Virgilio svela come trasformare l’ansia in coraggio e la paura in forza

8 Dicembre 2025

Nell’“Eneide”, Virgilio svela come si può trovare la forza per reagire anche davanti alla peggiore sventura, trasformandola in grande opportunità.

Virgilio svela come trasformare l'ansia in coraggio e la paura in forza

Ci sono momenti in cui la paura si insinua in ogni pensiero e l’ansia diventa così intensa da far sembrare lontana ogni forma di forza. Quando il presente si restringe e il futuro perde nitidezza, è facile credere che non esista una via d’uscita. Ed è proprio in quei passaggi fragili, quando l’essere umano si sente più esposto, che le parole degli antichi riescono ancora a offrire una sorprendente lucidità.

Nell’Eneide, Publio Virgilio Marone affida a Enea una frase che attraversa i secoli perché suggerisce un modo radicalmente diverso di guardare la paura, non come una condanna, ma come il punto esatto da cui può ricominciare la forza.

È una frase che continua a parlare al lettore contemporaneo, perché mostra come l’ansia possa trasformarsi in coraggio e il timore in consapevolezza.

Forsan et haec olim meminisse iuvabit.

Forse un giorno sarà bello ricordare anche queste cose.

Il contesto dell’Eneide di Virgilio

La frase pronunciata da Enea nasce nel momento più fragile dell’intero viaggio troiano. Nel primo libro dell’Eneide (19 a.C.), Publio Virgilio Marone racconta il naufragio che colpisce la flotta mentre i profughi sono ormai da anni in viaggio, in fuga dalla città distrutta e alla ricerca della terra promessa dal destino: il Lazio. L’ira della dea Giunone scatena una tempesta violenta che travolge le navi, le disperde, ne affonda alcune e getta nel caos uomini già provati da un lungo esilio. È un attimo di smarrimento totale, in cui la paura di morire in mare sembra più concreta che mai.

Dopo la tempesta, Enea riesce a radunare soltanto sette navi superstiti e approda su una costa sconosciuta, identificata come la Libia. I compagni sono stremati, affamati, colmi di sconforto. La loro impresa appare improvvisamente impossibile, il futuro si oscura e ciò che resta è un gruppo di uomini persuasi di aver forse raggiunto la fine del proprio cammino.

In questo scenario di profonda incertezza, Virgilio introduce uno dei gesti più alti di leadership dell’epica antica. Pur avendo il cuore gravato dall’angoscia, Enea sceglie di non cedere allo sconforto. Si mostra saldo, offre il vino donato da Aceste e pronuncia un discorso che non minimizza la sofferenza ma la riconosce apertamente. «Da tempo infatti non manchiamo di conoscere la sventura», afferma, lasciando intendere che il dolore non è un incidente imprevisto ma una parte reale del loro percorso.

Subito dopo richiama alla memoria le prove passate, la furia di Scilla, gli scogli urlanti, le caverne dei Ciclopi, come a ricordare che la resistenza non è una novità per chi ha già attraversato l’impossibile. È solo allora che pronuncia la massima destinata a superare i secoli: “Forsan et haec olim meminisse iuvabit”.

La frase non è un pensiero astratto ma un comando diretto, un invito a proiettare la mente in avanti verso il giorno in cui quel dolore sarà diventato ricordo e testimonianza di forza.

Per dare consistenza a questa prospettiva, Enea ribadisce lo scopo finale del viaggio, il Lazio, luogo in cui il destino indica una nuova patria e la possibilità della rinascita di Troia. L’eroe non offre consolazioni facili ma un orientamento. Indica una meta quando tutto sembra perduto.

In questo intreccio di paura, memoria e visione, Virgilio colloca la frase più celebre del passo. Non è pronunciata in un momento di serenità ma nel cuore della crisi, quando l’angoscia rischia di mettere in discussione l’intera impresa. È proprio questa collocazione a darle il suo valore più profondo, perché mostra come l’essere umano possa reagire anche davanti alla sventura più grande trasformando lo smarrimento in un atto di volontà e di direzione.

La lezione di Virgilio contro l’ansia e la paura

Publio Virgilio Marone affida a Enea parole che scuotono i compagni di viaggio:

O socii (neque enim ignari sumus ante malorum), o passi graviora, dabit deus his quoque finem.»

O compagni, poiché non siamo certo inesperti delle sventure, o voi che avete sofferto cose anche più gravi, un dio porrà fine anche a questi mali.

In questo momento costruisce il primo pilastro della sua lezione. L’eroe non nega la sofferenza, non invita a “pensare positivo”, ma riconosce con lucidità che la sventura fa parte di una storia già cominciata. I compagni non sono ingenui di fronte al dolore. Hanno visto la caduta di Troia, hanno sperimentato la precarietà dell’esilio. Questo riconoscimento è fondamentale perché restituisce dignità alle emozioni provate. Non c’è infantilizzazione della paura, c’è un modo adulto di guardarla in faccia.

Subito dopo, Virgilio approfondisce questo gesto richiamando alla memoria le prove estreme già attraversate:

Vos et Scyllaeam rabiem penitusque sonantis accestis scopulos, vos et Cyclopia saxa experti

Voi vi siete spinti fino alla furia di Scilla e agli scogli che rimbombano nel profondo, voi avete fatto esperienza anche delle rocce dei Ciclopi

Le immagini di Scilla, degli scogli risonanti e dei massi dei Ciclopi non sono solo elementi mitologici, ma simboli di un’esperienza vissuta in cui i Troiani hanno già resistito a qualcosa di più grande di loro. In termini moderni, la memoria diventa un archivio che stimola a resitere e a reagire. L’essere umano, quando rilegge le proprie esperienze, può scoprire di essere più forte di quanto percepisce nel momento della crisi.

