Si osserva un problema sociale dilagante: l’umano è intrappolato nella gara estenuante per essere perfetto. Si cerca il corpo senza un difetto, la professione senza un errore, la relazione senza una crisi. La convinzione è che cancellare ogni imperfezione porterà all’approvazione e alla felicità.
Tuttavia, Luigi Pirandello ha scritto il manuale che svela come inseguendo la perfezione e l’apparire a tutti i costi “perfetti” si finisce per vivere di ansia e del relativo mal di vivere, che oggi sembra essere diventata una delle malattie più diffuse al mondo.
Nel suo capolavoro, Uno, nessuno e centomila, il protagonista Vitangelo Moscarda scopre che ogni sforzo per essere l’Io perfetto e unico (l’Uno) è vano. Più cerca la perfezione, più gli altri lo vedono in modi diversi e incoerenti (i Centomila), finché non crolla. La sua crisi è la crisi moderna. Più si lotta per essere perfetti, più ci si allontana dalla propria vera identità, finendo per sentirsi “Nessuno”.
Ecco perché lo sforzo per la perfezione genera l’effetto contrario e come l’autore offre la via per liberarsi.
Contesto e crisi: il senso di Uno, nessuno e centomila
Per comprendere la cura che offre Luigi Pirandello, si deve partire da Uno, nessuno e centomila, pubblicato integralmente nel 1926, l’ultimo grande romanzo del grande scrittore sciciliano. È considerato l’opera che porta alle estreme conseguenze la sua riflessione filosofica sulla crisi dell’identità e sulla frammentazione dell’Io nell’uomo moderno. Il romanzo è il frutto di un lunghissimo e complesso periodo di gestazione, tanto da essere definito dallo stesso Pirandello il suo “romanzo più amaro di tutti, il più profondamente umoristico”.
L’episodio che il libro ci propone e che innesca il dramma è quello di Vitangelo Moscarda. La sua crisi non è scatenata da una tragedia, ma da un dettaglio fisico imperfetto: sua moglie gli fa notare che il suo naso pende leggermente a destra.
A questo punto, la trama prosegue con il crollo psicologico di Moscarda. La singola imperfezione lo porta a un’indagine ossessiva su come è percepito dagli altri. Moscarda è terrorizzato all’idea che l’immagine di sé che aveva faticosamente costruito (l’Uno) sia una completa illusione. Capisce che per la moglie, per il banchiere, per gli amici, egli esiste in modi diversi e contraddittori (i Centomila). Non potendo conciliare tutte queste versioni, e non trovandone una autentica, Moscarda giunge alla drammatica conclusione che il suo vero “Io” è Nessuno.
Lo sforzo di Moscarda per essere l'”Io impeccabile” si scontra con la realtà irriverente dei giudizi altrui. Più si lotta per la perfezione, più ci si sente incoerenti e falsi. L’ossessione di correggere un difetto genera un’ansia che si allarga a tutti gli altri aspetti della vita, finché l’individuo si sente completamente perso e Nessuno.
Il culmine della trama è la sua liberazione radicale. Moscarda decide di distruggere attivamente le sue “Centomila” identità agendo in modo totalmente imprevedibile: liquida la sua banca, compie atti di generosità folli e rompe ogni legame sociale e coniugale. Viene così etichettato come pazzo e espropriato dei suoi beni.
La lezione che sembra condividere il romanzo di Pirandello è che Moscarda non cura l’ansia riparando il difetto. L’unica via d’uscita è rinunciare alla necessità di essere definito in modo perfetto. L’individuo trova pace solo ritirandosi in un ospizio da lui fondato, rifiutando il proprio nome e accettando di vivere nel flusso vitale della natura. La libertà dall’ansia si trova solo smettendo di lottare per la perfezione estetica e sociale.
La tirannia dei giudizi: perché nasce l’ansia
Pirandello lo dice con chiarezza disarmante:
Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questoestraneo: uno solo per tutti, come uno solo credevo d’esser io per me. Ma presto l’atroce mio dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Moscarda ch’io ero non solo per gli altri ma anche per me, tutti con questo solo nome di Moscarda, brutto fino alla crudeltà, tutti dentro questo mio povero corpo ch’era uno anch’esso, uno e nessuno ahimè, se me lo mettevo davanti allo specchio e me lo guardavo fisso e immobile negli occhi, abolendo in esso ogni sentimento e ogni volontà..
La sofferenza non nasce dal difetto, ma dal peso delle aspettative. La vera tirannia è il bisogno di apparire coerenti e perfetti davanti a chi ci osserva.
Il “naso storto” non è un difetto fisico, è una metafora: è tutto ciò che incrina la finzione della perfezione. Quando qualcuno evidenzia un’imperfezione, ci ricorda ciò che vorremmo disperatamente negare: che non abbiamo alcun controllo sul modo in cui veniamo visti.
E più tentiamo di gestire l’immagine, più diventiamo prigionieri dell’ansia. Il difetto si allarga, contamina la carriera, la vita affettiva, la percezione di sé. L’individuo si sente assediato da uno sguardo collettivo che vorrebbe soddisfare e che non può soddisfare.
La conclusione pirandelliana è radicale: non si può vincere contro i Centomila.
La cura Interiore è trovare il vero Io nel “Nessuno”
Se la battaglia per essere l’Uno perfetto è persa, allora la salvezza non sta nel correggere il difetto, ma nel cambiare completamente prospettiva.
