X agosto (1896) di Giovanni Pascoli, poesia sulle lacrime di stelle della notte di San Lorenzo

10 Agosto 2025

Il 10 agosto 1867 fu ucciso il padre di Giovanni Pascoli. In ricordo di quel giorno, il poeta scrisse la poesia “X agosto”

X agosto (1896), la poesia di Giovanni Pascoli sulle lacrime di stelle della notte di San Lorenzo

X agosto è una delle poesie più celebri di Giovanni Pascoli, scritta nel 1896 e legata a un episodio tragico che segnò per sempre la sua vita: l’assassinio del padre, avvenuto proprio il 10 agosto 1867, giorno della Notte di San Lorenzo. In questa data, per la tradizione popolare, il cielo si riempie di stelle cadenti, conosciute come lacrime di San Lorenzo. Per Pascoli, quelle scie luminose diventano un pianto cosmico, la manifestazione visibile del dolore universale.

X agosto fu composta nel 1896 e pubblicata sulla rivista “Marzocco”, la rivista fiorentina di letteratura e arte diretta da Enrico Corradini, il 9 agosto 1896 e poi inclusa nella quarta edizione (1897) di Myricae, la prima raccolta di poesia di Pascoli,  che appresenta in modo esauriente e completo tutta la poetica pascoliana. X Agosto si trova nella sezione Elegie della prima importante raccolta poetica di Giovanni Pascoli.

Leggiamo questa famosa poesia di Giovanni Pascoli per apprezzarne il contenuto e il significato.

X agosto di Giovanni Pascoli

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Il 10 agosto e le lacrime di San Lorenzo

X agosto è una poesia di Giovanni Pascoli dal messaggio potente e universale. È il manifesto poetico del poeta di San Mauro di Romagna, nato da un dolore personale che diventa simbolo di ingiustizia cosmica.

L’accusa alla malvagità umana percorre ogni verso. Per Pascoli, la crudeltà degli uomini è talmente grande da coinvolgere persino Dio, che partecipa al lutto dell’umanità.

Perché il cielo piange nella notte di San Lorenzo

Pascoli apre la poesia con un tono confidenziale e diretto, rivolgendosi a San Lorenzo come a un interlocutore intimo. Fin dal primo verso, il poeta dichiara di conoscere il mistero delle stelle cadenti: non sono semplici fenomeni naturali, ma lacrime che illuminano il “concavo cielo” di un pianto cosmico.

La scelta delle parole “arde e cade” restituisce la doppia immagine della stella: un lampo di vita che brucia e, subito dopo, precipita. La metafora è chiara: la bellezza e la fragilità dell’esistenza si consumano nello stesso istante.

Il cielo diventa uno specchio del dolore umano, amplificato e trasfigurato in un pianto universale. Qui Pascoli stabilisce già il nucleo tematico dell’intera poesia: l’ingiustizia e la sofferenza non appartengono solo all’uomo, ma coinvolgono l’intero cosmo.

La rondine uccisa: il primo volto dell’innocenza violata

Nella seconda strofa, Pascoli introduce la prima scena concreta: una rondine di ritorno al nido viene uccisa. Il verso “l’uccisero” è secco, improvviso, senza fronzoli: la violenza irrompe senza preavviso, spezzando un gesto naturale e innocente.

Il dettaglio dell’insetto nel becco – cibo per i piccoli – amplifica la crudeltà dell’atto. Non si tratta di uccidere un predatore o un nemico, ma una creatura impegnata a nutrire la propria prole. Qui Pascoli mette a fuoco l’assurdità del male gratuito, privo di giustificazione e capace di interrompere il ciclo vitale.

La caduta “tra i spini” non è solo fisica: è un’immagine che richiama il dolore e la sofferenza, anticipando l’analogia che più avanti legherà la rondine a un’immagine di crocifissione.

Il nido che attende invano: la crocifissione della rondine

Qui l’immagine della rondine diventa una vera e propria icona del sacrificio. La postura dell’animale morto – “come in croce” – richiama un’immagine cristologica: la vittima innocente che subisce una morte violenta senza colpa.

Il dettaglio del “verme” (il cibo per i piccoli) sollevato verso il cielo lontano aggiunge una dimensione tragica: il gesto d’amore e di cura resta incompiuto, come sospeso in un’offerta che non potrà mai essere accolta.

Nel frattempo, il nido resta “nell’ombra”, metafora di un’attesa vana e dolorosa. I rondinini pigolano sempre più piano: il suono si affievolisce come la speranza, fino a spegnersi. In quattro versi, Pascoli condensa l’essenza della perdita: la vita che si interrompe e lascia dietro di sé un vuoto incolmabile.L’uomo assassinato: il padre come simbolo universale di vittima innocente

L’uomo assassinato: il padre come simbolo universale di vittima innocente

Il parallelismo con la rondine si fa esplicito: “Anche un uomo” segna il passaggio dalla natura alla vita umana, dalla vittima animale a quella umana, mantenendo intatto il filo conduttore dell’innocenza violata.

