Nella poetica di Rainer Maria Rilke non si separa corpo e spirito. Al contrario, sono fusi in una sola esperienza contemplativa che ha radici nel simbolismo tedesco, nel misticismo cristiano e nella tensione estetica del primo Novecento.
“Sulla via assolata” fa parte degli ultimi componimenti, dove la soglia tra gesto umano e trascendenza si fa sottilissima, mentre il bisogno fisico diventa gesto di consapevolezza e atto d’amore spiritualizzato.
“Sulla via assolata” di Rainer Maria Rilke
(Tedesco)
An der sonngewohnten Straße, in dem
hohlen halben Baumstamm, der seit lange
Trog ward, eine Oberfläche Wasser
in sich leis erneuernd, still’ ich meinen
Durst: des Wassers Heiterkeit und Herkunft
in mich nehmend durch die Handgelenke.
Trinken schiene mir zu viel, zu deutlich;
aber diese wartende Gebärde
holt mir helles Wasser ins Bewußtsein.Also, kämst du, braucht ich, mich zu stillen,
nur ein leichtes Anruhn meiner Hände,
sei’s an deiner Schulter junge Rundung
sei es an dem Andrang deiner Brüste.
(Italiano)
Sulla via assolata, dentro al vecchio
tronco cavo che da lungo tempo
serve a bere e piano in sé rinnova
uno specchio d’acqua, la mia sete
calmo: l’acqua limpida e il suo flusso
prendo in me nel cavo della mano.
Bere è troppo, è un atto che tradisce,
mentre questo gesto in cui m’indugio
porta un’acqua chiara alla coscienza.E così potrebbe riposarmi
se tu fossi qui, posare piano
la mia mano sulla fresca curva
della spalla o al limite del seno.
La sensualità del tronco
Di primo acchito si ha l’impressione che si parli di un tronco cavo, probabilmente quello che in montagna — o nei paesi rurali — si usa per far scorrere l’acqua sorgiva e abbeverarsi. Un oggetto semplice, naturale, che Rilke descrive con estrema precisione. Ma la parola “tronco”, nel lessico poetico, può alludere anche al busto umano, alla parte centrale del corpo, che è sede del cuore, dei polmoni, della fame e della sete. E Rilke parla della sete nella poesia.
L’acqua con la mano, la mano con il corpo di quel “tu”, sulla curva della spalla e sul seno.
Possibile che tronco cavo prefiguri il corpo. La curva della spalla, il limite del seno, sono erotiche figure che arrivano a seguire. Prima, però, c’è il tronco cavo — quale che sia la cavità che “serve a bere”.
Bere è troppo: la poesia di Rilke che trasforma la sete in gesto sacro
“Bere è troppo, è un atto che tradisce”. Inizia da qui, da un semplice gesto quotidiano, una delle poesie più intense e meno conosciute di Rainer Maria Rilke, maestro della parola che svela il mondo interiore attraverso le cose più umili. Una scena minimale – l’acqua raccolta da un tronco cavo lungo una via assolata – si trasforma sotto la sua penna in un’esperienza spirituale, quasi mistica, in cui il corpo e l’anima si toccano senza violarsi.
È qui che si rivela la poetica di Rilke: le cose esistono non per essere usate, ma per essere contemplate. Il tronco, l’acqua, la mano: tutto diventa parte di un dialogo silenzioso tra l’essere umano e il mondo che lo ospita.
L’atto del bere, apparentemente naturale e necessario, viene improvvisamente rovesciato: “Bere è troppo, è un atto che tradisce”.
Bere, secondo Rilke, è un gesto che interrompe la relazione tra l’uomo e la cosa. È un atto finale, consumante, che spezza l’equilibrio. Al contrario, il gesto di indugiare, di prendere l’acqua nel cavo della mano, diventa un momento di sospensione: una liturgia segreta che porta l’acqua alla coscienza, non alla gola.
In questo passaggio sottile si cela tutta la forza metafisica di Rilke. Il mondo non ci è dato per essere consumato, ma per essere riconosciuto nella sua essenza più profonda. Ogni gesto, ogni cosa, ogni incontro può diventare sacro se compiuto con consapevolezza.
E poi, come spesso accade in Rilke, la poesia si apre in un secondo tempo all’amore, al desiderio contemplativo. Non chiede possesso, ma vicinanza.
Non c’è erotismo esplicito in questi versi. C’è il bisogno di un contatto lieve, naturale, quasi spirituale. Il corpo è sentito come estensione dell’acqua: fresco, curvo, ospitale. E anche qui, il gesto non si compie del tutto. È una carezza immaginata, desiderata, ma non afferrata. L’amore è evocato come possibilità, non come atto.
L’anima e il corpo
Rilke, che nella sua vita ebbe relazioni intense e difficili – tra cui quella con Lou Andreas-Salomé –, concepisce spesso l’amore come un movimento tra anime, più che tra corpi. E in questo corpo che si è fatto fluido, poi comparso come materia, è solo sfiorato con rispetto e sacralità.
Questa lirica è una piccola meditazione sul gesto. La soglia tra sete e sazietà, sul bisogno e desiderio, sul contatto e l’assenza.
In un mondo che consuma in fretta, Rilke ci invita a rallentare, a fermarci sul bordo delle cose, ad ascoltare il tempo che passa.
La mano nella fonte non è solo una mano: è l’anima che riconosce l’acqua senza distruggerla. È la poesia stessa, che si posa sul mondo senza alterarlo. E il corpo desiderato non è solo l’altro, ma la possibilità di essere accolti, di trovare una freschezza che ci riposi.