Roberto Vecchioni e il segreto del tempo: perché il Capodanno è un inganno che ci salva

30 Dicembre 2025

Perché abbiamo bisogno del Capodanno? Roberto Vecchioni smonta il mito del calendario. La lezione di vita che non ti aspetti per l'anno nuovo.

Roberto Vecchioni e il segreto del tempo: perché il Capodanno è un inganno che ci salva

Mentre tutti contano i secondi che mancano alla mezzanotte del 31 dicembre, convinti che una data sul calendario possa davvero segnare un nuovo inizio, Roberto Vecchioni ci invita a guardare oltre il brindisi.

Siamo abituati a pensare al Capodanno come al confine simbolico di un “tempo orizzontale”, una linea retta fatta di prima e di dopo, ma nel suo libro La vita che si ama (Einaudi, 2016), il Professore svela che questa scansione è solo un inganno che ci salva la vita. Per non essere schiacciati dall’ansia degli istanti che fuggono, abbiamo inventato i riti e le scadenze. Tuttavia, esiste un altro modo di stare al mondo che non aspetta il primo gennaio per manifestarsi: il Tempo Verticale.

È qui che la riflessione di Vecchioni diventa una bussola per chiunque, in queste ore di bilanci e propositi, cerchi qualcosa di più profondo di una semplice festa.

Il contesto di La vita che si ama: perché Vecchioni parla di tempo

La vita che si ama è un libro scritto da un padre ai propri figli. Roberto Vecchioni lo apre con una lettera indirizzata a Francesca, Carolina, Arrigo ed Edoardo, dichiarando fin da subito il suo intento: non spiegare cos’è la felicità, ma offrire strumenti per attraversare la vita senza esserne travolti. Le riflessioni sul tempo, sull’esperienza e sulla speranza prendono forma all’interno di questo gesto di trasmissione.

Vecchioni attinge alla propria biografia, la famiglia, l’insegnamento, gli amori, le perdite, la figura del padre Aldo, e la intreccia con le canzoni, la letteratura, i miti, i luoghi che hanno segnato la sua vita. Non per costruire un’autobiografia, ma per dare ai figli una mappa possibile dell’esistenza.

In questo orizzonte, il tempo non è un concetto astratto, ma una questione concreta e urgente: come si fa a vivere senza essere schiacciati dagli istanti? Come si fa a ricordare senza restare prigionieri del passato? Come si fa a sperare senza rimandare continuamente il senso a domani?

È da qui che nasce la distinzione tra tempo orizzontale e tempo verticale. Non come teoria da apprendere, ma come tentativo di nominare due modi diversi di stare al mondo. Il primo serve a proteggere, il secondo espone. E Vecchioni sceglie di raccontarli perché sa che non tutto può essere consegnato senza mediazioni: parlare del tempo significa, per lui, parlare di ciò che rende la vita abitabile per chi ama.

Il tempo orizzontale come inganno che salva la vita

Roberto Vecchioni nel suo libro dedica un capitolo sul tempo e introduce due diversi modi di viverlo.

L’inganno del tempo orizzontale ci salva la vita: se vivessimo nell’incubo di un inizio che è anche sempre una fine, che nessun prima abbia a che fare col poi, sarebbe un inferno.»

Il cantautore definisce il concetto di tempo orizzontale. Non lo fa per smascherare una semplice illusione, ma per spiegare una necessità vitale. L’essere umano vive come se il tempo scorresse in linea retta perché senza questa convinzione l’esperienza diventerebbe ingestibile.

L’inganno del tempo orizzontale ci salva la vita: se vivessimo nell’incubo di un inizio che è anche sempre una fine, che nessun prima abbia a che fare col poi, sarebbe un inferno.

Il tempo orizzontale nasce dalla paura dell’attimo isolato. Credere che esista un prima e un poi permette di collegare gli eventi, di costruire una storia, di immaginare una continuità tra ciò che accade. È grazie a questa struttura che possiamo ricordare senza restare intrappolati nel passato, sperare senza essere paralizzati dal presente, progettare senza dover contenere tutto in un solo istante.

Vecchioni insiste su un punto cruciale: non ricordiamo perché il tempo è lineare, ma rendiamo lineare il tempo per poter ricordare. Il passato e il futuro non sono dati oggettivi, ma strumenti narrativi che utilizziamo per non soccombere all’indefinito.

Il tempo lo vogliamo orizzontale per l’angoscia dei singoli attimi, per la paura che ci dà l’indefinito: che ci sia, non ci sia ancora o ci sia stato, noi solo il mosaico intero vogliamo vedere, la storia, il tempo che scorre e infila giorni come perle in una collana.

È qui che entra in gioco la speranza. Vecchioni la definisce come un anello immaginario, un collegamento che non esiste realmente, ma di cui abbiamo un bisogno drammatico. Senza questa connessione simbolica tra un istante e l’altro, la vita si frantumerebbe in una serie di fotogrammi senza senso.

È un mito, il non-tempo. Ma è un mito fuori di noi, smarrito, perso, sostituito dall’anello delle attese tra un fotogramma e l’altro. Quell’anello si chiama speranza.

Il tempo orizzontale, dunque, non è vero, ma funziona. Ci salva proprio perché ci consente di non vivere ogni istante come assoluto, definitivo, irripetibile. È una protezione contro l’eccesso di presenza.

