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Maurizio Galimberti, ”Con la polaroid riesco a cogliere l’interiorità dei miei soggetti”

Cogliere l'autenticità dei suoi soggetti, porgendo di fronte a loro la macchina fotografica, in modo tale che venga fuori l'autenticità del personaggio, senza la contaminazione della posa. E' questa la suggestiva tecnica adottata da Maurizio Galimberti, uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei, famoso nel mondo per i suoi mosaici di polaroid, che lo hanno portato nel 1999 ad essere nominato al primo posto nella classifica dei foto-ritrattisti italiani redatta dalla rivista Class...

Il noto fotografo italiano racconta come è nata la sua passione per la fotografia e spiega i segreti della sua famosa tecnica: quella dei mosaici in polaroid

 

MILANO – Cogliere l’autenticità dei suoi soggetti, porgendo di fronte a loro la macchina fotografica, in modo tale che venga fuori l’autenticità del personaggio, senza la contaminazione della posa. E’ questa la suggestiva tecnica adottata da Maurizio Galimberti, uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei, famoso nel mondo per i suoi mosaici di polaroid, che lo hanno portato nel 1999 ad essere nominato al primo posto nella classifica dei foto-ritrattisti italiani redatta dalla rivista Class. Galimberti racconta come è nata e si è sviluppata la sua passione per la fotografia, che lo ha portato a interpretare con il suo stile le più importanti celebrità e le più famose metropoli internazionali.

 

Come nasce la sua passione per la fotografia?
Nasce da quando avevo 15 anni. Ero veramente appassionato di fotografia perché andavo sui cantieri con mio papà e misuravamo i piani con il livello, uno strumento simile ad una macchina fotografica che tu mettevi su un 3 piedi e guardavi dentro. Da qui mi è venuta questa mania di guardare dentro uno strumento ottico, che però era una macchina fotografica. A 15 anni ho iniziato a fotografare, intorno ai 20 anni poi ho iniziato a stampare in camera oscura, quindi a 27 sono passato all’uso delle polaroid. La fotografia per me rappresenta un amore, una passione innata.

Come è cambiato negli anni il suo approccio alla fotografia?
Negli anni sono passato da un approccio amatoriale, superficiale, quando agli inizi fotografavo per documentare o per partecipare a concorsi, ad uno più professionale verso i 27 anni quando, ho iniziato a usare la polaroid, mi ero appassionato alla storia dell’arte. La mia fortuna è stata quella di capire che, grazie alla polaroid, potevo mixare le mie idee con la storia dell’arte. In particolar modo sono rimasto affascinato dagli impressionisti e dalle avanguardie, ed è lì che si è formata la mia visione fotografica.  Per diventare un autore, mi sono fatto il mio percorso, anche da autodidatta.

 

Cosa ha la fotografia di unico rispetto ad altre arti figurative? Perché lei ha scelto proprio la fotografia?
Ho scelto la fotografia perché era il media più contemporaneo quando ero piccolo. Era sempre presente in casa mia; mio padre aveva sempre la macchina fotografica in studio, il sabato e la domenica con mia mamma quando andavamo fuori  ce la portavamo sempre dietro. Era qualcosa che c’era sempre nella mia vita, ed io l’ho colto. Col tempo ho iniziato anche a disegnare e dipingere, ma fin da piccolo sono stato sempre ossessionato dalla fotografia.

Oggi l’arte fotografica è abbastanza valorizzata?
Ci sono degli ottimi autori, molti giovani stanno venendo fuori. La fotografia c’è ed ha tutto un suo popolo, ma non viene valorizzata come merita, soprattutto dalle istituzioni, le quali non investono abbastanza nella cultura. La fotografia è celebrata e coltivata, come dimostrato dal successo dalla fiera della fotografia MIA tenutasi qualche tempo fa a Milano, ma avrebbe solo bisogno di un po’ di sostegno da parte delle istituzioni pubbliche, più attente ad altre attività ed altri settori, come il calcio. Il Presidente della Repubblica riceve la Nazionale di Calcio al Quirinale, non gli artisti.

Lei è conosciuto come uno dei più importanti foto ritrattisti del mondo. Ci parli della sua tecnica.
Il ritratto mi ha cambiato la vita; la tecnica nasce dall’incontro tra il Futurismo di Boccioni, che imprimeva agli oggetti linee dinamiche, ed il “Nudo che scende le scale” di Duchamp, con il soggetto fermo che, attraverso la sua scansione, gli dona movimento. La mia idea è stata vincente rispetto ad altri mosaicisti: il mio non è un ritratto cubista stile Brach o Picasso. Appoggiando la mia macchina in faccia alla persona, essa non riesce a darsi un atteggiamento, rimane spiazzata, colta di sorpresa. Da ciò deriva la forza del ritratto. Venendo fuori l’autenticità, ciò che si è dentro, non c’è la contaminazione della posa. Il mio ritratto non è estetico, ma interiore. I maestri della fotografia che più mi hanno influenzato sono stati Robert Frank, Mario Giacomelli ed Ugo Mulas.

Lei è autore di diversi libri fotografici e mostre. A quali tiene maggiormente?
Ho realizzato diversi lavori d’architettura, sia a mosaico che con le polaroid singole. Ho realizzato volumi dedicati a Berlino, Venezia, New York, Italia. Ne sono in uscita di nuovi. Da questi libri vengono fuori i miei punti di vista sulle diverse città, con i miei ritmi, i miei cromatismi. Sono molto legato a questi volumi. La mostra a cui sono più affezionato è quella che feci l’anno scorso alla Certosa di Carpi. E’ stato per me un grandissimo privilegio realizzare quella mostra insieme ad un mostro sacro come Herbert List. Per l’occasione mi sono messo pesantemente in gioco, attraverso una serie di scatti in bianco e nero con cui ho dato forza all’immagine, togliendone la patina del tempo, affiancate ad altre immagini più contemporanee realizzate con la tecnica del mosaico e la polaroid.

Ha avuto la fortuna di fotografare diverse celebrità. Qual è stata la più fotogenica? Quale personaggio l’ha maggiormente sorpresa?
Il personaggio che mi ha più impressionato è stato Johnny Depp, mentre la più fotogenica è stata senza dubbio la mitica Catherine Zeta Jones.

 

17 luglio 2012

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