I musei danno lavoro ai detenuti, l’arte come rieducazione

4 Novembre 2021

I detenuti con una pena inferiore ai quattro anni saranno messi alla prova per riparare il danno commesso lavorando nei luoghi d'arte

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È di poco fa la notizia dell’intesa Cartabia-Franceschini sulla rieducazione dei detenuti con una pena inferiore ai quattro anni. Chi ha commesso reati non gravi, infatti, lavorerà nei musei e nei luoghi d’arte. Un’iniziativa per la valenza rieducativa della pena.

I detenuti e il loro contributo nei luoghi d’arte

La nostra Costituzione sottolinea il valore rieducativo della pena inflitta a chi commette reati. Questo è il punto forte su cui ha insistito molto la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Da qui è nata l’idea di una svolta per affrontare alcuni tipi di reati per i quali i colpevoli hanno ricevuto una pena inferiore ai quattro anni. Invece che prendere parte ad un processo, i detenuti in questione saranno messi alla prova per riparare al danno commesso. Oggi l’idea si è concretizzata con l’intesa tra Cartabia e Franceschini. Centodue persone, infatti, inizieranno un progetto di rieducazione lavorando presso cinquantadue luoghi d’arte spesso simbolo della città in cui si trovano. Se l’esito sarà positivo allora il reato sarà estinto.

Il commento di Dario Franceschini

“È importante che i lavori di pubblica utilità ai fini della messa alla prova trovino applicazione nei luoghi della bellezza. Guardando l’elenco degli archivi, delle biblioteche e dei musei in cui sarà possibile operare, non si può che pensare che ciò farà del bene alle persone che verranno coinvolte”.

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Il commento di Marta Cartabia

“E’ una convenzione di grande valore pragmatico, ma anche simbolico”, afferma Cartabia. “Parliamo di reati come furto, danneggiamento di beni culturali, omissione di soccorso, lesioni personali, stradali: l’opportunità che viene data risponde a un’idea della giustizia penale che non è solo detenzione, ma riparazione del danno inflitto alla collettività, una visione feconda e significativa insieme. Esporre i detenuti all’arte è un atto di grande civilità”

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