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Emin Özmen, ”Per un buon reportage è fondamentale l’empatia con i propri soggetti”

La capacità di stabilire un rapporto empatico con i protagonisti di un evento è il primo passo per avvicinarsi il più possibile, dall'interno, al cuore dei fatti. Questa disposizione è indispensabile per poter realizzare un buon reportage secondo Emin Özmen, fotografo premiato al World Press Photo di quest'anno con un secondo posto nella categoria Spot News, foto singole...
Il fotografo, che ha vinto il secondo premio per la categoria Spot News foto singole al World Press Photo, ci racconta la storia che sta dietro allo scatto che ha ottenuto il riconoscimento e ci parla del lavoro di reporter

MILANO – La capacità di stabilire un rapporto empatico con i protagonisti di un evento è il primo passo per avvicinarsi il più possibile, dall’interno, al cuore dei fatti. Questa disposizione è indispensabile per poter realizzare un buon reportage secondo Emin Özmen, fotografo premiato al World Press Photo di quest’anno con un secondo posto nella categoria Spot News, foto singole. Il reporter ci parla della fotografia che ha ottenuto il riconoscimento e del suo lavoro, delle difficoltà e dei rischi che questo comporta.

Può dirci qualcosa sullo scatto vincitore del secondo premio al World Press Photo?
È uno scatto che fa parte di un più ampio reportage, “Interrogation”. Un anno dopo l’inizio della rivolta siriana, gli scontri tra le forze di Assad e il Free Syrian Army giunsero ad Aleppo. Il conflitto tra gli Shabīha, gruppi armati pro-Assad accusati di aver torturato i locali per anni, e i ribelli stava diventando sempre più violento. A luglio, durante il giorno, mentre i ribelli combattevano per espugnare i posti di controllo degli Shabīha, le forze di Assad bombardavo la città con attacchi aerei e da terra. I dissidenti intraprendevano dopo il tramonto regolari operazioni per catturare spie di Assad. Il 30 luglio 2012, due persone scoperte a pagare delle spie vennero catturate e portate a una scuola che serviva da rifugio a uomini del Free Syrian Army. Dopo un lungo interrogatorio, questi confiscarono ai prigionieri tutto il denaro che avevano addosso e li portarono in una cella sotterranea. I due, dichiarati colpevoli, vennero torturati tutta la notte. Dopo un po’ di tempo, i soldati erano così stanchi che dovettero essere sostituiti perché le torture potessero continuare senza interruzioni. I due prigionieri furono rilasciati solo dopo 48 ore, quando la milizia si convinse che avevano scontato a sufficienza la loro condanna.   

Quali sono le caratteristiche principali del suo stile fotografico?

Cercare di stabilire un rapporto di empatia con le persone che sono protagoniste di un evento, piuttosto che presentarsi nei panni di fotoreporter, fa sì che ti sentano come uno di loro. Schiettezza e partecipazione emotiva contano molto per ottenere questo risultato. Quando ci riesci, la tua presenza non viene avvertita come un fattore di disturbo e si dimenticano di te. Questo è il momento in cui si inizia davvero a comprendere le persone ed essere testimoni di ciò che accade. Questa disposizione fa sì che il fotoreporter si avvicini il più possibile al cuore dei fatti. Ho abbracciato questo stile di lavoro fotografico insieme a un gruppo di altri reporter riuniti nel collettivo “LeJournal”, con sede in Turchia. Io e gli altri fotografi del collettivo riteniamo importante testimoniare un evento attraverso fotografie schiette e oggettive, che nascono dal cuore stesso dell’evento, con l’aiuto di registrazioni audio e video realizzate sul luogo. Servirsi di un approccio multimediale è indispensabile per me per riuscire a raccontare l’evento correttamente ed efficacemente.

Quali sono i caratteri che definiscono un buon reportage?

Il primo è la capacità di creare quel rapporto di aperta comunicazione che ho descritto prima. Questa è la cosa più importante. Il secondo è la tua sensibilità al mondo. Devi saper interrogare l’aspetto sociale di ciascun accadimento. Essere sempre “sul pezzo” è essenziale. Se sai monitorare attentamente lo svilupparsi di una situazione, puoi intuire dove la storia abbia inizio e come andrà a finire.  

Quale obiettivo preferisce usare quando lavora?

Di solito uso obiettivi da 28 mm, 35 mm e 50 mm. Il mio preferito comunque è quello da 35 mm.

Può dare qualche suggerimento tecnico a quei fotografi che vorrebbero diventare reporter?
Raccomando assolutamente di usare obiettivi grandangolari, che permettono di non perdersi particolari importanti. Questa è proprio la caratteristica che fa un reportage di qualità.  

Quali sono le difficoltà di questo lavoro?
Fare il reporter richiede di lavorare in luoghi dove le condizioni di vita sono molto più dure rispetto a quelle cui si è abituati. A volte bisogna andare in posti dove un essere umano non dovrebbe e non vorrebbe mai trovarsi. Bisogna essere in grado di sopportare avversità e malattie. È importante sottoporsi a regolari controlli medici e prestare attenzione alla propria salute. Anche essere capaci di tenere sotto controllo l’adrenalina e sapere come prestarsi da soli un primo soccorso è essenziale. Ricordo che, una volta, ebbi per un paio d’ore difficoltà a riprendermi dallo shock in seguito a un lungo combattimento.   

Quali sono i rischi legati alla professione di reporter di guerra? Perché ha scelto di fare reportage di guerra nonostante il pericolo che questo mestiere comporta?
Sicuramente può comportare molti rischi. Quando si fanno reportage, specialmente in zone di conflitto, bisogna essere consapevoli di certi limiti. La sopravvivenza spesso dipende dalla scelta di superare un confine o non farlo: la decisione può essere cruciale. Per questo motivo, avere presente il quadro complessivo della situazione può risultare volta per volta determinante. Devi essere sempre certo di essere al sicuro.
Facendo questo lavoro si rischia la vita, non c’è dubbio, ma lavorare in territorio di guerra non è direttamente una mia scelta. La mia scelta è di testimoniare e registrare ciò che accade nel mondo. Per prima cosa cerco di comprendere quello che sta succedendo, per poterlo poi raccontare agli altri con le mie fotografie. Questo comporta a volte di dover andare in zone di guerra, altre volte in posti gradevoli che, ironicamente, sono tutto l’opposto. Il nostro interesse è rivolto agli esseri umani nel loro rapporto con il passato, il presente e il futuro. Prendiamo annotazioni visive di questo mondo cercando di farci storici visuali della nostra età.

29 maggio 2013

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