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Giacomo Leopardi e la sua definizione di “parole” e “termini”

La definizione che ha dato Giacomo Leopardi di "termini" e "parole" quali strumenti da lui utilizzati con massima arte. Oltre l'odierno svilimento.

Giacomo Leopardi, grande osservatore della natura umana e del linguaggio, offre una riflessione di straordinaria profondità nella sua opera Zibaldone sulla differenza tra “termini” e “parole”. Questa distinzione non è meramente linguistica, ma si estende alla concezione stessa della realtà e dell’immaginazione, ponendosi come un punto chiave per comprendere il suo pensiero estetico e filosofico.

Giacomo Leopardi e la lingua utilizzata con massimo rigore e massima arte

I “termini” come rigore scientifico

Secondo Leopardi, i “termini” sono voci scientifiche che esprimono “la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto”. Essi hanno una funzione primaria: determinare e definire con precisione gli oggetti o concetti a cui si riferiscono. Per Leopardi, il valore dei termini risiede nella loro capacità di eliminare ogni ambiguità, ma questo stesso pregio può rivelarsi anche un limite. Il rigore del termine è accompagnato da una freddezza intrinseca, un’aridità che soffoca l’immaginazione e priva il discorso della sua bellezza.

I termini sono indispensabili nelle scienze, ma nella letteratura e nell’arte rischiano di ridurre l’efficacia espressiva, rendendo il linguaggio “geometrico” e privo di grazia. Leopardi evidenzia il pericolo di una lingua sovraccarica di termini scientifici, come avviene secondo lui nel caso del francese: una lingua così strutturata e regolare che, pur essendo facile da imparare e diffondere, ha perso il suo “sugo”, cioè la vitalità e l’espressività. Questo processo è sintomatico di una società che privilegia il razionale rispetto al creativo, il determinato rispetto al suggestivo.

Le “parole” come creatività ed immaginazione

Le “parole”, a differenza dei termini, sono ricche di significati accessori e sfumature, evocano immagini e stimolano l’immaginazione. Per Leopardi, una lingua ricca di parole non è solo più adatta alla letteratura, ma anche alla bellezza in senso lato. Le parole portano con sé un mondo di emozioni e associazioni che vanno oltre la semplice idea dell’oggetto significato.

Il valore delle parole è nel loro potenziale evocativo: non si limitano a comunicare informazioni, ma trasmettono sensazioni, creano immagini vivide e contribuiscono a costruire un discorso armonioso e coinvolgente. Questo aspetto, per Leopardi, è essenziale nella poesia e nella prosa artistica, dove il fine non è tanto la chiarezza definitoria quanto la capacità di colpire il cuore e l’immaginazione.

Leopardi collega la distinzione tra termini e parole a una dicotomia più ampia: quella tra ragione e immaginazione. I termini, paragonati alla filosofia e alla ragione pura, sono necessari per analizzare e comprendere, ma il loro predominio può “istecchire e isterilire questa povera vita”. Le parole, invece, si associano alla libertà e alla creatività dell’immaginazione, che per Leopardi rappresentano il vero “bello di questo mondo”.

L’autore lamenta il progressivo impoverimento delle lingue moderne, che, come il francese, si stanno avvicinando sempre più a uno stile “matematico” per l’eccessiva presenza di termini. Questo fenomeno, a suo avviso, è sintomo di una società che privilegia il rigore tecnico a scapito del piacere estetico e della profondità emotiva. Di fronte a questa tendenza, Leopardi auspica un ritorno a un linguaggio “colorito, ardito e figurato”, ispirato alla tradizione degli antichi, in cui le parole riescono a esprimere la ricchezza della vita e della natura.

La lingua italiana: tra passato e presente

Riferendosi alla sua contemporaneità, Leopardi osserva che anche la lingua italiana rischia di soffrire di questo “moderno aridore”. Seppur ancora ricca di parole e modi espressivi, appare segnata da uno stile che si presenta “misero e dissonante”. Questo fenomeno deriva sia dall’eccessiva affettazione di molti scrittori sia dalla ricerca esasperata di termini e frasi desunte dagli antichi, ma utilizzate senza la sapienza e il gusto necessari.

L’italiano, nelle mani di scrittori superficiali, perde la freschezza, il colore e la morbidezza che caratterizzavano gli autori classici, come quelli del Rinascimento. Tuttavia, per Leopardi, questa condizione non è irreversibile: con un approccio giudizioso e uno studio sincero degli antichi, si può recuperare la vitalità e la bellezza originarie della lingua.

