Il 25 aprile è una data importante per l’Italia. Si ricorda, infatti, l’anniversario della liberazione della penisola dall’occupazione nazista e dal governo fascista, e si festeggia la Resistenza, che con il suo prezioso contributo ha reso possibile la Liberazione.
Ecco perché, oggi, vogliamo condividere con voi una poesia di Eugenio Montale intitolata “Primavera hitleriana”, che mette in risalto l’insensatezza della guerra mentre l’io lirico cerca un modo per combattere la violenza.
Quelli di “Primavera hitleriana” sono versi emozionanti e – purtroppo – attualissimi, che raccontano di come la resistenza costituisca un baluardo di speranza.
“Primavera hitleriana” di Eugenio Montale
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
stende a terra una coltre su cui scricchia
come su zucchero il piede; l’estate imminente sprigiona
ora il gelo notturno che capiva
nelle cave segrete della stagione morta,
negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
e pavesato di croci a uncino l’ha preso e inghiottito,
si sono chiuse le vetrine, povere
e inoffensive benché armate anch’esse
di cannoni e giocattoli di guerra,
ha sprangato il beccaio che infiorava
di bacche il muso dei capretti uccisi,
la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
s’è tramutata in un sozzo trescone d’ali schiantate,
di larve sulle golene, e l’acqua séguita a rodere
le sponde e più nessuno è incolpevole.Tutto per nulla, dunque? – e le candele
romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
l’orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
forti come un battesimo nella lugubre attesa
dell’orda (ma una gemma rigò l’aria stillando
sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
gli angeli di Tobia, i sette, la semina
dell’avvenire) e gli eliotropi nati
dalle tue mani – tutto arso e succhiato
da un polline che stride come il fuoco
e ha punte di sinibbio….Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela
in morte questa morte! Guarda ancora
in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
che il non mutato amor mutata serbi,
fino a che il cieco sole che in te porti
si abbàcini nell’Altro e si distrugga
in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera
della loro tregenda, si confondono già
col suono che slegato dal cielo, scende, vince –
col respiro di un’alba che domani per tutti
si riaffacci, bianca ma senz’ali
di raccapriccio, ai greti arsi del sud…
Il significato di questa poesia
Dove leggere “Primavera hitleriana”
“Primavera hitleriana” è un ponte sospeso tra due tempi oscuri: il 1939 e il 1946, le soglie gemelle dell’incubo e del risveglio. La prima parte della poesia prende forma nel 1939, nell’immediatezza della visita di Hitler a Firenze, episodio che Montale vive come un presagio sinistro, un’ombra che scivola rapida e insidiosa sulla città.
La figura del Führer è già quella di un “messo infernale”, accolto da folle plaudenti sotto un cielo che, anziché schiarirsi, si raggela. Le immagini che nascono da questa prima stesura sono attraversate da un’angoscia che cova sotto la pelle delle cose: tutto brilla di una festa deformata, come maschere che sorridono nell’attimo prima della tempesta.
Solo anni dopo, nel 1946, a guerra conclusa, Montale riprende quei versi, li completa, li salva dalla loro sospensione. La seconda parte della poesia, figlia della fine del conflitto, è un sigillo lirico che cerca nella memoria, nell’amore e nella fedeltà a un’idea di bellezza, una forma possibile di redenzione.
Il componimento viene poi incluso nella raccolta La bufera e altro, cuore della stagione poetica montaliana segnata dal confronto con la Storia e le sue ferite.
Il peso delle parole
Lo stile di Eugenio Montale, in “Primavera hitleriana”, è una tessitura fitta, quasi vertiginosa, in cui il linguaggio si fa magma e cristallo insieme. Ogni parola trattiene un doppio peso: quello concreto delle cose e quello simbolico delle visioni.
L’apertura è un quadro notturno in cui le falene, folte e impazzite, si abbattono come anime perdute sulle luci spente della città. Il gelo notturno che “scricchia come su zucchero il piede” è un’immagine di straordinaria forza sensoriale, eppure è anche metafora del gelo morale, dell’inerzia che precede il disastro.
Tutto è deformato da una luce acida: le vetrine sbarrate, i cannoni giocattolo, i capretti infiorati come offerte a una festa crudele. Le immagini si inseguono in un montaggio serrato, senza pace.
Il tempo stesso sembra spezzarsi: siamo in maggio, ma è un maggio di morte, un inverno mascherato da primavera.
E nel ritmo franto dei versi, negli enjambement che fendono il respiro, si avverte l’inquietudine di una lingua che non vuole pacificare, ma scuotere, risvegliare. Montale non descrive: incide, scolpisce nella carne della realtà la sua condanna poetica.
La poesia e l’amore per resistere
Eppure, nella bufera di questa primavera distorta, il poeta ligure lascia filtrare un raggio, un seme di salvezza che si nutre di memoria, di fedeltà, di amore.
La figura di Clizia, trasfigurazione della poetessa Irma Brandeis, diviene icona solare, stella guida, presenza angelica che sopravvive al disastro e ne annuncia il superamento. È lei che porta nelle mani gli “eliotropi”, girasoli della speranza, e che tiene acceso il lume di un amore che non muta, anche se tutto intorno cade in rovina.
Nella quarta strofa, Clizia si fa quasi figura cristica: colei che, pur piagata, innalza lo sguardo e attende la fusione con il “cieco sole” che in lei arde. In questa visione mistica si condensa la possibilità di una resurrezione collettiva, di una nuova alba che non abbia “ali di raccapriccio”, ma la trasparenza di un giorno finalmente umano.
Così Montale, nella sua “Primavera hitleriana”, ci lascia non con una certezza, ma con un’attesa. Quei puntini di sospensione finali sono il varco sottile da cui può stillare la salvezza, se solo sapremo restare fedeli a ciò che ci rende uomini: la bellezza, la memoria, l’amore. In questo, davvero, la poesia si fa Resistenza.