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Dario Fo, il buffone dell’arte

Fo ha adottato nuove tecniche espressive, privilegiando l'uso del collage di immagini accostate sulla tela e di fotocopie e fotografie digitali dei propri lavori

MILANO – Dario Fo è stato un estroso dell’arte: scrittore, drammaturgo, attore, regista, sceneggiatore, paroliere e pittore.

ARTISTA A TUTTO TONDO –  È autore, attore, scenografo, regista teatrale, ma prima di ogni altra cosa si sentiva pittore: Dario Fo, premio Nobel per la letteratura nel 1997, utilizzava da sempre la pittura per completare la sua attività drammaturgica immergendosi a pieno titolo nel linguaggio dell’arte visiva, spingendosi oltre i confini delimitati e sperimentando con abile virtuosismo nuove e interessanti tecniche espressive. La sua musa, quasi inutile dirlo, è stata Franca Rame, l’ispiratrice e passione della sua vita.

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NUOVE TECNICHE E NUOVE TELE –  Grazie a una pittura a tempera ripresa con passaggi di cromie ad olio, infilava la tavola nella fotocopiatrice programmandola in modo che producesse un’immagine di tonalità capovolta. Il dipinto acquistava così una profondità inaspettata, e il movimento compositivo è esasperato a tal punto da farlo apparire un mosaico surrealista.

AGGIORNARSI E REINTERPRETARE – Matite, acrilici e pennarelli dalle tonalità fluorescenti sono stati scelti per sottolineare e dare nuova energia a brani di storie, in un processo di aggiornamento, reinterpretazione e riscrittura del testo figurativo che libera così significati reconditi grazie a un gioco di paradossi e ribaltamenti semantici che scardinano i tradizionali metodi di lettura, come scrisse la curatrice di una sua mostra.

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PITTURA, FONTE CREATIVA – La pittura per Dario Fo era un complemento del teatro, anzi, veniva prima: le invenzioni e le rappresentazioni sceniche nascevano nella sua mente come immagini grafiche e pittoriche e solo dopo diventano parole scritte.  “Ho disegnato, dipinto, inciso e inventato fondali e bozzetti di costumi per ogni commedia messa in scena da sessant’anni in qua – scrive nell’introduzione al catalogo della sua mostra del 2015 a Pavia – . Per ogni spettacolo ho prodotto pitture sia a tempera che a olio che illustrassero le storie e i giochi scenici dell’opera. Non mi sono mai accontentato di scrivere solo testi teatrali. In verità il mio vero mestiere è quello del pittore.”

DARIO FO  – Fo cominciò la sua carriera come pittore, frequentando i corsi all’Accademia di Brera negli anni Quaranta, con docenti del calibro di Achille Funi, Marino Marini, Giacomo Manzù e Carlo Carrà, e si confrontandosi con compagni di studi che, come lui, si dimostrarono voraci consumatori della cultura europea e americana d’avanguardia, solo allora sdoganata. Artisti di varie tendenze, realisti, naturalisti e informali come Ennio Morlotti, Bobo Piccoli, il gruppo Corrente, lo scultore Alik Cavaliere, registi come Carlo Lizzani, letterati e intellettuali come Elio Vittorini ed Emilio Tadini. Insieme a Tadini, Fo partì per Parigi, si immerse nella modernità, conobbe Fernand Léger e Juan Gris, lasciandosi affascinare prima da Picasso e poi dal genio fiabesco e leggero di Mar Chagall. Progressivamente si affrancò dall’impronta accademica e conquista un suo stile personale, fatto di contaminazioni, suggestioni, metafore, visioni simboliche ed oniriche. Al centro del suo interesse v’era sempre l’etica, il tema dell’uomo e dei sentimenti, riletti nei miti classici e nelle storie bibliche, rappresentati con prospettive sempre diverse, inconsuete e spesso ribaltate rispetto al punto di vista tradizionale, trattati con colori gioiosi e contrasti stridenti.

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