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Il senso della vita nei versi di Giorgio Caproni

Scopri il senso della vita secondo Giorgio Caproni attraverso i versi tratti dalla poesia “Biglietto lasciato prima di non andar via”, contenuta nella raccolta “Il franco cacciatore”, pubblicata da Garzanti nel 1982

Qual è il senso della vita? A questa domanda prova a rispondere Giorgio Caproni (1912-1990), celebre poeta, critico letterario, traduttore e scrittore italiano. Nelle sue poesie l’autore tratta soprattutto temi di vita vissuta (Genova, la madre e la città natale, il viaggio, il linguaggio), dando spazio ai sentimenti e a riflessioni sulla vita e in senso dell’esistenza. Una di queste riflessioni è contenuta all’interno della poesia “Biglietto lasciato prima di non andar via”, pubblicata nella raccolta poetica “Il franco cacciatore” .

“Il mio viaggiare è stato tutto un restare qua, dove non fui mai”

Il senso della vita e l’ossimoro del viaggio

In questo verso, Giorgio Caproni rappresenta la vita in un ossimoro dal senso ironico e al tempo stesso malinconico. La vita per lui è come un viaggio ma senza muoversi, uno “spostamento” possibile ma solo tramite la fantasia, la scrittura, l’osservazione della realtà e delle vite degli altri. Un ossimoro che porta l’autore a porsi dei dubbi sul fatto che sia lui che che osserva la vita o, al contrario, sia la vita che osserva lui.

In questi brevi versi, Caponi constata tristemente che le parole sono capaci solo di afferrare frammenti di realtà, scivolosa e spigolosa, meravigliosa e sfuggente, irrimediabilmente ostinata a trasformarsi nella ruota della vita che gira senza soluzione di continuità.

Biglietto lasciato prima di non andar via

Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
È stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.

Questo è il testo completo, da cui è stata tratto il verso scelto. L’esasperazione di un ossimoro, che ha in sé un alto tasso di ironia e di disperazione. La disperazione di chi, come molti poeti e filosofi, non riesce a vivere la vita perché troppo impegnato a osservarla e a indagarla, fino al punto di non sentirsi più parte della vita stessa e l’ironia di chi ha intimamente compreso che le parole non saranno mai in grado di tradurre la realtà, sfuggente e complessa, ma potranno solo tentare di giocare con essa.

“Il franco cacciatore” di Giorgio Caproni

Il franco cacciatore” è una delle raccolte poetiche più vaste di Giorgio Caproni. Pubblicata da Garzanti nel 1982, racconta della svolta del poeta verso un’indagine che va oltre il mondo fisico. Il linguaggio vira verso un inasprimento, si fa scarno, circondandosi di vuoto, e si arricchisce di ossimori, che rendono impervio e pieno di ostacoli il percorso di avvicinamento di ogni lettore, continuamente sorpreso dalla negazione totale di ciò che un attimo prima aveva letto.

Lo stesso Giorgio Caproni racconta che questa sua raccolta aveva una missione ben precisa: “Quella che soprattutto m’interessa è la figura del cacciatore, […] vista – come già la figura del viaggiatore – in veste di cercatore. Cercatore di che? Di dio? Della verità? Di ciò che sta dietro il fenomeno ed oltre l’ultimo confine cui può giungere la ragione? Della propria o dell’altrui identità? Una domanda vale l’altra, e forse si tratta solo di ricerca per amor di ricerca”.

 

Il poeta del sole, della luce e del mare

Giorgio Caproni è stato un poeta, un traduttore e un critico letterario di fama internazionale. La sua poetica ruota intorno a dei temi ricorrenti, tra i quali la madre, la sua città natale Livorno, Genova dove si trasferì con la famiglia a 10 anni, il viaggio e il linguaggio.

La sua scrittura univa precisione metrico-stilistica, raffinatezza linguistica, immediatezza e chiarezza di sentimenti. Nel corso della sua produzione poetica Caproni modifica i suoi riferimenti di stile e si sposta verso una forma metrica esclamativa e spezzata, che racconta del disagio del poeta nell’affrontare una realtà sempre più sfuggente e sempre più difficile da tradurre in linguaggio.

L’ultima fase della sua poetica, infatti, porta all’estremo tale riflessione, tanto da trattare il linguaggio come strumento inefficace e ingannevole, inadeguato a rappresentare la realtà.

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