Ci sono parole che tornano a bussare alla porta proprio quando il mondo ne ha più bisogno. “Scorcio di secolo”, poesia di Wislawa Szymborska contenuta nella raccolta Gente sul ponte (1986), è uno di quei testi che non smettono di parlare — anzi, col passare degli anni acquistano un’eco quasi profetica.
Mentre il mondo è attraversato da guerre che decimano civili, governi autoritari che soffocano la libertà e un crescente smarrimento collettivo, le strofe della poetessa polacca sembrano scritte per il nostro tempo. O forse per domani. Per chi cerca ancora, con ostinazione, un senso in mezzo al caos.
“Scorcio di secolo” di Wislawa Szymborska
Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo.
Non farà più in tempo a dimostrarlo,
ha gli anni contati,
il passo malfermo,
il fiato corto.Sono ormai successe troppe cose
che non dovevano succedere,
e quel che doveva arrivare
non è arrivato.Ci si doveva avviare verso la primavera
e la felicità, tra l’altro.La paura doveva abbandonare i monti e le valli.
La verità doveva raggiungere la meta
prima della menzogna.Alcune sciagure
non dovevano più accadere,
ad esempio la guerra
e la fame, e così via.Doveva essere rispettata
l’inermità degli inermi,
la fiducia e via dicendo.Chi voleva gioire del mondo
si trova di fronte a un’impresa
impossibile.La stupidità non è ridicola.
La saggezza non è allegra.La speranza
non è più quella giovane ragazza
et cetera, purtroppo.Dio doveva finalmente credere nell’uomo
buono e forte,
ma il buono e il forte
restano due esseri distinti.Come vivere? – mi ha scritto qualcuno
a cui io intendevo fare
la stessa domanda.Da capo, e allo stesso modo di sempre,
come si è visto sopra,
non ci sono domande più pressanti
delle domande ingenue.
Il significato di questa poesia
Un fallimento annunciato
“Scorcio di secolo” si apre con un giudizio tanto lapidario quanto sommesso: “Doveva essere migliore degli altri il nostro ventesimo secolo. Non farà più in tempo a dimostrarlo, ha gli anni contati, il passo malfermo, il fiato corto.”
L’incipit non urla, ma sussurra una condanna già scritta: il secolo che si era promesso progresso, pace, uguaglianza — quel ventesimo secolo idealizzato da rivoluzioni, manifesti, e utopie — sta per finire senza aver mantenuto le sue promesse.
È un secolo vecchio, stanco, con il fiato corto. E soprattutto, non farà in tempo. L’occasione è sfumata. Le illusioni si sono rivelate fallaci.
La disillusione prende la forma di un rendiconto amaro, in cui ciò che “non doveva più accadere” — la guerra, la fame, la menzogna — è accaduto ancora.
Un presente che non ha imparato
Wislawa Szymborska scrive nel 1986, poco prima della caduta del Muro di Berlino. È un momento in cui il mondo occidentale comincia a intravedere spiragli di libertà, ma non dimentica le ferite della Shoah, dei gulag, delle dittature.
Eppure, oggi, a quasi quarant’anni di distanza, quelle stesse promesse disattese tornano a pesare con la stessa gravità. La poesia sembra interpellare direttamente il nostro tempo: la paura doveva “abbandonare i monti e le valli”, eppure è più viva che mai.
La verità “doveva arrivare prima della menzogna”, ma le fake news e la disinformazione hanno vinto terreno. E soprattutto, “la speranza / non è più quella giovane ragazza / et cetera, purtroppo.” In poche righe, una constatazione devastante: la speranza non è più una promessa ingenua, ma una figura stanca, appassita. Una speranza invecchiata, che non sa più convincere.
L’arte disarmante della semplicità
Wislawa Szymborska ha sempre avuto uno stile chiaro, sobrio, lontano dagli orpelli. Ma non è mai stata una poetessa “semplice”.
È una voce ironica e lucida, capace di toccare le grandi questioni con levità e profondità insieme. In “Scorcio di secolo” domina un tono elegiaco ma trattenuto, un minimalismo che scolpisce verità con la forza del non detto.
Nessuna retorica, nessun grido. Solo la constatazione di una perdita, espressa con parole essenziali, taglienti. È proprio l’assenza di pathos dichiarato a rendere il testo così potente.
“Le domande ingenue”, il cuore della poesia
La chiusa della poesia è memorabile: “Come vivere? – mi ha scritto qualcuno a cui io intendevo fare la stessa domanda.”
Szymborska non offre soluzioni. Non crede nella retorica dei poeti profeti. Al contrario, rilancia la domanda, ne mostra l’universalità. “Come vivere?” è la questione essenziale, ed è proprio nella sua apparente ingenuità che risiede la sua forza.
La poesia, per l’autrice polacca, non deve spiegare il mondo, ma restare accanto a chi non lo capisce più. A chi ha bisogno di domande vere, non di risposte prefabbricate. Il suo è uno sguardo umile, ma incandescente.
Leggere per restare umani
Nel 1996, Wislawa Szymborska riceve il Premio Nobel con una motivazione che oggi risuona come un invito: “per una poesia che con ironia precisa consente al contesto storico e biologico di emergere nella realtà dell’uomo.”
“Scorcio di secolo” è esattamente questo: una poesia dove il contesto storico — quello del XX secolo — si fonde con la realtà dell’essere umano di ogni tempo.
Nel 2025, leggere (o rileggere) questi versi può essere un gesto necessario: non per trovare certezze, ma per restare umani. Per difendere la memoria, l’onestà del dubbio, e quella fragile ma ancora viva possibilità che chiamiamo poesia.