Eppure, avverte Vecchioni, questa stessa struttura che ci protegge può diventare una gabbia. Credere nel tempo come successione reale ci obbliga a viverlo come tale: rincorrendo, accumulando, rimandando continuamente il senso a un momento successivo.

Ma questo stesso tempo che ci salva ci incalza, ci spinge, ci rincorre, ci trascina, perché crederlo reale obbliga a viverlo come reale.

L’obelisco del tempo: vivere tutto come un istante

Solo dopo aver chiarito perché il tempo orizzontale sia una difesa necessaria, Vecchioni introduce un’altra possibilità di vivere il tempo. Non come alternativa rassicurante, ma come condizione estrema, difficile da sostenere. È ciò che chiama “tempo verticale”.

Nel tempo verticale il prima e il dopo non esistono più come successione. Passato, presente e futuro non sono separati, ma coesistono. I ricordi non sono dispersi alle spalle e i desideri non sono proiettati in avanti: sono lì, adesso, accessibili nello stesso istante. Non c’è scorrimento, non c’è attesa, non c’è rinvio del senso.

Vecchioni è molto chiaro. Questa forma di tempo non è più vera perché più serena, ma perché più esposta. È un tempo che non protegge. Non filtra, non diluisce, non concede tregua.

I bambini, i pazzi, i geni, i poeti non conoscono il tempo orizzontale, non ne hanno bisogno, sanno che quando vedi una cosa la vedi per l’ultima volta, sbugiardano il trucco del tempo orizzontale perché non temono l’attimo, non hanno paura di ciò che non scorre, che non ha fine né inizio.

Queste figure non vengono evocate per essere idealizzate, ma per mostrare un diverso rapporto con l’istante. Chi vive nel tempo verticale non ha bisogno che il tempo scorra per sentirsi salvo. Ogni esperienza è definitiva perché non rimandabile. Ogni visione vale perché non accumulabile.

Nel tempo verticale nulla si perde, ma nulla viene nemmeno attenuato. Vecchioni usa un’immagine precisa: passato, presente e futuro sono impilati l’uno sull’altro, come un obelisco che poggia su una sola tessera. L’istante. Tutto accade insieme.

Passato, presente e futuro sono impilati l’uno sull’altro, sono un obelisco che poggia su una tessera sola.

Questa simultaneità può generare una forma di felicità radicale, ma anche un’esposizione totale. Vivere nel tempo verticale significa avere tutto nello stesso momento: passione e noia, dolore e riscatto, sconfitta e vittoria. Senza alibi, senza promesse future a cui delegare il senso.

È per questo che Vecchioni non propone il tempo verticale come una soluzione. Non è una via di salvezza, ma una condizione che va governata. Senza la protezione del tempo orizzontale, l’istante può diventare travolgente.

Vivere il tempo verticale non vuol dire uscire dal tempo imperturbabili. Vuol dire avere davvero tutto in un solo istante. Bisogna saperlo governare, questo tempo, non naufragarci dentro.

Oltre il 31 dicembre: la responsabilità di essere felici

Roberto Vecchioni chiude la sua riflessione senza offrire scorciatoie.

Si può fermare, il tempo. Si può conoscere e vivere il tempo verticale. Avere tutto in un solo istante: passione e noia, dolore e riscatto, sconfitta e vittoria. Niente yoga, zen e celesti meditazioni. Niente fedi, salvezze, cambiali di pace. Vivere il tempo verticale non vuol dire uscire dal tempo imperturbabili ai venti, alle tempeste, baciati dal sole. Vuol dire avere davvero tutto in un solo istante, e può essere piú tremendo di poter guardare a ieri o a domani: bisogna saperlo governare, questo tempo, non naufragarci dentro. Non ci sono alibi, non esistono scuse. Bisogna cercarlo, questo tempo.

Il tempo verticale non è una promessa di serenità, né una fuga spirituale. Non ha nulla a che fare con l’imperturbabilità, con le paci prefabbricate, con le salvezze delegabili. È una possibilità più esigente, e per questo più vera.

Vivere il tempo verticale significa avere tutto nello stesso istante: passione e noia, dolore e riscatto, sconfitta e vittoria. Significa rinunciare agli alibi del prima e del dopo, accettare che nulla possa essere rimandato o compensato altrove. È una condizione che può essere più tremenda del tempo lineare, perché non concede scuse né attenuazioni. Per questo non basta intuirla: bisogna saperla governare, per non naufragarci dentro.

Ed è proprio qui che il Capodanno ritrova il suo senso più profondo. Non come illusione ingenua di un nuovo inizio, ma come soglia necessaria per chi non è sempre pronto a sostenere il peso dell’istante assoluto. Il tempo orizzontale, con i suoi riti e le sue scansioni artificiali, resta una protezione fragile ma indispensabile. Non nega il tempo verticale, lo rende praticabile a piccoli passi.

Roberto Vecchioni non invita a scegliere tra i due tempi, ma a riconoscerli. A sapere quando è necessario affidarsi alla continuità rassicurante del prima e del dopo, e quando, invece, vale la pena cercare quel tempo più denso e pericoloso in cui tutto accade insieme. Perché il tempo verticale non si aspetta e non si eredita: si cerca. E cercarlo significa assumersi, fino in fondo, la responsabilità di vivere.

© Riproduzione Riservata