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La Gioconda, misteri e curiosità sull’opera più famosa di Leonardo

A raccontarci le ragioni della fama universale della Gioconda, è il noto critico d'arte Luca Nannipieri, autore dei libri "Raffaello" e "Capolavori rubati" pubblicati da Skira

Nella puntata andata ieri in onda della fiction Leonardo si è parlato di una delle opere più celebri del genio universale: la Gioconda. A raccontarci le ragioni della fama che si celano dietro il dipinto più famoso al mondo è il critico d’arte Luca Nannipieri, autore dei libri “Raffaello” e “Capolavori rubati” pubblicati da Skira.

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Perché la Gioconda si trova in Francia?

Per molti è colpa di Napoleone e sono in tanti a pensare che l’abbia rubata durante la campagna d’Italia… ma è davvero così?

Perché la Gioconda è un’opera senza tempo

Tutto per un maledettissimo furto! La ragione per cui, dentro al Louvre di Parigi, ci sono file insopportabili e scomposte davanti alla Gioconda, mentre quasi nessuno s’incolonna davanti a Michelangelo, Raffaello, Tiziano o alla Venere di Milo, è per un maledettissimo fortunatissimo furto. Prima del 21 agosto 1911 la Gioconda era un quadro apprezzato soprattutto dalle élite.

Da allora, da quando l’imbianchino Vincenzo Peruggia si porta a casa questo dipinto ad olio su tavoletta di pioppo, di altezza 77 centimetri e larghezza 53, realizzato da Leonardo a partire dal 1503, su uno strato di gesso, con una lunga gestazione di puntigliosi pentimenti e ravvedimenti stilistici arrivati al 1510-1513, la storia di Leonardo e la storia dell’arte mondiale non saranno più le stesse. Davanti alla parete vuota iniziano ad arrivare visitatori a vedere l’opera che non c’è più.

I giornali ne parlano a pagine piene (l’Excelsior, il giornale parigino, titolava a piena pagina “Le Louvre a perdu la ‘joconde’”; in Italia, la Domenica del Corriere titolava: “come è stato possibile l’impossibile, cioè il furto del Louvre del ritratto di Monna Lisa del Giocondo di Leonardo”). Da allora, con la scoperta successiva dell’opera e la sua ricollocazione nel museo, è nato quel mito planetario di Leonardo e della Gioconda in cui siamo immersi. Con beffarda ingratitudine, il furto ha accelerato quell’idolatria leonardesca che la scienza degli eruditi non è mai riuscita a produrre.

Che cosa ci insegna 

Il suo mito ad ogni tributo o irrisione si moltiplica: dalla Gioconda coi baffi di Duchamp alla Gioconda con l’occhio nero nella pubblicità 2011 delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne; dalla Gioconda di Dalì alla Gioconda calva, senza capelli, chemioterapica, prodotta nel 2013 dall’Ant, la Onlus che offre assistenza ai malati di tumore, il mito di Monna Lisa sopporta qualunque trasformazione e, da ogni trasformazione, ne esce rafforzato nella sua distanza d’immagine archetipica.

Chi glielo avrebbe mai detto a Leonardo che, mentre stava dipingendo una semplice tavola di pioppo dipinta per Lisa Gherardini, moglie del mercante fiorentino del Giocondo, detta appunto Monna Lisa, stava in realtà generando non un capolavoro dell’arte, ma l’emblema stesso dell’arte. Così sarà per sempre? No. Quando il suo valore non verrà più sentito esemplare dalle persone, la Gioconda tornerà ad essere un’opera mortale, dimenticabile, e dunque distruggibile, come le tante opere trasformate, dimenticate o distrutte della storia.

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