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“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” (1950) di Cesare Pavese, l’estremo dolore per un amore finito

Quanto male può provocare l'amore? Scoprilo leggendo "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi", poesia di Cesare Pavese che annuncia il suo suicidio.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è una poesia di Cesare Pavese che mette in evidenza la fine di un amore e la grave sofferenza che questa provoca per l’autore. Qualsiasi speranza è destinata a svanire e il dolore diventa così grande che anche la vita sembra non avere più senso.

La poesia rivela una parte della biografia dell’autore, ovvero ha un risvolto reale. I versi danno sfogo alla delusione amorosa che il poeta attraversa dopo la fine della storia con l’attrice americana Constance Dowling.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è datata 22 marzo 1950 e fa parte della raccolta omonima di Cesare Pavese pubblicata postuma nel 1951 dopo il suicidio dell’autore, avvenuto il 27 agosto 1950.

È probabile che la delusione e il dolore espressi nella poesia, portarono il poeta piemontese a scegliere di togliersi la vita.

Ma, leggiamo questo triste e profondo poema per viverne il significato.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi di Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

L’annuncio poetico di un gesto folle

A ispirare Cesare Pavese in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi fu l’infelice storia d’amore che il poeta italiano ebbe con Constance Dowling.

Constance Dowling fu un’attrice americana, famosa negli anni Quaranta. Visse e recitò in Italia tra il 1946 e il 1950 e fu proprio allora che Pavese la conobbe. Egli se innamorò immediatamente e cercò disperatamente di avvicinarsi a lei, ma senza alcun successo.

Il destino li avrebbe, però, fatti incontrare una seconda volta a Torino. Lì, dopo aver trascorso alcuni giorni insieme, iniziò il loro intenso quanto breve idillio d’amore. Dopo poco tempo Constance ripartì negli Stati Uniti lasciando il poeta con il cuore infranto.

Con la fine di quella storia d’amore si chiude per Pavese ogni speranza sul futuro. L’orizzonte vitale si restringe fino a diventare una fessura buia attraverso cui fissare la morte negli occhi.

Ma è qui che inaspettatamente anche la morte assume una sua dolcezza, tingendosi del colore che hanno gli occhi dell’amata.

Parte proprio da questa visione la poesia “testamento” di Cesare Pavese. Dagli occhi della donna che lasciano il ricordo accesoi della stessa, ma non riescono più a costruire una relazione, un dialogo.

Il ricordo dello sguardo di Constance finisce per rendere non rimarginabile la ferita che si aperta nel cuore di Pavese. Giorno e notte l’immagine di quegli occhi decreteranno la fine di ogni speranza che la vita possa cambiare, e sanciranno la presa di coscienza che il silenzio diventerà sovrano tra i due.

Il dolore lancinante all’anima vissuto dal poeta viene fuori già nella prima strofa della poesia. “O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla.”

Nella seconda strofa, ahimè, Cesare Pavese sembra stia raccontando la follia che poi lo avrebbe portato al suo suicidio.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

La morte avrà lo sguardo della donna amata che lo sta facendo soffrire. Quegli occhi saranno la sua dannazione per sempre. Non si può più sfuggire alla visione di quegli occhi, se non attraverso il passaggio ad una nuova vita, purtroppo, non terrena.

Non rimane che farla finita con ogni cosa, svanire in modo silenzioso “nel gorgo”, senza lasciare più traccia di un’esistenza così dannata.

L’amore non deve condurre alla morte, altrimenti è dannazione

Questa poesia di Cesare Pavese fa venire i brividi. Di certo, è una delle poesie più belle di sempre. Quanto sentimento, quanta emozione condividono i versi di Cesare Pavese.

Le sue parole non sono una richiesta d’aiuto, ma la presa di coscienza che quell’immagine fissa in mente degli occhi della donna, è pura dannazione.

Quando non si accendono le luci della speranza e il buio sembra opprimere ogni cosa, il senso della fine sembra essere annunciato. Ma, sia chiaro se la fine di un amore provoca tutta questa sofferenza, il vero problema non è l’amore, ma qualcosa di diverso che non merita di essere definito tale.

L’amore non deve essere morte. L’amore è vita, è gioia, è libertà, è rispetto, è comprensione, è tutto ciò che di bello e buono possa esistere.

Per molti autori del passato e del presente il concetto d’amore può coincidere con la tragedia della morte. Basti pensare a William Shakespeare.

Così come tantissimi autori hanno espresso il loro amore per la persona precocemente defunta, si pensi a Leopardi con A Silvia.

Nel primo caso, come è accaduto nelle opere del “Bardo” inglese la tragedia della morte rappresenta un inno all’amore contro la barbarie e la follia degli istinti umani. La fine di Romeo e Giulietta sono la denuncia tangibile del male che può generare l’odio.

Nel caso, del poeta di Recanati, l’esaltazione della donna defunta rappresenta in fondo l’illusione che l’amore possa essere l’unica speranza per poter trovare un piccolo granello di felicità.

Nel caso di Pavese, il senso dell’amore coincide al 100% con la morte. “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Non c’è distinzione tra i due mondi. L’amore che dovrebbe condurre alla felicità, invece sarà la causa concreta della sua morte.

Questo non è ammissibile in nessun modo. La poesia dovrebbe condurre alla ricerca di qualcosa di luminoso e vitale, anche quando propone sofferenza e dolore.

In questo componimento poetico, malgrado la sua grandezza di significato e l’intensità dei sentimenti e delle emozioni che riesce ad esprimere, l”essenza è quella dannazione che qualsiasi essere umano dovrebbe sempre disdegnare e tenere fuori dalla porta dell’anima.

Scusaci Cesare Pavese ma l’amore dovrebbe essere via, non morte

Scusaci Cesare Pavese, le tue opere sono un punto di riferimento per chi scrive, e ci scusino i lettori per il commento, che potrebbe apparire critico nei riguardi di un grande genio della letteratura italiana.

Siamo consapevoli che sarebbe illogico e presuntuoso fare critica ad una penna come Pavese, ma crediamo che sarebbe stato più giusto che il poeta italiano avesse scritto un’altra poesia: “Verrà l’amore e avrà i tuoi occhi”. Siamo convinti che dovrebbe essere questo approccio il senso vero dell’esistenza.

Qualsiasi essere umano che si ama, non può mai generare la fine della vita. Quando ciò accade non è amore, ma altro che meriterebbe di essere definito.

In nome del più nobile dei sentimenti, capita spesso che si fanno gesti orribili che non possono essere definiti amore. In nome di questi molte volte si finisce per sposare il male e la dannazione. Questo non possiamo sopportarlo.

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