Napoli accoglie Joan Mirò con una rassegna di 120 opere alla basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. La poetica del pittore catalano sarà protagonista della mostra “Joan Miró: per poi arrivare all’anima” alla basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta dal 5 dicembre al 19 aprile 2026.
Organizzata da Navigare srl in collaborazione con Lapis Museum, e curata da Achille Bonito Oliva con Vittoria Mainoldi, la retrospettiva intende evidenziare, attraverso circa 120 opere – quasi tutte litografie – provenienti da collezioni private, il rapporto profondo di Miró (1893 -1983) con la parola, la grafica e le diverse tecniche della stampa. Il progetto espositivo è diviso in 7sette sezioni, che vedono susseguirsi immagini celebri e rappresentative del maestro catalano, selezionate per raccontare il significato dell’arte per Miró.
Per il pittore catalano essere artista significava soprattutto sperimentare e ricercare continuamente il connubio tra parola e immagine, tra arte visiva e letteratura, in un universo in cui la parola diventa plastica, si rende forma, segno e colore. Questo significava anche cercare il contatto con numerosi poeti e scrittori del suo tempo, personalità originali di cui Mirò illustrò diverse opere: il dadaista Tristan Tzara e il surrealista Paul Éluard, lo scrittore etnologo Michel Leiris e il sovversivo René Char, il poeta dell’amore Jacques Prévert, e l’innovatore e sperimentatore Raymond Queneau e, infine, lo scrittore e artista plastico Joan Brossa.
Mirò e la litografia
Joan Miró ebbe un rapporto molto importante con la litografia, che diventò uno dei mezzi espressivi principali della sua produzione grafica. Inizia a lavorare intensamente con la litografia negli anni ’30, ma è soprattutto dal secondo dopoguerra che questo medium diventa centrale per lui. L’artista catalano vede nella litografia un mezzo perfetto per ottenere colori puri e intensi (tipici del suo linguaggio visivo) e soprattutto per sperimentare con segni spontanei, gestuali, quasi infantili in modo da produrre un numero ampio di opere accessibili, senza però perdere forza poetica.
Caratteristiche delle sue litografie sono un forte uso del colore, privilegiando quelli primari (blu, rosso, giallo) e il nero profondo. Sceglie inoltre linee fluide e gestuali, cosi da ricordare il disegno automatico del Surrealismo, di cui è uno degli autori più rappresentativi. Stelle, occhi, donne, uccelli, soli sono le figure tipiche del suo universo simbolico in modo da creare, anche attraverso forme biomorfe, composizioni semplici ma allo stesso tempo dinamiche, spesso con un elemento di gioco o poesia visiva.
Le litografie in mostra
In mostra, a testimoniare come la litografia abbai grande spazio nel mondo sperimentale di Mirò, saranno presenti le tavole che accompagnano i volumi I e II del catalogo ragionato delle sue litografie. Tra le altre opere esposte, ci sono anche alcune copertine di LP disegnate dall’artista, e la personale interpretazione del personaggio teatrale Ubu Roi creato nel 1896 da Alfred Jarry, padre della Patafisica. Affascinato dallo spirito provocatorio e antiborghese della rappresentazione, Miró dedica al re meschino litografie, incisioni, disegni e sculture, reinterpretandone la figura in chiave personale e simbolica.
In mostra saranno presenti alcune litografie originali a colori (1966) e una serie di riproduzioni “after” di litografie (Ed. Seat, 1987) intitolate Enfance d’Ubu, sempre ispirate alla trilogia scritta da Jarry. Di grande spessore e suggestione, infine, anche la raccolta di opere dedicate a soggetti ricorrenti nell’arte di Miró: la figura femminile, il mondo della natura, in particolare degli uccelli, e i famosi “Personnages”, figure ibride, immaginarie, collegate ad un’idea di universo e di natura primordiale.
“Mirò è un po’ napoletano”
“Una mostra nella quale viene esaltato la libertà espressiva del pittore catalano Joan Mirò. Un artista felicemente indeciso su tutto, con un linguaggio che non si ferma davanti a niente e a nessuno e che fonda una doppia valenza dell’artista: il nomadismo culturale e l’eclettismo stilistico – ha dichiarato il curatore Achille Bonito Oliva -. Mirò è un artista disinibito totalmente e costruttivo che, alla fine, ci lascia un linguaggio che resta nella storia perché frutto di una misura che lui riesce a dare alle forme che realizza”.
Il curatore ha poi concluso con un paragone: “Mirò lo possiamo definire un po’ un napoletano, dopotutto Barcellona è come Napoli – ha spiegato Bonito Oliva -, l’artista, vivendo in una città che non ha perbenismo e non gioca sulla retorica della speranza, è instabile come un partenopeo. La sua è un’arte di grande elaborazione, frutto di una profonda analisi interna, non manda messaggi, esprime la sua visione che il pubblico deve interpretare, rielaborare e far sua”.