L’uomo è il padre di Pascoli, Ruggero, assassinato il 10 agosto 1867 mentre tornava a casa. Il “nido” diventa qui la famiglia, luogo di affetto e protezione. Come la rondine, il padre è colpito mentre compie un gesto di amore: portare alle figlie due bambole.

Il dettaglio del “Perdono” è centrale: anche davanti alla morte violenta, l’uomo pronuncia una parola di pace, ribadendo la sua innocenza e innalzandolo a figura quasi assimilabile al Cristo, come la rondine “in croce”.

L’ultimo verso di questa strofa ha un’intensità cinematografica: “negli aperti occhi un grido” descrive un urlo muto, fissato per sempre, che racchiude il dolore e l’ingiustizia dell’atto subito.

La casa vuota: l’attesa vana e il dolore sospeso

La scena si sposta all’interno della casa, “romita”, cioè isolata e silenziosa. L’atmosfera è densa di immobilità: la famiglia attende, ma l’attesa è inutile, destinata a restare senza risposta.

Il ritmo rallenta grazie alla ripetizione “lo aspettano, aspettano in vano”, che traduce in suono il tempo che scorre invano. Non c’è più movimento, non c’è ritorno: resta solo il vuoto.

L’immagine dell’uomo “immobile, attonito” è di forte impatto visivo. Anche da morto, egli sembra indicare le bambole al cielo lontano: il dono, simbolo di affetto paterno, viene così consegnato idealmente a una dimensione eterna, quasi affidato a Dio.

Come nel nido della rondine, anche qui il legame tra padre e figli viene interrotto: il gesto d’amore non raggiunge mai i destinatari, rimanendo sospeso in un tempo che non può più compiersi.

Il cielo come giudice e testimone del male umano

Il componimento si chiude con un’invocazione diretta al Cielo, personificato come un’entità serena, infinita e immortale. Dopo aver mostrato il dolore della rondine e dell’uomo, Pascoli eleva il proprio sguardo e trasforma il lutto personale in un atto di denuncia universale.

L’espressione “pianto di stelle” riprende il motivo iniziale delle lacrime di San Lorenzo, ma ora assume una portata cosmica: il poeta chiede che l’intero cielo versi la propria luce su “quest’atomo opaco del Male”, la Terra.
L’aggettivo “opaco” sottolinea il contrasto con la purezza luminosa delle stelle, mentre “atomo” riduce il nostro pianeta a un granello insignificante, pur carico di dolore e ingiustizia.

In questa chiusura, il male terreno viene messo a confronto con l’infinito: piccolo rispetto all’universo, ma immenso per chi lo subisce. Pascoli ci lascia così con l’immagine di un cielo che piange insieme all’uomo, unendo il destino umano e quello cosmico in un’unica, struggente metafora.

Il dolore personale come dolore universale

X agosto è molto più di una poesia commemorativa: è il manifesto poetico di Giovanni Pascoli e un’opera cardine del Decadentismo italiano. In essa, il dolore privato del poeta – la perdita del padre in circostanze tragiche – diventa una metafora universale dell’ingiustizia che colpisce gli innocenti, animali o uomini che siano.

Il parallelismo tra la rondine e l’uomo crea un ponte simbolico che unisce la vita naturale a quella umana, rivelando una stessa vulnerabilità davanti al male gratuito. L’uso di immagini semplici, quotidiane e affettive, il nido, il cibo per i piccoli, le bambole, amplifica la potenza emotiva del testo, rendendolo immediato e indimenticabile.

La chiusura cosmica, con il cielo chiamato a versare un “pianto di stelle” sulla Terra, colloca il dolore in una dimensione infinita. L’evento biografico si sublima così in un messaggio che trascende il tempo: il male è parte della storia umana, ma la memoria e la poesia possono trasformarlo in luce, come le stelle che illuminano la notte di San Lorenzo.

In questo componimento, Pascoli ci consegna una lezione eterna: la sofferenza non si dimentica, ma può diventare canto, invocazione e memoria collettiva.

10 agosto 1867: il lutto che segnò la vita di Giovani Pascoli

La notte di San Lorenzo del 1867, quando Pascoli aveva appena 11 anni, suo padre fu assassinato con un colpo di fucile mentre rientrava in calesse da Cesena.

Le circostanze rimasero oscure nonostante tre processi. La famiglia sospettava di Pietro Cacciaguerra, contrabbandiere che avrebbe voluto subentrare a Ruggero Pascoli nella gestione della tenuta “La Torre” dei principi Torlonia.

A quel delitto seguirono altre tragedie familiari: la morte della madre e di diversi fratelli e sorelle. Quel dolore, mai sopito, riaffiora in X agosto e in altri componimenti come La cavalla storna. Pur dominata dal tema della morte, la poesia conserva la dolcezza tipica della voce pascoliana: un canto che ricorda le nenie dell’infanzia, capace di trasformare il ricordo in musica.

Nella “notte dei desideri” per eccellenza, Giovanni Pascoli ci consegna il suo: che padre e figlio possano finalmente ritrovarsi, in un cielo libero dal male e colmo solo di stelle luminose.

X agosto letta da Vittorio Gassman

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