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Apollo e Dafne, l’opera più celebre di Bernini

L'opera più bella del Bernini è "Apollo e Dafne", la statua che pure essendo statica, risulta dinamica. Ecco la sua spiegazione e il suo mito

Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 7 dicembre 1598 – Roma, 28 novembre 1680) è stato un grande scultore, architetto, pittore e urbanista italiano. Al suo nome è inevitabilmente collegato il prestigio del Barocco italiano: le sue opere, bellissime e preziosissime, riscossero un clamoroso successo in tutta Europa, influenzando gli artisti contemporanei e posteri. Tra le sue sculture più famose, ricordiamo Il ratto di Proserpina, Enea e Anchise, il grande baldacchino di bronzo in San Pietro e Apollo e Dafne, la nostra preferita. 

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La statua del Bernini 

Apollo e Dafne venne realizzata dal Bernini tra il 1622 e il 1625 e quando l’artista espose la statua nella Galleria Borghese di Roma fu subito un grande successo. Tanto che della statua si diceva così:

La sua Dafne che si vede nella Vigna del Borghese è unanimemente considerata il suo capolavoro.

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Il mito di Apollo e Dafne

Il mito di Apollo e Dafne viene raccontato dal grande poeta antico latino Ovidio nel libro I delle Metamorfosi, l’opera in cui vengono raccolte tutti miti che hanno per oggetto le trasformazioni di uomini in animali, in elementi naturali etc. E infatti il mito di Apollo e Dafne è un chiaro esempio della metamorfosi di una fanciulla in un albero. Ma andiamo con ordine. 
Apollo, il dio della musica e della poesia, dopo aver ucciso il terribile serpente Pitone, si vantò con Cupido per le sue importanti gesta eroiche. Cupido allora giurò vendetta e fabbricò due frecce, una d’oro e acuminata e l’altra spuntata e con la punta di piombo. La prima freccia aveva il potere di far innamorare perdutamente, mentre la seconda aveva l’effetto contrario, ossia far prosciugare l’amore in chi venisse colpito da questa. Il dio con l’arco scocca la freccia d’oro contro Apollo, il quale si innamora profondamente di Dafne, la ninfa figlia del dio fiume Peneo. Cupido però colpì la ninfa con la freccia di piombo. Mentre Apollo correva incontro a Dafne perché innamorato follemente, Dafne spaventata scappava e il suo terrore era tale, da spingerla a rivolgere una preghiera a proprio padre, chiedendogli di trasformarla in qualsiasi cosa pur di sfuggire ad Apollo. Il padre ascolta la preghiera della figlioletta e decide di accontentarla: trasforma Dafne in un albero di alloro, che successivamente diverrà sacra ad Apollo

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La statua dei contrasti 

La bellezza dell’Apollo e Dafne del Bernini è il gioco di contrasti insito nella statua. A partire dalla materia narrativa, si può dire che Dafne è metà donna e metà albero. Infatti lo scultore ha deciso di cristallizzare (anche se la statua è molto dinamica e i suoi soggetti sembrano in movimento) il momento in cui Apollo sta per afferrare la ninfa, ma in cui la fanciulla si trasforma in pianta di alloro. Il piede sinistro di Dafne si è già trasformato in radice, la corteggia invece sta avvolgendo il suo corpo e le mani, rivolte al cielo, si stanno mutando in ramoscelli d’alloro. Quindi il primo contrasto è quello tra natura antropomorfa e l’essere pianta di Dafne. 
Soffermandoci invece sui volti vediamo che quello della ragazza è diviso tra il terrore di essere presa dal dio e il sollievo di potergli sfuggire. Invece il volto di Apollo è deluso, stupefatto e addolorato. 
A livello di forma, in tutta la statua c’è un’alternanza di pieni e di vuoti, di luci e di ombre, che contribuisce alla dinamicità dell’opera. 

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