Subito dopo Virgilio sempre nello stesso contesto del Libro I dell’Eneide afferma:

revocate animos maestumque timorem mittite

riprendetevi d’animo e scacciate la triste paura

Con queste parole introduce un secondo movimento, quello della gestione emotiva. Enea invita a richiamare a sé il proprio animo, a recuperare il centro interiore e a lasciare andare la paura triste. Virgilio non propone di cancellare il timore, ma di non lasciargli occupare tutto lo spazio. La paura viene ridimensionata, ricondotta entro un perimetro che consente di pensare e agire.

È una forma di alfabetizzazione emotiva ante litteram, che mostra quanto la fermezza non coincida con l’assenza di paura, ma con la capacità di non farsene dominare.

In questo quadro si inserisce la massima che ha attraversato i secoli:

Forsan et haec olim meminisse iuvabit

forse un giorno sarà bello ricordare anche queste cose.

Qui Virgilio compie un’operazione decisiva, spostando l’asse dal presente schiacciante al futuro possibile. Ciò che oggi appare insopportabile, un giorno potrà essere ricordato con un sentimento diverso. La prospettiva si allarga, il tempo non è più solo quello dell’angoscia attuale, ma anche quello del domani in cui la prova sarà diventata memoria.

Non è il dolore in sé a diventare “bello”, ma il fatto di aver resistito, di aver continuato a vivere nonostante quel dolore. La sofferenza viene trasformata in materiale narrativo, in parte integrante della propria storia personale.

Il discorso continua con:

Per varios casus, per tot discrimina rerum tendimus in Latium

Attraverso diverse vicende e tanti pericoli noi tendiamo verso il Lazio

Con queste parole Virgilio attraverso Enea aggiunge un ulteriore livello alla lezione. Il viaggio dei Troiani non è una fuga senza direzione. È un percorso faticoso, pieno di cadute e pericoli, che conduce però verso una meta precisa.

Il Lazio non è solo un luogo geografico, ma il simbolo di un progetto, di un senso, di un futuro immaginato. In termini sociologici, Virgilio suggerisce che l’essere umano riesce a sopportare la precarietà quando percepisce di avere una direzione. La presenza di uno scopo rende le prove parte di un cammino, non di un caos senza significato.

Infine, la chiusura del discorso,:

Durate et vosmet rebus servate secundis.

Resistete e conservatevi per tempi favorevoli.

Questa frase contiene il cuore della proposta virgiliana. Resistere non è un imperativo astratto, ma un invito a custodirsi per i tempi migliori. Enea chiede ai suoi compagni di non consumarsi nella disperazione, ma di preservare le proprie energie in vista di un cambiamento possibile.

La resistenza diventa una forma di fiducia nel futuro, una dichiarazione implicita che il presente non esaurisce tutte le possibilità. In questa prospettiva, la lezione di Virgilio non è solo spirituale o morale, ma profondamente umana: ansia e paura non vengono negate, ma inserite dentro un processo che le trasforma, passo dopo passo, in consapevolezza e forza.

È possibile vincere l’ansia e la paura, ma serve coraggio

Publio Virgilio Marone, attraverso il discorso di Enea, consegna una lezione che continua a parlare con forza all’uomo di oggi. In un tempo in cui ansia, incertezza e paura sembrano elementi strutturali dell’esperienza quotidiana, la risposta virgiliana non invita alla fuga né alla rimozione, ma a un esercizio di consapevolezza. La sofferenza non viene negata, viene attraversata. Diventa materia di significato.

Il poeta mostra che una crisi trova il suo punto di rottura quando la si considera definitiva. Ma quando viene inserita in una storia più ampia, quando viene collegata alle prove già superate e alla possibilità di un futuro diverso, allora la paura perde il suo carattere assoluto. Il dolore non è più un blocco, ma una tappa del cammino.

In questo senso, la frase “Forse un giorno sarà bello ricordare anche queste cose” è un gesto di fiducia nella capacità dell’essere umano di trasformare ciò che lo ferisce in qualcosa che può essere compreso, ricordato e persino valorizzato.

La prospettiva che Virgilio offre è sorprendentemente moderna. La memoria diventa una risorsa emotiva, lo scopo un orientamento psicologico, la resistenza una forma di cura. Ogni individuo, come i Troiani naufragati su una costa sconosciuta, può ritrovarsi improvvisamente esposto alla sensazione di aver perduto tutto. Ma l’insegnamento dell’Eneide suggerisce che la condizione presente non esaurisce il possibile. Che esiste sempre un “Lazio”, reale o simbolico, verso cui tendere.

In questo intreccio di passato, presente e futuro si compie la trasformazione più profonda: l’ansia diventa forza, la paura diventa consapevolezza, la sventura diventa il punto da cui ricomincia la storia. Ed è proprio per questo che le parole di Virgilio continuano a risuonare. Ricordano che nessuna tempesta è definitiva per chi sceglie di restare, resistere e dare al proprio destino una forma nuova.

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