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Italiano e animali: è corretto dire “cana” o “cagna”?

Scopriamo leggendo questo articolo se, quando chiamiamo le nostre fedeli amiche a quattro zampe dobbiamo dire loro "cana" oppure "cagna".

La questione dell’uso delle forme “Cana” o “Cagna” nell’italiano solleva interrogativi interessanti sulla varietà linguistica e sulle influenze dialettali. Questa tematica linguistica ha radici storiche e culturali che meritano un’analisi approfondita per comprendere le ragioni della coesistenza di entrambe le forme e la loro distribuzione geografica.

“Cana” e la sua diffusione dialettale nell’italiano standard

La forma “cana”, come femminile di “cane”, è una variante diffusa principalmente nei dialetti centromeridionali italiani, con una particolare concentrazione nel dialetto romanesco e nell’italiano regionale di Roma. Questa forma è presente anche in altre varietà dialettali meridionali, dove l’influenza dei dialetti locali si manifesta nella lingua parlata e talvolta anche nella lingua scritta.

Un esempio letterario significativo è il verso del poeta romanesco Giuseppe Gioachino Belli: “Sta cana eternità dev’esse eterna”. In questo caso, la parola “cana” appare come un sostantivo femminile che rappresenta la femmina del cane, ma il suo uso non si limita al contesto zoologico. L’adozione di “cana” nella lingua colloquiale si estende a significati figurativi, contribuendo a una maggiore ricchezza espressiva.

La forma “cana” compare anche in opere di cultura popolare. Per esempio, nel testo della canzone di Claudio Baglioni Io, lui e la cana femmina, questa variante linguistica è utilizzata accanto ad altri termini tipici del romanesco, dimostrando come essa sia radicata nella tradizione linguistica locale. Un altro esempio è offerto dal film Qualunquemente di Antonio Albanese, dove la forma “cana” viene usata, sebbene in maniera ironica, per riferirsi anche a un cane maschio.

L’origine della forma “Cagna”

Dal punto di vista etimologico, la forma corretta e storicamente documentata del femminile di “cane” è “cagna”. Questa parola deriva dal latino parlato cania(m), una variante di cane(m) con una palatalizzazione della nasale dentale del maschile (n) in una nasale palatale (ɲ). Questa trasformazione fonetica ha dato origine alla desinenza “-gna”, che contraddistingue “cagna” e altri termini correlati, come “cagnara” (confusione o baccano causato dai cani), “cagnolino” (diminutivo di cane), “cagnaccio” (connotazione peggiorativa), “cagnone” e “cagnetto”.

La distinzione tra “cane” e “cagna” è emersa in un contesto in cui era importante indicare il genere dell’animale per motivi pratici legati alla domesticazione. Nei nomi di animali domestici, infatti, è frequente l’esplicitazione del genere sessuale attraverso il cambio di desinenza. Si pensi, ad esempio, a coppie come “gatto/gatta”, “cavallo/cavalla” o “leone/leonessa”.

Le influenze dialettali e i confini linguistici

Nonostante la forma “cagna” sia quella codificata nella norma dell’italiano standard, l’uso di “cana” persiste in ambiti regionali grazie all’influenza dei dialetti locali. Nel caso del romanesco e dei dialetti centromeridionali, questa variante è favorita da una tradizione linguistica che spesso tende a semplificare o modificare le strutture fonetiche rispetto alla norma standard.

Ad esempio, in alcuni dialetti, come quello di Rieti, la distinzione di genere per il termine “cane” non avviene attraverso la desinenza, ma con l’uso differenziato dell’articolo: lu cane (maschile) e la cane (femminile). Questa particolarità sottolinea come i dialetti possano sviluppare soluzioni linguistiche proprie per soddisfare esigenze comunicative locali.

Un fenomeno simile si osserva anche nel lessico derivato: a Roma si sentono talvolta forme come “canone” e “canetto”, che sono varianti dialettali o substandard di “cagnone” e “cagnetto”. Questi usi, sebbene non conformi alla norma standard, arricchiscono il panorama linguistico italiano, evidenziando la dinamicità della lingua.

Considerazioni sull’uso e sulla norma

L’alternanza tra “cana” e “cagna” riflette una tensione tra norma standard e uso regionale. La forma “cana”, pur essendo ampiamente riconosciuta in contesti informali e dialettali, non è considerata corretta nell’italiano standard. Questo non significa che sia priva di valore; al contrario, essa testimonia la vitalità dei dialetti e la loro capacità di influenzare la lingua nazionale.

Nel linguaggio quotidiano, la scelta tra “cana” e “cagna” può essere influenzata dal contesto sociale, dal registro linguistico e dalla sensibilità del parlante verso la norma standard. In contesti formali o scritti, è preferibile usare “cagna”, mentre in ambiti informali o colloquiali, soprattutto nelle regioni centromeridionali, “cana” è spesso accettata senza riserve.

La questione delle forme “cana” e “cagna” è un esempio emblematico della ricchezza e complessità della lingua italiana, che si nutre delle sue molteplici varianti regionali. Sebbene la norma prescriva l’uso di “cagna” come femminile di “cane”, l’esistenza di “cana” nei dialetti e nell’italiano regionale dimostra come la lingua sia un organismo vivo, in continua evoluzione e in grado di adattarsi alle esigenze comunicative dei suoi parlanti. La convivenza di queste forme è una testimonianza della diversità culturale e linguistica che caratterizza l’Italia e contribuisce alla sua straordinaria ricchezza espressiva. Per avere informazioni più esaustive consigliamo la lettura dell’articolo di Paolo D’Achille redatto per l’Accademia della Crusca: Cana o Cagna?

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