Chi non conosce Jean de La Fontaine e le sue “Favole“? Il poeta francese, che amava definirsi “anima inquieta e ovunque ospite di passaggio” ci ha lasciato molte opere splendide, fra cui spiccano l'”Adonis”, poemetto idillico in cui l’autore racconta il mito di Venere e Adone, l'”Eunuque”, rielaborazione del classico di Terenzio, ma soprattutto le “Favole”, un complesso lavoro suddiviso in piรน libri in cui La Fontaine ha utilizzato gli animali per mostrare i vizi e le virtรน degli esseri umani.
Ritenuto diretto continuatore degli autori classici Esopo e Fedro, Jean de La Fontaine ha prodotto con le sue “Favole” una vera e propria metafora della societร . Le favole, scritte in rima, hanno un valore del tutto universale. Per questa ragione, in occasione dell’anniversario della nascita di questo grande autore della letteratura mondiale, avvenuta l’8 luglio 1621, vogliamo proporvi la lettura di una delle sue “Favole”, quella di “Filomela e Progne”, racchiusa nel Terzo Libro delle “Favole” e tradotta da Emilio De Marchi.
“Filomela e Progne” di La Fontaine si ispira al mito greco delle due sorelle Filomela e Procne, raccontato nel VI libro delle “Metamorfosi” di Ovidio. Le due fanciulle sono figlie del re greco Pandione, che ha concesso in sposa per motivi politici Procne al re tracio Tereo. Il dramma da cui prende spunto la favola di La Fontaine ha inizio quando Procne convince il marito a recarsi ad Atene per riportarle l’amata sorella Filomela. Ritornato in patria, Tereo si approfitta della fanciulla, le mozza la lingua perchรฉ non possa parlare e la rinchiude in un luogo isolato.
Filomela e Progne di Jean de La Fontaine
Giร fu un tempo che la Rondine
la sua casa abbandonรฒ,
e la verde solitudine
della selva ricercรฒ,
dove spiega dolce al vento
lโUsignol il suo concento.
– Filomela, – cosรฌ chiamasi
lโUsignol in vecchio stile, –
della tua dolce sorella
ti ricordi, uccel gentile?
Guarda: son la Rondinella.
Son millโanni che non vieni
a trovarmi, da quel dรฌ,
ti sovvieni?
che lasciasti i lidi eolici
per venir sdegnosa qui.
Or che cosa intendi fare?
di restare a stancar lโaria
del tuo canto eternamente,
disdegnosa e solitaria?
Qui non passan che selvaggi
animali e rozza gente;
il deserto, i sassi, i faggi,
non son fatti per unโanima
cosรฌ dolce e intelligente.
Il tuo canto, se ritorni,
o sorella, alla cittร ,
come giร nei lieti giorni
ogni cor stupir farร .
Mentre invece questo vivere
solitaria, negli affanni,
in questโorrido soggiorno,
non puรฒ far che porre in mente
il selvaggio,
il nefando orrendo oltraggio,
che Tereo nel bosco un giorno
sul bel corpo ti recรฒ.
Vieni adunque, son millโanni
che quel tempo ormai passรฒ.
– Progne, – disse lโUsignolo, –
se il motivo vuoi sentire
che nei boschi mi trattiene,
il motivo รจ questo solo:
che lโimmagine degli uomini
non farebbe che inasprire
il dolore e la memoria
delle mie passate pene.