Tristezza (1944) di Hermann Hesse, poesia sulla fine di ogni speranza e felicità

11 Settembre 2025

Scopri “Tristezza” (1944) di Hermann Hesse, poesia che racconta la fine di ogni speranza e felicità in un mondo devastato dalla guerra e dal dolore.

Tristezza (1944) di Hermann Hesse, poesia sulla fine di ogni speranza e gioia

Tristezza di Hermann Hesse è una poesia che sembra scritta oggi, malgrado siano passati più di ottant’anni dalla sua stesura. Come si evince già dal titolo, questi versi danno voce alla disperazione umana quando ci si trova a vivere in tempi in cui tutto sembra condurre alla rovina, alla distruzione, all’isolamento, all’ostilità, alla morte.

La forza della poesia sta nel suo respiro universale: Hesse non descrive soltanto il dramma del 1944, ma mostra l’animo di uomini e donne smarriti, costretti a cercare riparo dalle insidie del mondo. I fiori che cadono dall’albero della tristezza diventano il simbolo di una fragilità condivisa, il segno di un destino che sembra inevitabile.

Dalle sue parole emerge un messaggio netto: quando si continua a vivere nell’odio e nella violenza, il cuore umano non trova protezione e la vita rischia di ridursi a un lungo silenzio. È una denuncia struggente e senza tempo, che parla al nostro presente non meno che al passato.

La poesia fu scritta nel 1944 e fa parte della raccolta Gedichte di Hermann Hesse, pubblicata da Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main, nel 1953. La versione italiana è inclusa nel volume Poesie di Hermann Hesse, a cura di Mario Specchio, edito da Ugo Guanda Editore per la prima volta nel 1971.

Leggiamo la poesia di Hermann Hesse per coglierne l’emozione e il profondo significato.

Tristezza (1944) di Hermann Hesse

Quelli che ancor ieri ardevano
sono oggi votati alla morte,
cadono fiori su fiori
dall’albero della tristezza.

Li vedo cadere e cadere
come neve sul mio sentiero,
i passi più non risuonano,
il lungo silenzio s’approssima.

Il cielo non ha più stelle
non ha più amore il cuore,
tace l’opaca lontananza,
divenne il mondo vecchio e deserto.

Chi può proteggere il cuore
in questo tempo crudele?
Cadono fiori su fiori
dall’albero della tristezza.

 

Traurigkeit (1944), Hermann Hesse

Die mir noch gestern glühten,
Sind heut dem Tod geweiht,
Blüten fallen um Blüten
Vom Baum der Traurigkeit.

Ich seh sie fallen, fallen
Wie Schnee auf meinen Pfad,
Die Schritte nicht mehr hallen,
Das lange Schweigen naht.

Der Himmel hat nicht Sterne,
Das Herz nicht Liebe mehr,
Es schweigt die graue Ferne,
Die Welt ward alt und leer.

Wer kann sein Herz behüten
In dieser bösen Zeit?
Es fallen Blüten um Blüten
Vom Baum der Traurigkeit.

La Tristezza di una generazione che ha vissuto la barbarie

In Tristezza emerge tutta la sensibilità della poesia di Hermann Hesse, un autore sempre alla ricerca dell’amore, della bellezza, dell’armonia universale. Dall’esperienza di un mondo in rovina, quale fu quello della Seconda guerra mondiale, nascono versi intrisi di amarezza e dolore.

Ogni conflitto, ogni guerra non può che generare male. Quando gli esseri umani scelgono la via della discordia, a prevalere non è mai la ragione ma il senso della morte, la fine di ogni futuro possibile.

Nel 1944 Hesse ha 67 anni. La guerra sta volgendo al termine, ma il mondo vive uno dei momenti più bui della sua storia: l’Europa è in macerie, milioni di vite spezzate, città annientate, un’intera civiltà segnata dalla devastazione materiale e morale. Da Montagnola, in Svizzera, Hesse osserva questa rovina con lo sguardo del poeta e dell’uomo che aveva sperato in altro.

Cade ogni speranza di fronte a tanto disastro. E ciò che più sconvolge è che la follia di pochi possa trascinare l’intero pianeta nel baratro. La storia non insegna nulla: mostra piuttosto come la cattiveria umana sappia prevalere sulla bontà, in un trionfo degli istinti più distruttivi, dove sopravvivere sembra l’unico scopo.

In questo senso, la poesia di Hermann Hesse dà voce non solo al dolore di allora, ma anche allo smarrimento di oggi. Perché anche il nostro tempo, attraversato da guerre, crisi e solitudini collettive, sembra vivere la stessa condizione, un cammino fragile, in cui la speranza rischia di sgretolarsi ogni giorno.

I fiori che cadono dall’albero della vita

L’apertura della poesia è un colpo secco, un’immagine poetica che lascia senza fiato. Hermann Hesse riesce a rappresentare in modo simbolico e quindi universale l’albero della tristezza, che coincide con l’albero della morte.

Quelli che ancor ieri ardevano
sono oggi votati alla morte,
cadono fiori su fiori
dall’albero della tristezza.

In “Quelli che ancor ieri ardevano”, l’autore tedesco tende a rappresentare le milioni di vite che la guerra ha distrutto, soprattutto le più giovani generazioni. Ma vi sono rappresentati anche le idee, i sogli, le speranze, la gioia, la bellezza, la stessa terra deturpata dalla forza distruttiva degli umani.