Leopardi non demonizza né i termini né le parole, ma sottolinea l’importanza di un equilibrio. I termini sono strumenti indispensabili per il pensiero analitico e scientifico, mentre le parole nutrono la creatività e la sensibilità artistica. La ricchezza di una lingua e di una cultura deriva dall’armonia tra queste due componenti.

Rivolgendosi ai contemporanei e ai posteri, Leopardi ci invita a riflettere sull’uso del linguaggio, a valorizzare il suo potenziale immaginativo senza trascurare la precisione. Nel mondo di oggi, caratterizzato dalla preminenza del linguaggio tecnico e scientifico, la lezione leopardiana appare più attuale che mai: è fondamentale conservare quella capacità evocativa che rende una lingua viva, potente e in grado di affascinare.

Ecco qua il testo scritto dallo stesso Giacomo Leopardi in una pagina del suo Zibaldone:

Le parole come osserva il Beccaria (tratt. dello stile) non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno immagini accessorie. Ed è pregio sommo della lingua l’aver di queste parole. Le voci scientifiche presentano la nuda e circoscritta idea di quel tale oggetto, e perciò si chiamano termini perchè determinano e definiscono la cosa da tutte le parti.

Quanto più una lingua abbonda di parole, tanto più è adattata alla letteratura e alla bellezza ec. ec. e per lo contrario quanto più abbonda di termini, dico quando questa abbondanza noccia a quella delle parole, perchè l’abbondanza di tutte due le cose non fa pregiudizio. Giacchè sono cose ben diverse la proprietà delle parole e la nudità o secchezza, e se quella dà efficacia ed evidenza al discorso, questa non gli dà altro che aridità. Il pericolo grande che corre ora la lingua francese è di diventar lingua al tutto matematica e scientifica, per troppa abbondanza di termini in ogni sorta di cose, e dimenticanza delle antiche parole.

Benchè questo la rende facile e comune, perch’è la lingua più artifiziale e geometricamente nuda ch’esista oramai. Perciò ha bisogno di grandi scrittori che appoco appoco la tornino ad assuefare allo stile e alle voci del Bossuet del Fenelon [sic] e degli altri sommi prosatori del loro buon secolo, e così nella poesia. Mad. di Staël mostra col fatto di averlo conosciuto, e il suo stile ha molto della pastosità dell’antico a confronto dell’aridità moderna e di quegli scheletri (regolari ma pure scheletri) di stile d’oggidì.

Ed anche non farebbe male ad attingere alle antiche sue fonti d’Amyot e degli altri tali che usati con discrezione ridarebbero alla lingua quel sugo ch’ella oramai ha perduto anche per la monotona e soverchia regolarità della sua costruz. (che anch’essa contribuisce massimamente a renderla comune in Europa) di cui tanto si lagnava il Fenelon ed altri insigni. Adattiamo questa osservazione a cose meno materiali.

E riducendo l’osservazione al generale troveremo il suo fondamento nella natura delle cose, vedendo come la filosofia e l’uso della pura ragione che si può paragonare ai termini e alla costruz. regolare, abbia istecchito e isterilito questa povera vita, e come tutto il bello di questo mondo consista nella immaginaz. che si può paragonare alle parole e alla costruz. libera varia ardita e figurata. Le voci greche (le voci non i modi) di cui s’è tanto ingombrata la lingua francese in questi tempi, non possono nelle nostre lingue esser altro che termini, con significazione nuda e circoscritta, e aria tecnica e geometrica senza grazia e senza eleganza.

E quanto più ne abbonderemo con pregiudizio delle nostre parole, tanto più toglieremo alla grazia e alla forza nativa della nostra lingua. Perchè la forza e l’evidenza consiste nel destar l’immagine dell’oggetto, e non mica nel definirlo dialetticamente, come fanno quelle parole trasportate nella nostra lingua. Le metafore d’ogni sorta sono adattiss. per questa cagione alla bellezza naturale e al colorito del discorso.

E la lingua italiana studiata di tanti scrittorelli d’oggidì che ancorchè sia piena di modi e di parole native, riesce sì misera e dissonante, vien tale (oltre all’affettaz. che si manifesta per troppo superficiale perizia del vero linguaggio italiano, e stentata ricerca di parole e frasi antiche, piuttosto che gusto e stile modellato giudiziosamente sull’antico, e ridotti in succo e sangue proprio gli antichi scrittori) perchè fa bruttissimo vedere l’aridità moderna che questi non sanno schivare, colla freschezza il colorito la morbidezza la vistosità l’embonpoint la floridezza il vigore ec. antico.

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