Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950) di Cesare Pavese: poesia per un amore finito male

8 Settembre 2025

Il 9 settembre è l'anniversario della nascita di Cesare Pavese. Scopri "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", la poesia-testamento prima della morte.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1950) di Cesare Pavese: poesia per un amore finito male

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una poesia di Cesare Pavese che mette in evidenza la fine di un amore e la grave sofferenza che questa provoca per l’autore. Qualsiasi speranza è destinata a svanire e il dolore diventa così grande che anche la vita sembra non avere più senso.

La poesia rivela una parte della biografia dell’autore, ovvero ha un risvolto reale. I versi danno sfogo alla delusione amorosa che il poeta attraversa dopo la fine della storia con l’attrice americana Constance Dowling.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è datata 22 marzo 1950 e fa parte della raccolta omonima di Cesare Pavese pubblicata postuma nel 1951, pochi mesi dopo dopo il suicidio dell’autore, avvenuto il 27 agosto 1950.

È probabile che la delusione e il dolore espressi nella poesia, portarono il poeta piemontese a scegliere di togliersi la vita.

Il 9 settembre 1908 nasceva Cesare Pavese e in occasione dell’anniversario di Cesare Pavese, leggiamo questo triste e profonda poesia per viverne il significato.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

L’annuncio poetico di un gesto estremo

A ispirare Cesare Pavese in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi fu l’infelice storia d’amore con Constance Dowling, attrice americana, famosa negli anni Quaranta. La donna visse e recitò in Italia, a Roma, tra il 1946 e il 1950 e fu proprio allora che Pavese la conobbe. Egli se innamorò immediatamente e cercò disperatamente di avvicinarla, ma senza alcun successo.

Un nuovo incontro a Torino sembrò aprire uno spiraglio alla nascita di una tanto desiderata relazione duratura. I due trascorsero alcuni giorni intensi, ma l’idillio durò poco. Constance ripartì per gli Stati Uniti lasciando il poeta con il cuore infranto.

Con la fine di quella storia si chiuse per Pavese ogni speranza di futuro. L’orizzonte vitale si restrinse fino a diventare una fessura buia da cui fissare la morte negli occhi. Ma in questa visione disperata si insinua anche una dolcezza. La morte assume il colore dello sguardo dell’amata, unico ricordo rimasto vivo.

Il dolore di cesare Pavese prende vita nei suoi versi

Il ricordo degli occhi di Constance diventa per Pavese una ferita insanabile. Giorno e notte quell’immagine decreta la fine di ogni speranza. Il dolore lancinante all’anima vissuto dal poeta viene fuori già nella prima strofa della poesia.

“O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla.”

La speranza, che dovrebbe dare senso, si rivela illusione. Vita e nulla coincidono.

Nella seconda strofa, il verso finale sembra già annunciare il destino:

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

La morte è un abisso inevitabile, in cui si precipita senza voce né riscatto. Quegli occhi saranno la sua dannazione per sempre. Non si può più sfuggire alla visione di quegli occhi, se non attraverso il passaggio ad una nuova vita, purtroppo, non terrena.

Non rimane che farla finita con ogni cosa, svanire in modo silenzioso “nel gorgo”, senza lasciare più traccia di un’esistenza così dannata.

Per tutti la morte ha uno sguardo. Per Pavese, quello sguardo coincide con gli occhi della donna amata, che diventano condanna eterna. Quegli occhi sono la sua dannazione. Non si può più sfuggirvi se non attraverso il silenzio definitivo della morte. La poesia appare come un testamento interiore, il sigillo di un destino già scritto.

L’amore non deve condurre alla morte, altrimenti è dannazione

Questa poesia di Cesare Pavese fa venire i brividi. Di certo, è una delle poesie più belle di sempre. Quanto sentimento, quanta emozione condividono i versi di Cesare Pavese. Le sue parole non sono una richiesta d’aiuto, ma la presa di coscienza che quell’immagine fissa in mente degli occhi della donna, è pura dannazione.

Una poesia che inevitabilmente apre ad una riflessione universale: l’amore non deve mai coincidere con la morte. L’amore autentico è vita, gioia, libertà, rispetto, comprensione. Quando si trasforma in ossessione e dolore, non è più amore ma dannazione.

Quando non si accendono le luci della speranza e il buio sembra opprimere ogni cosa, il senso della fine sembra essere annunciato. Ma, sia chiaro se la fine di un amore provoca tutta questa sofferenza, il vero problema non è l’amore, ma qualcosa di diverso che non merita di essere definito tale.

L’amore non deve essere morte. L’amore è vita, è gioia, è libertà, è rispetto, è comprensione, è tutto ciò che di bello e buono possa esistere. Per molti autori del passato e del presente il concetto d’amore può coincidere con la tragedia della morte. Basti pensare a William Shakespeare. Così come tantissimi autori hanno espresso il loro amore per la persona precocemente defunta, si pensi a Leopardi con A Silvia.

Nel primo caso, come è accaduto nelle opere del “Bardo” inglese la tragedia della morte rappresenta un inno all’amore contro la barbarie e la follia degli istinti umani. La fine di Romeo e Giulietta sono la denuncia tangibile del male che può generare l’odio.

Nel caso, del poeta di Recanati, l’esaltazione della donna defunta rappresenta in fondo l’illusione che l’amore possa essere l’unica speranza per poter trovare un piccolo granello di felicità.

Riguardo a Pavese, il senso dell’amore coincide al 100% con la morte. “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Non c’è distinzione tra i due mondi. L’amore che dovrebbe condurre alla felicità, invece sarà la causa concreta della sua morte.

Questo non è ammissibile in nessun modo. La poesia dovrebbe condurre alla ricerca di qualcosa di luminoso e vitale, anche quando propone sofferenza e dolore. In questo componimento poetico, malgrado la sua grandezza di significato e l’intensità dei sentimenti e delle emozioni che riesce ad esprimere, l”essenza è quella dannazione che qualsiasi essere umano dovrebbe sempre disdegnare e tenere fuori dalla porta dell’anima.

Dalla dannazione alla speranza

Per quanto grande e intensa, questa poesia resta il ritratto di un amore che si fa distruzione. Riletta oggi, nell’anniversario della nascita di Cesare Pavese, diventa anche un monito: non confondere mai la luce dell’amore con le ombre della disperazione.

Forse, la poesia che vorremmo scrivere oggi è un’altra:

“Verrà l’amore e avrà i tuoi occhi.”

Perché chi ama davvero non genera morte, ma vita. Non conduce alla dannazione, ma illumina l’esistenza di chi incrocia il suo sguardo.

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