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David Grossman apre Pordenonelegge, ”Solo la parola può salvarci dal dolore”

“Scrivo storie d’amore perché sono cosi afflitto dalla realtà caotica che mi circonda da aver bisogno di crearmi attorno un mondo di affetti . E’ il mio modo di astrarmi dalla follia e dalla guerra”...

La conversazione su Amore e guerra di David Grossman,  ha aperto ufficialmente la XV edizione della manifestazione, della quale lo scrittore israeliano è ospite d’onore

PORDENONE – “Scrivo storie d’amore perché sono cosi afflitto dalla realtà caotica che mi circonda da aver bisogno di crearmi attorno un mondo di affetti . E’ il mio modo di astrarmi dalla follia e dalla guerra”. La conversazione su Amore e guerra di David Grossman,  ha aperto ufficialmente la XV edizione della manifestazione, della quale lo scrittore israeliano è ospite d’onore.

 

IL VALORE DELLA SCRITTURA – Intervistato da Gianmario Villalta, direttore artistico dell’evento, Grossman  ha parlato della funzione della scrittura. “Più invecchio – confessa lo scrittore israeliano – più sento il bisogno di scrivere, perché attraverso la scrittura trovo il giusto posto in una realtà imprevedibile . Ho passato la mia infanzia per cosi dire sott’acqua a sognare e ad immaginare, poi, diventano adulto, ho iniziato a dar vita ai sogni scrivendo ed ora mi sembra che il mio compito sia  quello di ricordare quello che è già accaduto”. La riflessione sulla scrittura, ha ricordato Villalta,  è presente soprattutto in Caduto fuori dal tempo (Mondadori 2012) un poema polifonico misto di prosa e versi in cui le varie voci sono rappresentate da diversi mestieri, come il Duce ovvero il comandante e lo scrittore o Centauro, che è metà uomo e metà scrivania. Il poema o pièce teatrale che sia prende inizio nel momento in cui l’Uomo – questo è il protagonista – improvvisamente chiede di andare “ laggiù”. 

 

LA RIELABORAZIONE DEL LUTTO – “Quest’opera –spiega Grossman – è una riflessione sul valore della parola e sulla ricerca di un luogo – il laggiù appunto – in cui trovare le giuste parole per descrivere il dolore più grande , la morte di un figlio. Come all’Uomo del poema, così a me è capitato otto anni fa di perdere mio figlio ed inizialmente non sono riuscito con le parole a dare forma a quello che stava succedendo. Solo in un secondo momento, improvvisamente, ho capito che dovevo trovare i nomi alle diverse tonalità del dolore cosi come il Centauro divide la storia fra i vari personaggi in una dimensione polifonica: solo il racconto può sottrarci al dolore”. “ Scrivere – continua Grossman – è essere con la E maiuscola ed è anche provare a grattare un po’ quella barriera ermetica che c’è tra vita e morte. I credenti la penetrano, noi laici possiamo solo provare ad avvicinarci un po”. 

LA FORZA DELLA PAROLA – “ Questa tensione – nota Villalta – si avverte anche a livello linguistico . Le parole anche quelle semplici sono possenti, epiche e sembrano riecheggiare la Bibbia”. “ Non si può scrivere in ebraico – spiega Grossman – senza l’eco biblico e dei commenti successivi al testo sacro. Anche lo slang più moderno e più spinto ha un sapore biblico: è la forza della nostra lingua , costituita di tanti strati che vanno da tempi antichissimi passando attraverso la modernizzazione che è stata fatta nel XIX secolo fino ai gerghi giovanili di oggi: i nostri padri a tavola con noi riuscirebbero a capire almeno la metà delle cose che dice mia figlia ventiduenne, perché abbiamo radici comuni. Comunque per inciso anch’io ne capisco solo metà di quello che dice mia figlia”.

 

L’INTIMITÀ DELLA VITA FAMILIARE IN GUERRA – A un cerbiatto somiglia il mio amore (Mondadori 2008) è l’altra opera che viene analizzata nel corso della serata. Il titolo italiano gioca sul nome di uno dei  protagonisti Ofer, il cui nome significa appunto cerbiatto. Il titolo originario in realtà è ”In fuga dalla notizia” e la notizia da cui scappa Orah, madre di Ofer,  è il possibile annuncio della morte del figlio, che accetta di partecipare a una incursione in Cisgiordania, pur essendo negli ultimi giorni di ferma.  “E’ una storia su come è possibile – spiega lo scrittore israeliano – mantenere l’intimità e la tenerezza della famiglia nei momenti di guerra, come tener fuori dalla porta di casa il mondo del terrore e del pericolo.  Orah sa che la notizia potrà raggiungerla solo se si ferma, solo se è in casa e perciò parte. Ma soprattutto,  nei 500 km di cammino, racconta la vita del figlio: il momento del concepimento, la crescita, lo specchiarsi nei suoi occhi”.  Scappare e raccontare come la Shehrazad delle Mille e una notte sono l’unico modo per esorcizzare la paura della morte: “ Ogni famiglia israeliana – ricorda Grossman – vive in una condizione di costante paura perché sa che potrebbe subire la perdita di un figlio in guerra”.

 

IL RICHIAMO ALLA PACE PER TUTTI – “ Nel mio paese e nel mio angolo di mondo tormentato, il Medio  Oriente – conclude accorato lo scrittore israeliano – viviamo tra l’acutezza della vita e la tentazione della pace e continuiamo a scappare. Personalmente ho sempre voluto la pace e ho sempre lottato contro l’occupazione,  perché credo che la Palestina, allo stesso modo di Israele, debba essere riconosciuto come Stato autonomo e sovrano. Solo allora potremo tutti davvero essere parte del mondo: anche se noi ebrei abbiamo uno stato da più di quarant’anni , non ci sentiamo ancora a casa”. E al richiamo della pace. il pubblico si alza per una commossa standing ovation.

 

Alessandra Pavan

18 settembre 2014

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