Hesse concentra in questa immagine un mondo in cui i giovani muoiono al fronte, le città vengono rase al suolo, i rapporti umani sono travolti dalla violenza. Ma la sua poesia va oltre la cronaca, i fiori che cadono sono anche il segno di ogni epoca in cui la storia costringe gli umani a guardare in faccia la fragilità della vita.

L'”albero della tristezza”, che perde ininterrottamente i suoi fiori, offre una visione simbolica dell’’umanità che si disgrega. Ogni fiore caduto rappresenta una vita spezzata, un affetto perduto, un amore perso per sempre. Ma, anche la frattura del dialogo, l’odio per il torto, il male subito che svilupperà i suoi effetti corrosivi nell’anima delle popolazioni per generazioni.

Il profondo silenzio che genera il conflitto

Hermann Hesse attraverso i suoi versi come in un film rende tangibile l’immagine di un mondo in rovina, in cui il silenzio offre il senso della fine.

Li vedo cadere e cadere
come neve sul mio sentiero,
i passi più non risuonano,
il lungo silenzio s’approssima.

La caduta dei fiori diventa una nevicata lenta e inesorabile. L’immagine della neve è fredda, immobile, capace di cancellare i rumori e i segni del passaggio umano. Non c’è più eco dei passi, non c’è più vita che si muove. Resta soltanto il silenzio che avanza, un silenzio definitivo, presagio di morte e di fine.

Hesse descrive così il sentimento di un mondo che smette di parlare a se stesso. Il silenzio non riguarda solo i soldati caduti o le città distrutte, ma tocca anche la coscienza individuale, quel vuoto interiore che ognuno prova quando non riesce più a dare senso al proprio cammino. È un’immagine che apparteneva all’Europa del 1944, ma che torna attuale ogni volta che l’umanità smette di ascoltarsi e di riconoscersi.

La fine dell’amore 

Le magiche parole del Premio Nobel tedesco continuano a lasciare senza fiato. Hermann Hesse fa vivere al lettore la sensazione di alzare lo sguardo e accorgersi che il cielo ha perso tutte le sue stelle. Verrebbe da dire automaticamente che tristezza, perdere quelle piccole luci che accompagnano anche fuori è notte ed è tutto buio.

Il cielo non ha più stelle
non ha più amore il cuore,
tace l’opaca lontananza,
divenne il mondo vecchio e deserto.

“Il cielo non ha più stelle” è la fine esplicita di ogni possibilità di ritrovare dei punti di riferimento. Qui la poesia raggiunge il suo punto più cupo. Il cielo, che da sempre rappresenta l’orizzonte della speranza e il luogo delle stelle, appare vuoto e buio. Allo stesso tempo, il cuore umano, centro dell’amore e della vita, è anch’esso privo di energia vitale.

Il parallelismo tra il cosmo e l’interiorità rivela l’intuizione di Hesse. Ciò che accade fuori si riflette dentro, e ciò che accade dentro si proietta fuori. Quando il mondo si desertifica, anche l’animo dell’uomo si prosciuga. Quando il cuore perde l’amore, il cielo stesso appare senza luce.

L’espressione «vecchio e deserto» segna la fine di ogni futuro. Non c’è più slancio, non c’è più rinascita, ma solo la percezione di un mondo esausto, consumato dalla barbarie e incapace di rinnovarsi. È un’immagine che risuona ogni volta che la società, travolta da crisi e violenza, appare svuotata di senso e incapace di immaginare un domani.

Di fronte alla barbarie non c’è nessuna soluzione

La poesia si conclude con una domanda che non cerca risposta, ma apre un abisso. Anche gli uomini di fede di fronte a tanto male non riescono più a trovare una risposta.

Chi può proteggere il cuore
in questo tempo crudele?
Cadono fiori su fiori
dall’albero della tristezza.

Il conflitto, la guerra, la devastazione lasciano gli uomini soli di fronte al loro nero destino. Nessuno può aiutare gli umani dalla loro forza distruttiva. La poesia non vuole offrire nessuna soluzione possibile, perché di fatto non c’è, se non cambiare radicalmente l’animo umano e decidere di sposare l’amore, anziché la morte.

Ma i fatti, la storia, la cronaca dei nostri giorni dimostrano che nessuno “può proteggere il cuore in questo tempo crudele?”. Siamo in balia di pochi che vogliono a tutti i costi scatenare il caos e decimare la popolazione terrestre. Siamo nelle mani di chi vuole uccidere la Terra, il nostro Pianeta in nome di una “supremazia” che gli umani si sono dati da sempre, inconsapevoli dei loro numerosi limiti.

La domanda volutamente sospesa di Hermann Hesse è il segno che pone gli umani di fronte alla propria fragilità e alla responsabilità collettiva. Se il cuore resta indifeso, il mondo si condanna a vivere soltanto nel buio. Ma allo stesso tempo, è proprio in questo appello muto che si intravede un compito. Bisogna proteggere ciò che resta umano, custodire l’amore, resistere al silenzio.

Tristezza in tal senso diventa un monito. La grande lezione che Hermann Hesse ci lascia con questa poesia è che ogni guerra, ogni conflitto, ogni atto di violenza non produce che distruzione. L’immagine dei fiori che cadono dall’albero della tristezza è un avvertimento eterno. Se il cuore non viene protetto dall’odio, il mondo è destinato a diventare vecchio e deserto.

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