Ma sí, ma sí, mio caro, pensateci bene: unminuto fa, prima che vi capitasse questo caso, voi eravate un altro; non solo, ma voi eravate anche cento altri, centomila altri. E non c’è da farne, credete a me, nessuna maraviglia. Vedete piuttosto se vi sembra di poter essere cosí sicuro che di qui a domani sarete quel che assumete di essere oggi. Caro mio, la verità è questa: che sono tutte fissazioni. Oggi vi fissate in un modo e domani in un altro. Vi dirò poi come e perché.
Essere “Nessuno” non significa annullarsi: significa smettere di difendere un’immagine fissa. Significa accettare che la perfezione è una gabbia, mentre il difetto è la firma autentica della propria unicità.
La perfezione standardizza: chi cerca di essere impeccabile diventa intercambiabile. L’imperfezione, invece, rende irripetibili.
“Lasciarsi essere” è l’unica cura possibile alla malattia dell’approvazione. I difetti diventano ciò che distingue, ciò che protegge, ciò che ancora ci rende vivi.
La liberazione finale: vivere nel flusso della vita
Nel finale, Moscarda rinuncia a ogni identità sociale, a ogni forma definita. Fondando un ospizio e ritirandosi nel silenzio del mondo naturale, scopre una pace che gli era stata negata dalla ricerca della perfezione.
Pirandello lo esprime con una delle sue frasi più luminose:
La facoltà d’illuderci che la realtà d’oggisia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall’altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d’oggi é destinata a scoprire l’illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita.
La perfezione è un tentativo impossibile di congelare la vita. L’ansia nasce dall’idea che esista una forma definitiva da raggiungere. La vera liberazione arriva quando si accetta il contrario. La vita è movimento, imperfezione, mutamento senza fine.
Si entra nel “flusso del mondo” quando si smette di chiedere alla vita un finale perfetto, e ci si permette di esistere nel proprio cambiamento continuo. In questo senso, Pirandello offre una cura sorprendentemente attuale. Non bisogna guarire il difetto, non serve rincorrere la perfezione, ma è terapeutico accettare la propria natura mutevole.
È in quel punto, nel Nessuno, che l’ansia evapora.
La perfezione può essere sintomo di fragilità
La riflessione pirandelliana anticipa alcune delle diagnosi più lucide prodotte dalla sociologia contemporanea. La società attuale incoraggia l’individuo a progettare un’immagine perfetta di sé, come se l’identità fosse un oggetto da esibire e non una condizione da vivere. Vitangelo Moscarda riconosce presto l’impossibilità di questo compito e confessa di aver scoperto che “nessuno mai saprà chi io sono, perché io stesso non lo so”. È proprio questo smarrimento a diventare la lente con cui comprendere il disagio del presente.
Zygmunt Bauman, nella sua analisi della modernità, osserva che l’identità è diventata un compito incessante e mai compiuto. L’essere umano viene spinto a ridefinirsi di continuo e a correggere ogni imperfezione per rimanere accettabile agli occhi degli altri. La società liquida, in cui le forme si dissolvono senza mai stabilizzarsi, conferma ciò che Pirandello aveva intuito. L’individuo non può essere uno solo. È centomila e nessuno. Ogni tentativo di fissare un’immagine perfetta diventa fonte di vulnerabilità.
Byung-Chul Han, nelle sue analisi sul regime della prestazione, evidenzia che l’ossessione per la perfezione produce una forma di stanchezza identitaria. L’uomo contemporaneo viene trasformato in un progetto da ottimizzare, finché non perde il contatto con il proprio sentire. Questo processo coincide con ciò che accade a Moscarda, che non riesce più a reggere il peso delle aspettative esterne e comprende di essere visto da infiniti sguardi che lo definiscono in modo incoerente. La stanchezza sociale descritta da Han illumina la natura di quella crisi, perché dimostra che non è la fragilità personale a generare malessere, ma la struttura stessa del sistema che impone la perfezione.
Eva Illouz, studiando la costruzione emotiva della vita contemporanea, ha mostrato come il mercato e la cultura digitale abbiano trasformato l’identità in una performance costante. In un contesto simile lo sguardo degli altri ha un potere amplificato, proprio come si osserva nel romanzo quando Moscarda si accorge che per ognuno egli è una persona diversa. Illouz ha evidenziato come l’esposizione continua generi un senso di inadeguatezza sistemico, un malessere che non deriva dai difetti, ma dalla pressione di non poterli mostrare. Anche questo conferma la lezione pirandelliana. Non è il difetto a ferire l’individuo. È la sua invisibilità forzata.
Luigi Pirandello suggerisce che la liberazione nasce quando si rinuncia alla pretesa di essere definiti in modo univoco. Il vero punto di svolta accade quando Moscarda afferma di voler vivere “così, senza forma, dissolto nel flusso della vita”. Gli studiosi contemporanei confermano questa intuizione. L’identità rigida genera ansia. L’identità fluida permette di respirare. La perfezione imposta dal sistema produce fragilità. L’imperfezione accettata produce forza.
La perfezione non è un ideale da perseguire, ma un dispositivo che rende l’individuo dipendente dallo sguardo degli altri. L’imperfezione non è un limite, ma una traccia autentica di esistenza. Chi accetta la propria pluralità ritrova il diritto di cambiare e di essere umano. Chi rinuncia a inseguire un’immagine perfetta entra finalmente nel flusso della vita, dove l’ansia si allenta e la persona torna a respirare con la propria voce.
