C’è una linea sottile, spesso invisibile, che separa l’umano dal non-umano, la vita dalla materia, il naturale dall’artificiale. Una linea che, nell’epoca contemporanea, si ridisegna continuamente, sfidando la nostra capacità di riconoscere ciò che pulsa, ciò che respira, ciò che esiste oltre i limiti tradizionalmente imposti dalla cultura occidentale.
È proprio su questa soglia che si colloca “Tra le Soglie del Vivente”, mostra collettiva a cura di Beatrice Zanello, ospitata nella doppia sede della Galleria Allegra Ravizza: a Lugano, in Piazza Cioccaro 11, e a Milano, in via Gorani 8, visitabile su appuntamento fino al 6 febbraio 2026.
La mostra riunisce tre artisti accomunati da una sensibilità profondamente radicata nell’osservazione del mondo naturale e nella relazione con l’animale e il vivente: Günter Weseler (Allenstein, 1930 – Düsseldorf, 2020), Chiara Lecca(Modigliana, 1977) ed Emil Lukas (Pittsburgh, 1964). Artisti lontani per linguaggio e formazione, ma uniti da un dialogo serrato con la natura, coltivato sia come esperienza esistenziale sia come pratica estetica.
Il risultato è una mostra che invita a ripensare il concetto stesso di “vita”, portando il visitatore a interrogarsi su ciò che vive, ciò che vibra e ciò che abita la soglia, fragile, permeabile, misteriosa, del vivente contemporaneo.
Un’arte che abita la natura, non si limita a osservarla
Tra le Soglie del Vivente è una mostra che invita a fermarsi, osservare, ascoltare. In un momento storico in cui il rapporto tra umano, natura e artificio è oggetto di tensioni globali e profonde trasformazioni, l’arte diventa il luogo in cui tali questioni possono essere esplorate con libertà e complessità.
Il dialogo tra Günter Weseler, Chiara Lecca ed Emil Lukas, orchestrato dalla curatrice Beatrice Zanello, offre una riflessione potente: la vita non è una categoria chiusa, ma un orizzonte mobile. Il vivente, oggi, non può essere compreso senza attraversare soglie, senza confrontarsi con ciò che sfugge, eccede, inquieta.
E in questo attraversamento, l’arte mostra la sua forza più grande: la capacità di mettere in discussione ciò che credevamo certo, restituendo nuove forme di pensiero e nuove possibilità di immaginazione.
Uno degli assunti fondamentali della mostra è che la natura non è un oggetto di contemplazione passiva, ma uno spazio di coabitazione, un territorio interiore ed esteriore in cui l’artista si muove come parte attiva, come organismo sensibile.
Gli artisti coinvolti non si limitano a riprodurre forme naturali, né a evocarle come simboli: vivono in simbiosi con esse. Condividono una quotidianità lontana dalla frenesia urbana, in cui il ritmo del giorno è scandito dalla presenza degli animali, dalla circolazione dell’aria, dal respiro del paesaggio. La natura non è sfondo, ma co-protagonista.
Da questa vicinanza nasce un’arte che non osserva la natura dall’esterno, ma la abita e la vive. La posizione dell’uomo non è dominante, né centrale: è moderata, laterale, parte di un’ecologia sensibile in cui l’artista diventa spettatore consapevole, narratore e corpo immerso.
Günter Weseler: il battito minimo del vivente
Le opere di Günter Weseler, spesso caratterizzate da forme pulsanti, movimenti impercettibili o strutture organiche che sembrano respirare, collocano l’osservatore davanti a un paradosso: ciò che sembra vivo non lo è, ciò che sembra meccanico vibra di una presenza quasi animale.
Weseler, scomparso nel 2020, ha dedicato gran parte della sua ricerca all’esplorazione dell’ambiguità percettiva: il confine tra il vivente e il non-vivente, tra ciò che “appare” e ciò che “è”. Le sue opere non imitano la vita: la suggeriscono, la evocano, la sfiorano, come se intercettassero un respiro sospeso sulla soglia dell’esistenza.
Questa oscillazione genera nello spettatore una tensione emotiva particolare: un misto di attrazione e inquietudine, riconoscimento e straniamento.
Chiara Lecca: il corpo animale tra natura e artificio
Chiara Lecca, artista romagnola classe 1977, si muove invece nel territorio complesso della relazione uomo–animale, con un linguaggio che fonde scultura, installazione e manipolazione materica.
Utilizzando elementi organici, scarti animali, pelli, piume o materiali sintetici, l’artista mette in discussione l’estetica del naturale, interrogando lo spettatore sulla sua percezione dell’animale come corpo, presenza, simbolo e alterità.
Il suo lavoro non è mai provocazione fine a sé stessa: è una riflessione lucida sul modo in cui la società contemporanea guarda l’animale, lo consuma, lo estetizza o lo dimentica. Lecca costruisce ibridi, forme liminali che appartengono tanto al vivente quanto all’immaginario, invitando a ripensare l’idea stessa di “specie”.
Emil Lukas: trame, insetti e geometrie del vivente
L’americano Emil Lukas esplora invece il confine tra ordine e caos, tra naturale e artificiale, attraverso installazioni fatte di fili tesi, insetti, materiali raccolti e processi fisici non controllabili.
Le sue opere sono spesso costruite come ecosistemi in miniatura, superfici abitate da tracce, vibrazioni, micro-movimenti. L’insetto, elemento spesso temuto o marginalizzato, diventa per Lukas un co-autore: un organismo che scrive, scava, disegna, costruisce.
La sua poetica riporta l’attenzione sul gesto minimo, sul lavoro invisibile dei piccoli esseri viventi, ricollocando l’umano non come misura del mondo, ma come specie tra le specie, in un ambiente condiviso.
La soglia tra vita e morte, umano e non-umano
Uno dei nuclei teorici della mostra ruota attorno alla nozione di soglia: confine permeabile tra categorie che la modernità ha tentato di separare rigidamente.
Gli artisti riuniti in Tra le Soglie del Vivente destabilizzano questa separazione, creando opere che interrogano:
la tensione tra organico e artificiale, la fragilità del limite tra vita e materia, il rapporto mutevole tra umano e animale, la percezione del tempo biologico, l’ambiguità del movimento, del respiro, della presenza.
La mostra problematizza l’idea stessa di controllo umano sulla natura, proponendo una lettura biocentrica dell’esperienza artistica: non l’uomo al centro, ma il vivente nella sua complessità.
Opere che generano spaesamento e riflessione
Le opere esposte condividono la capacità di generare nello spettatore un sentimento duplice: straniamento e meraviglia.
L’ambiguità delle forme, l’incertezza del vivente, la presenza inquieta dell’animale o dell’insetto, la pulsazione di elementi non organici aprono un campo percettivo inedito.
In questo modo, l’osservatore è costretto a riflettere sul proprio rapporto con ciò che è vivo, su quello che riconosce come “animale”, su ciò che percepisce come “organico” o “inanimato”.
Un percorso immersivo nella sensibilità contemporanea
La mostra non si propone solo come esposizione, ma come percorso di pensiero. Le opere, poste in dialogo tra loro, mettono in scena una poetica comune: quella di una contemporaneità che ha perso le sue certezze antropocentriche e che tenta di elaborare nuove forme di convivenza con il vivente, umano o non-umano che sia.
Quello che emerge è un discorso ampio, capace di coinvolgere non solo l’arte, ma anche l’etica, l’ecologia, la filosofia, la psicologia percettiva. La mostra diventa così un laboratorio di nuove sensibilità.
