L’estate, per molti poeti, è calura che piega le messi, sole che brilla nel cielo, ricordi d’infanzia e corse infinite lungo i fiumi; ma è anche personificazione maschile e femminile. Gabriele D’Annunzio, per esempio, la raffigura tra i versi di “Stabat nvda Aestas” come una donna nuda e immensa in comunione con il paesaggio e la natura stessa, rimandando alle “Metamorfosi” di Ovidio.
Sensualità, natura e classicità
Ci troviamo negli anni della piena maturità dannunziana: “Alcyone” (1903) nasce come diario poetico di un’estate trascorsa in toscana, tra pinete e spiagge; un libro che mescola esperienze personali, citazioni classiche e suggestioni artistiche. È tra queste opere che vede la luce il componimento “Stabat nvda Aestas”. L’estate diventa donna, e la sua nudità si dilata fino a coincidere con la natura intera.
“Stabat nvda Aestas” di Gabriele D’Annunzio
Primamente intravidi il suo piè stretto
scorrere su per gli aghi arsi dei pini
ove estuava l’aere con grande
tremito, quasi bianca vampa effusa.Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero i ruscelli. Copiosa
la résina gemette giù pe’ fusti.
Riconobbi il colùbro dal sentore.Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.
Scorsi l’ombre cerulee dei rami
su la schiena falcata, e i capei fulvi
nell’argento pallàdio trasvolare
senza suono. Più lungi, nella stoppia,
l’allodola balzò dal solco raso,
la chiamò, la chiamò per nome in cielo.
Allora anch’io per nome la chiamai.Tra i leandri la vidi che si volse.
Come in bronzea mèsse nel falasco
entrò, che richiudeasi strepitoso.
Più lungi, verso il lido, tra la paglia
marina il piede le si torse in fallo.
Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.
Il ponente schiumò ne’ suoi capegli.
Immensa apparve, immensa nudità.
Superare i confini
La poesia si muove tra descrizione sensuale e mito, tra impressione naturalistica e visione simbolica. D’Annunzio intende raffigurare l’estate come una dea nuda senza nome, personificazione di un’energia vitale che invade ogni cosa e mette a tacere il bosco — scenario prediletto.
Non è una semplice scena erotica: è un rito pagano in cui la natura stessa si offre allo sguardo del poeta, mutandosi in corpo femminile.
Come in molte pagine di “Alcyone”, la tensione non è solo estetica, ma esistenziale: l’estate priva di veli rappresenta la fusione panica con il cosmo, il desiderio di superare i confini dell’io per diventare parte della natura infinita. L’eros diventa esperienza cosmica, in cui l’uomo riconosce la propria grandezza e la propria fragilità.
Analisi dei versi principali
“Primamente intravidi il suo piè stretto / scorrere su per gli aghi arsi dei pini”
La figura femminile appare un passo alla volta, a partire dal piede che calpesta gli aghi di pino: è un’entrata in scena, la sua, così come a teatro. La natura reagisce al suo passaggio: l’aria estiva “estuava con tremito”, la resina colava, i ruscelli cambiavano suono. È l’idea panica della natura che partecipa dell’evento mitico.
“La chiamò, la chiamò per nome in cielo. / Allora anch’io per nome la chiamai”
L’allodola diventa messaggera e rompe il silenzio, voce della natura che invoca la dea. Prima di lei, solo elementi sensoriali si sono azzardati a muoversi sulla scena. A seguire, il poeta la chiama per nome; un nome che non c’è dato sapere, ma che intuiamo sia “estate”.
“Distesa cadde tra le sabbie e l’acque. / Il ponente schiumò ne’ suoi capegli. / Immensa apparve, immensa nudità.”
Il culmine della poesia arriva con la caduta: la donna si distende tra sabbia e mare, i capelli si mescolano alla schiuma delle onde. La nudità diventa cosmica, immensa, fino a coincidere con la natura stessa. È il compimento del mito: l’estate è rivelata in tutta la sua grandezza.
Note biografiche e contesto
Nel 1902 e il 1903 D’Annunzio soggiorna in Toscana, tra Marina di Pisa e Forte dei Marmi. È un periodo di grande ispirazione per il poeta, che si darà parecchio da fare per comporre l’“Alcyone”, la raccolta più innovativa e celebrata della sua produzione.
“Stabat nvda Aestas”, contenuta nella raccolta, riflette le letture e le ossessioni di quegli anni: Ovidio come modello di metamorfosi e sensualità, Nerval e Rimbaud come riferimenti simbolici e visionari, la pittura di Dürer come immaginario iconico.
In questa poesia la sensualità non è mai fine a se stessa: diventa mito, rito estetico, celebrazione di una fusione cosmica che ricorda tanto le immagini pagane quanto i sogni decadenti del Simbolismo europeo.
L’estate come corpo e mito
La donna-estate che cade sulla spiaggia e si offre in tutta la sua nudità è un’immagine tipica della poetica dannunziana: sensuale, estetica, visionaria; attraversa il tempo e giunge fino a noi nella sua più pura interezza.
È amabile, evocativa, e pur scandalizzando pochi, resta immobile nel mito e nella sua bellezza. Simbolo dell’eternità e della natura, del suo potere rigenerante, può solo fondersi con l’infinito.
Non c’è pornografia in lei, solo fusione panica che giace tra sabbia e acqua.