“Una signora tutta ingombra di se stessa”: inizia con questo strano, bizzarro verso la singolare poesia in cui Patrizia Cavalli utilizza immagini quotidiane e taglienti per celebrare l’anticonformismo e la libertà di esprimere se stessi al di fuori delle norme prestabilite.
“Una signora tutta ingombra di se stessa” di Patrizia Cavalli
Una signora tutta ingombra di se stessa,
Dio, liberami da questa.
E dalle veglie funebri
ai corpi barricati di progetti
e dai confini spinati
dei quartieri morali. Perdo il respiro,
Dio, fatti valere, distruggi i giardinetti
curati e fioritissimi. Vieni, foresta!
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Una signora tutta ingombra di se stessa”
Nel 1992 Patrizia Cavalli pubblica L’io singolare proprio mio, la sua terza raccolta poetica, dopo l’esordio del 1974 e il successo di Il cielo del 1981.
In questo libro, il tono si fa più netto, più viscerale, spesso ironico e impetuoso, ma sempre fedele all’urgenza di scavare dentro la propria individualità. Il titolo stesso, L’io singolare proprio mio, rivela già il nodo centrale dell’opera: la definizione e la difesa dell’identità, vissuta come qualcosa di personale, irriducibile, non omologabile.
La poesia di Patrizia Cavalli si muove in un territorio intimo ma mai solipsistico: è un’autoindagine che non smette di interrogare il mondo, i suoi codici sociali, le sue prigioni invisibili. In questo contesto si colloca “Una signora tutta ingombra di se stessa”, una poesia che rappresenta perfettamente lo spirito della raccolta: la ribellione a ogni forma di costrizione, l’anelito a una libertà che sia vera, selvaggia, non addomesticata.
Il tono è quasi teatrale, come un’invocazione urgente e accorata a un Dio che dovrebbe farsi alleato nella distruzione di ciò che soffoca e irrigidisce la vita.
Lo stile della poesia
Lo stile di Patrizia Cavalli, qui come altrove, si distingue per la sua immediatezza affilata, per una lingua quotidiana eppure capace di strappi lirici improvvisi. La sua è una poesia parlata, vicina alla voce interiore, ma sempre perfettamente calibrata nella musicalità e nel ritmo.
Il verso si distende in una cadenza naturale, mai ingessata, con scarti repentini che riflettono le oscillazioni del pensiero e dell’emozione. Cavalli non ha paura dell’ironia, della rabbia, della sfrontatezza: i suoi testi sono attraversati da un’urgenza espressiva che si affida a un lessico semplice ma potentissimo.
In “Una signora tutta ingombra di se stessa” la forza del linguaggio sta anche nel modo in cui mescola piani diversi: la figura borghese e quasi ridicola della “signora” si alterna a richiami religiosi e invocazioni epiche, in un equilibrio precario tra satira sociale e desiderio metafisico.
Le immagini sono concrete, taglienti, costruite per scardinare, non per abbellire: “vegli funebri”, “corpi barricati di progetti”, “confini spinati”, “giardinetti curati e fioritissimi” sono tutti simboli di una realtà domestica, civile, controllata, che però diventa insopportabile, come una gabbia ben rifinita ma asfissiante.
Un inno alla libertà di essere se stessi
Al centro della poesia troviamo una figura femminile che sembra condensare tutto ciò che l’io lirico rifiuta: “Una signora tutta ingombra di se stessa”. È una presenza invadente, autoreferenziale, incapace di spazio per l’altro. Non è solo una persona: è un archetipo, forse una parte della stessa autrice, forse un simbolo della società, del decoro, delle regole che opprimono.
Il grido che segue – “Dio, liberami da questa” – è una supplica, ma anche una ribellione: un bisogno impellente di scardinare le maschere, di smascherare l’assurdità delle vite costruite su progetti, confini morali, quartieri ben educati.
La poesia si muove tra satira e disperazione, tra respiro corto e invocazione liberatoria. La seconda parte del testo si trasforma in una richiesta di distruzione: “Dio, fatti valere, distruggi i giardinetti / curati e fioritissimi”.
Quei giardini, simbolo di ordine, bellezza borghese e controllo, diventano insopportabili proprio perché troppo perfetti, troppo regolati.
È qui che arriva l’invocazione finale: “Vieni, foresta!”. Un’esclamazione esplosiva, che rovescia il senso comune e trasforma la foresta – spesso vista come luogo di pericolo, disordine, incognita – in un luogo di salvezza, di verità. La foresta è la libertà primitiva, l’energia vitale che sovverte e rinnova.
È l’opposto dei giardini: non si cura, non si addomestica, vive.
Patrizia Cavalli ci conduce così in un percorso che va dalla claustrofobia dell’identità imposta alla ricerca di un’identità autentica, selvaggia, in armonia con il proprio essere profondo. Una signora tutta ingombra è una poesia breve ma potentissima, un’invocazione che rompe le regole per ritrovare il respiro, il desiderio, l’essenza.