da mille anni – commenta Sgarbi al telefono -. L’anno scorso si verificò la stessa identica situazione. Nella prospettiva di un fenomeno che si conosce, occorre fare quello che ancora non hanno fatto. Venezia è sempre andata sott’acqua, ma oggi con Mose abbiamo la possibilità di trovare una soluzione». 

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3 novembre 1966, quando le immagini di Venezia sommersa fecero il giro del mondo

Era il 3 novembre del 1966, quando una marea impetuosa si abbatté sulla città di Venezia. Fu l’inondazione più grave nell’esistenza millenaria della città e passò alla storia con il nome di “Aquagranda”

Mose, il progetto incompiuto

«Sono 18 anni – e ripeto 18 anni – che si lavora a Mose. Di fronte a quello che sta accadendo, un’azione di ritardo così procrastinata è una forma di responsabilità assoluta. Le maree torneranno e l’acqua diventerà sempre più alta. Entro il prossimo autunno, Mose deve entrare un funzione, sempre sperando nella sua efficacia. Non possiamo continuare a traccheggiare, mentre la situazione peggiora di anno in anno».

Perché si teme un crollo 

«L’acqua entra nei pori delle pietre e le pietre diventano più fragili, fra un po’ crollerà il nartece, perfettamente consapevoli che ormai si è sfarinata la materia costitutiva dei basamenti e delle colonne». La Basilica ha, infatti, una struttura di mattoni che imbevuti di acqua salata mettono a rischio la tenuta delle strutture e dei mosaici. La denuncia era già stata fatta l’anno scorso dalla Procuratoria della Basilica, quando ci fu l’alluvione del 30 ottobre.

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Questa volta non sono bastate le barche, né le vasche, né la grande gondola a proteggere i volumi della libreria più famosa al mondo

 

 

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